Alto Adige Wine Summit a Bolzano: una nuova idea di anteprima. Sensazioni, pensieri, assaggi/2

0
11393

alto-adige-wine-summit_logoProsegue la raccolta di suggestioni estrapolate dalla stimolante giornata “bolzanina” trascorsa all’Alto Adige Wine Summit 2017, evento esordiente alle prese con l’attualità di vini importanti (e di territorio) non ancora in commercio ma già imbottigliati.

Così come nella prima parte del racconto, abbiamo deciso di dividere per temi -per vitigni – la trattazione. Per sapere invece cosa sia, e che cosa ci abbia ispirato, il Wine Summit, e per scoprire le nostre prime impressioni sui vini, LEGGETE QUI.

§§§§§

ASSAGGI E SENSAZIONI – SECONDA PARTE

Sauvignon

Certo che l’invitante profilo aromatico di un Sauvignon, annunciato nei casi migliori da profumi suggestivi e femminei, non lascerebbe supporre l’effettiva difficoltà che si può incontrare nella coltivazione dell’omonimo vitigno. Di quanto cioé sia selettivo per indole e natura, e di come l’andamento stagionale possa mettere a dura prova il viticoltore, soprattutto se è uno di quelli che non si accontenta di raccogliere uve poco mature.

Qui a Bolzano il Sauvignon è stato uno dei vini più rappresentati. Ne ricordo cinque: quelli che, per un verso o per l’altro, hanno smosso parole e significati, ivi compreso il concetto di “maturità”.

Ad esempio, il Sauvignon Voglar 2015 di Peter Dipoli (uscita prevista gennaio 2018), per come è riuscito a far sue le ragioni dell’eleganza dimostrando in tal modo di sapere ben fronteggiare le insidie di una annata calda. Proporzioni, temperamento da Sauvignon maturo, grinta, ricchezza interiore, gioventù. Sì, è un bel bere, un bere “di soddisfazione”, anche se probabilmente non raggiungerà lo stratosferico livello del fratello maggiore targato 2014 (ovviamente da non perdere!).

Mi ha poi decisamente intrigato il Sauvignon Flora 2016 di Girlan, una cantina non nuova, per la verità, a significativi exploit sul tema. “Dritto”, verticale, dinamico, brillante, riesce ad assumere il respiro del vino che conta, e la sua compagnia ad offrire il conforto di un sorso ispirato.

Ancor più compiuto e profondo mi è parso il Sauvignon Lieben Aich 2016 di Manincor, le cui uve, coltivate secondo i dettami della biodinamica, provengono dalla sponda terlanese dei vigneti di proprietà. Un vino elegantissimo, la cui progressione e la cui articolazione ti inchiodano all’ascolto. Una lama di purezza e di incisività, insomma, con la trama fresca ed affusolata a rilasciare un senso di naturalezza e la grana sapido-minerale del tessuto a promettere e a pompare futuro.

Invece il Sauvignon MerVin 2016 della Cantina Meran, se da un lato potrebbe essere annoverato fra gli esemplari ispirati da una timbrica aromatica impattante e “pirazinica”, e per questo più selvaticamente varietale (foglia di pomodoro, sambuco, ruta), dall’altro riesce a muoversi con adeguato garbo fra queste “istanze” ed altre più mature ed eleganti ( pesca, salvia), risultando alla fin fine molto piacevole. E tutto ciò grazie anche all’indubbia vivacità e al senso del ritmo.

Terminiamo con un classico, il Sauvignon Lafòa 2016 della Cantina Colterenzio, perché questa annata e questa versione mi riconciliano con un vino dialettico, in compagnia del quale ho vissuto, lungo il corso degli anni, momenti “bipolari” in termini di appagamento ed immedesimazione, spesso raffreddati per via dell’ingerenza del rovere.

Ebbene, non ricordo un bilanciamento così da tempo: la salinità di quel finale si riprende la scena e ben amministra il contributo avvolgente del rovere, peraltro di ottima qualità. Insomma, d’incanto il celebre Lafòa ritrova ariosità, “movimento”, slancio. E, assieme a queste doti, l’eloquente sua personalità.

§§§§§

Pinot Bianco

A detta di molti il vino-vitigno che, più di altri, è in grado di esaltare la specificità e la vocazione del variegato territorio altoatesino. Aggiungo io: non a torto. Non ci sorprenderà quindi (più) ritrovarlo ai piani alti altissimi del bere bene sudtirolese, una “destinazione” ormai frequente grazie anche al buon numero di valorose etichette che si trovano in giro, più o meno democraticamente distribuite in ogni sottozona. Qui sotto 4 esempi calzanti.

Il Pinot Bianco Riserva Renaissance 2014 di Gumphof-Markus Prackwieser -nuova etichetta di fascia alta che non fa mistero di ambizione- lascia poco spazio ai dubbi, casomai ce ne fossero stati: è brillante, elegante, lunghissimo, lo slancio salino è quello delle migliori edizioni. Davvero compiuto e distintivo, ribadisce l’elettività di un terroir (Fié allo Sciliar, Valle Isarco “del Sud”) e il talento di un vignaiolo.

Un’altra novità è rappresentata dal Pinot Bianco Quintessenz 2016 di Kaltern, in uscita dal marzo 2018, frutto delle ultime elaborazioni poco interventiste, sia in campagna che in cantina, che stanno stimolando le consapevolezze nuove dello staff tecnico aziendale, qui alle prese con i lieviti indigeni.

Elegante quanto trattenuto nell’eloquio, l’introspezione apre alla curiosità e al fascino sottile. Certo il vino chiede tempo per approdare all’attesa distensione, ma la luminosità e la purezza alimentano di già razza e portamento.

Il Pinot Bianco Sirmian 2016 di Nals e Margreid conferma tutto il bene che si dice di lui offrendosi in una versione ottimamente stilizzata, dove a brillare sono il disegno e la sottile articolazione, con una dinamica in grado di acquisire scioltezza lungo lo sviluppo e una gioventù ancora fremente da tener buona per il futuro.

Infine, classico fra i classici, il Terlaner Pinot Bianco Riserva Vorberg 2015 della Cantina Terlano. Perché, semplicemente, è un gran bel vino: intenso, incisivo, succoso, bilanciato, dall’evidente intelaiatura sapido-minerale. D’altronde, ci parla del proprio territorio come pochi altri sanno fare. Anzi, a ben vedere, se stiamo alle prime avvisaglie, sembrerebbe intenzionato a parlarne per molto tempo ancora.

continua……

 

 

FERNANDO PARDINI

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here