Focus Chianti Rufina. Alla ricerca di un nuovo Rinascimento. Interpreti e vini. Seconda parte

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rufina_-paesaggio-zona-travignoliCon questa puntata terminiamo la speciale disamina dei vini e degli interpreti della Rùfina, accordando spazi e parole ad altre importanti realtà del territorio, vecchie e nuove, i cui nomi in certi casi non hanno bisogno di presentazioni, traguardate qui attraverso la lente prospettica di una verticale.

Per la presentazione e le “spigolature” riguardanti la denominazione, nonché per le prime elucubrazioni su autori, stili e vini, LEGGETE QUI la prima parte.

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FATTORIA LAVACCHIO

La famiglia Lottero, di origini genovesi, si è insediata sul colle di Montefiesole nel 1978, adoprandosi fin da subito per dare vita ad una azienda agricola a tutto tondo che avesse a cuore diversi fronti produttivi (olio, vino, cereali, orticoltura), dimostrando idee chiare in proposito e, soprattutto, un grande rispetto per gli equilibri ambientali, concretizzatosi in una delle prime realtà biologiche certificate del territorio.

Tutta questa apprezzabile “consapevolezza nella idealità” non gli ha impedito di misurarsi con intendimenti stilistici “moderni” per la elaborazione dei propri vini, declinazione particolarmente evidente se ci accostiamo a Ludié, ambizioso Chianti Rufina (Grand Cru) nato dalla vendemmia 2007 le cui uve derivano da un vecchio impianto del 1963, “la vecchia in salita”, piantato con un clone specifico di sangiovese.

Una manifattura, questa, che va a connotarlo nel verso della presenza scenica a scapito delle sfumature di sapore. Cosa strana, delle tre annate in degustazione proprio la prima edizione (2007) conserva quei sottotraccia e quei dettagli che soli attengono al vino di razza, sottolineati qui con reale forza espressiva, attributi poi andati progressivamente opacizzandosi nelle versioni più recenti, per via di una “confezione” enologica capace di imbrigliare più che di “arieggiare” le trame. Restiamo quindi fiduciosi di un atteso, “nuovo” 2007.

Chianti Rufina Ludié 2011

Di certo l’annata ci avrà messo del suo per propiziare le tinte forti anziché il dettaglio sottile, fatto sta che il nostro non si nasconde dietro a un dito e la sua esuberanza te la sbatte in faccia. Frutto maturo dai risvolti “laccati”, pienezza di forme, generosità alcolica, Ludié 2011 va assumendo un profilo che porta a confonderne trama e ordìto, restituendoci esteriorità, volume e potenza.

Chianti Rufina Ludié 2009

Confettura di ciliegie, rilievi boisé, note di caramello, sensazione di pienezza. Non tradisce di certo la sua indole generosa, tradottasi in questo caso in una dote fruttata oltremodo cospicua. In bocca il rigoglio della materia stenta a distendersi in un disegno più articolato. Super compatto, più largo che lungo, appare in debito di freschezza e di agilità.

Chianti Rufina Ludié 2007

Prima annata di sempre e, rispetto alla china intrapresa negli anni a venire, un respiro decisamente più portato al dettaglio e alle sfumature di sapore. Ludié “vede” la strada, affrontata con il passo austero e importante di un tipico Rùfina, scortato da rilievi sapidi, speziati e tabaccosi, a suggerire che le basi per la distinzione ci sono tutte, e che certe annate, come la 2007, sono state migliori di altre.

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PODERE IL BALZO – PAOLO PONTICELLI

Nome nuovo del territorio, Paolo Ponticelli ha piantato a vite il vecchio podere del nonno, nel cuore della Rùfina, per iniziare a produrre vino a partire dal 2006. Oggi può contare su 5 ettari di vigna, 3 di oliveto, 22 fra bosco, pascolo e seminativi, e su un “motivatore” di rango, Federico Giuntini della fattoria Selvapiana.

Mi piace immaginare che il “balzo”, oltre che una presumibile morfologia paesaggistica, voglia sottolineare il cambiamento, o meglio la volontà di cambiamento, quello che ha condotto un boscaiolo a diventare anche vignaiolo. Sono storie contadine senza “compagnie cantanti” alle spalle, e per questo portatrici sane di autenticità, la stessa autenticità che traspare dalle prime edizioni del Chianti Rufina Riserva della casa, prodotto dalla vendemmia 2011.

Due le annate attualmente in commercio, entrambe figlie di andamenti stagionali per certi versi insidiosi. Ma è soprattutto la 2012 a far lampeggiare una mano ispirata sul fronte della caratterizzazione e della trasparenza espressiva; è lei il buon auspicio per uno dei probabili protagonisti del prossimo futuro della Rùfina.

Chianti Rufina Riserva 2012

Grintosa personalità aromatica, fondata sul dialogo accordato fra spezie e sottobosco. L’espressività non è in discussione, il vino è succoso e in grado di spingere adeguatamente. E se la grana tannica, con il tessuto tattile leggermente rugoso, sono il comprensibile lascito di un millesimo imperfetto, a brillare è il sentimento di fondo, che richiama prepotentemente tipicità. E tanto basta.

Chianti Rufina Riserva 2011

Frutto rosso in confettura, dolcezza in leggero esubero, bocca più “allentata” nella dinamica rispetto al 2012. Avvolgente, piacevole, quello sì, ma in debito di complessità. Un “classico” portavoce di questa vendemmia insomma, che pure nella Rùfina, e in particolar modo nelle giaciture meglio esposte e meno elevate, ha lasciato tracce indelebili nel grado di maturazione del frutto e nella sensazione pseudo-calorica, entrambi accentuati.

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FATTORIA SELVAPIANA

Ieri come oggi, il paradigma della Rùfina. Qui si è tracciata una delle rotte espressive più luminose di sempre mai apparse su questo territorio, frutto della lungimirante visione dei Giuntini, la famiglia che conduce Selvapiana dalla seconda metà dell’Ottocento. Fra le prime a fare affidamento sul solo contributo del sangiovese per disegnare la composizione ideale dei propri vini, fra le prime a fare affidamento sulla forza espressiva derivante da un singolo vigneto (Bucerchiale, la cui omonima etichetta viene prodotta dal 1979), oggi l’azienda è nelle salde mani di Federico Masseti Giuntini, figlio dello storico fattore di Selvapiana, poi adottato dal proprietario Francesco Giuntini per dare continuità ad una storia di passioni che esigeva futuro.

La forza motrice e l’indomabile temperamento dei vini di Selvapiana hanno trovato piena evidenza in versioni nel frattempo divenute leggendarie, suggellate e testimoniate da una eloquente raccolta di vecchie annate ancora disponibili in cantina, che partono dal 1949 per arrivare ai giorni nostri: un libro aperto sui “passaggi di tempo” e sulle diverse concezioni agronomiche e tecnologiche che hanno caratterizzato la campagna toscana nella sua rincorsa alla contemporaneità.

A Selvapiana è circostanza assai comune imbattersi in autentici gioielli liquidi, che a distanza di decenni riescono ancora ad esprimersi con struggente vitalità, sancendo da un lato che in fondo è il territorio a vincere, ben oltre la consapevolezza tecnica associabile ad un determinato periodo storico; dall’altro, che una delle doti più importanti per approcciarsi ai vini della Rùfina è quella della pazienza: sì, imparare ad attendere quei vini per poterne godere le straordinarie evoluzioni nel tempo. E con le evoluzioni, la razza.

Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 2013

Sodo, intenso, caldo, austero, da lui emerge nitida la statura del vino autorale, compassato, senza fronzoli, il cui temperamento alcolico -pur leggibile- trova l’adeguato contraltare nel grip acido e nella profonda intelaiatura tannica, validi dispensatori di freschezza e sapidità. La lunghezza étonnante di quel finale lascia presagire un futuro on its side, e non è certo una novità per Bucerchiale.

Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 2009

La ricchezza che trasuda da questo bicchiere non consente ai profumi di dipanarsi e distendersi con il giusto grado di dettaglio, ciò che solo il tempo gli consentirà. Da un profilo di nobile altezzosità emergono accenti balsamici, note di ghianda e rilievi ferrosi. In bocca fila dritto, nonostante l’annata “calduccia”, svelando un tratto avvolgente, sapido e carnoso. E’ coeso, determinato, ancora da sciogliersi del tutto ma di una caparbietà encomiabile. Decisamente in crescita rispetto alla farraginosità palesata nei primi anni di vita.

Chianti Rufina Riserva Vigneto Bucerchiale 2000

Il sangiovese lo senti eccome, trasposto in una chiave aromatica dalle tracce un po’ evolute (bacca selvatica, fogliame, sottobosco, cacao) ma sapientemente ravvivata da una trama gustativa sapida e minerale, in grado di snellire il sorso per rendergli uno sviluppo ancora profilato, vivo, succoso, nonostante le rughe di cui va chiedendo pegno il tempo.

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VILLA TRAVIGNOLI

Ci troviamo a Pélago, nell’areale meridionale della Rùfina. E’ lì che Giovanni Busi, attuale presidente del consorzio Chianti, conduce l’azienda agricola di famiglia potendo contare su settanta ettari di vigna incastonati fra i possedimenti dei Frescobaldi, nella celebre zona di Nipozzano. Con una particolarità, che è onere e onore al tempo stesso: la storia del vino è passata da qui. La fattoria Travignoli, infatti, viene annoverata fra le più antiche aziende agricole italiane, dove il termine “antico” in questo caso ha una inconfutabile ragion d’essere: ritrovamenti di stele di epoca etrusca raffiguranti convivi enoici, documenti, contratti, possedimenti, ville d’epoca, cantina cinquecentesca…. tutto ci racconta di un pregresso agricolo e vinicolo plurisecolare.

Nei vini di Travignoli, complice un microclima temperato se confrontato con quello che investe i distretti più settentrionali della denominazione, e complice la presenza di argille nel tessuto calcareo-marnoso dei suoli, se ne esce stemperata la tipica austerità e durezza della Rùfina per approdare -fin dai primi anni di vita- ad una “confidenzialità”, ad una spigliatezza e ad una morbidezza più accentuate. Dallo loro, quindi, una sincera predisposizione al “dialogo”, dote non disgiunta da un certo tasso di veracità.

Dalla verticale di oggi, alle prese con il Chianti Rufina Riserva Tegolaia, da sole uve sangiovese, emerge un dato certo, l’assoluta gradevolezza. E una ulteriore conferma: che l’annata 2007, contrariamente ad altri territori toscani in cui era stata pomposamente annunciata e rivendicata come grande annata, salvo poi – vini alla mano – ripiegare su enunciazioni ben più caute, da queste parti si riappropria di autorevolezza. E’ raro infatti incontrare un Rùfina proveniente da quella vendemmia che non sia più che buono!

Chianti Rufina Riserva Tegolaia 2014

Frutto rosso del bosco, vivo e vibrante. Si culla armoniosamente su una piacevole vena di dolcezza senza che vi si disperdano la vivacità, il dinamismo e l’estroversione. Pulito, nitido, efficace, ti vien proprio da berlo (e riberlo).

Chianti Rufina Riserva Tegolaia 2008

Un vino a due velocità, che sembra dare il meglio di sé ai profumi, dove ne apprezzerai l’ardore e il calore tipici del sangiovese, instradati dalle note di bacca selvatica, mentre al palato la compiutezza sembra risentire l’impiccio di una progressione a metà, resa perentoria da una chiusura piuttosto affilata e asciutta.

Chianti Rufina Riserva Tegolaia 2007

Sostenuto da un bel tono aromatico, è fresco, scattante, profilato, senza smagliature alcoliche o fruttate, davvero distintivo nell’incedere, grazie alla veracità e alla reattività. Ampio e diffusivo, figlio di una bella annata e di una bella interpretazione, l’aria e l’ossigeno gli conferiscono una luminosità sottile e interiorizzata, accompagnandolo su traiettorie ancor più eleganti.

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MARCHESI DE’ FRESCOBALDI – NIPOZZANO

Terminiamo il nostro viaggio nel territorio e, sia pur parzialmente, nel tempo, approdando a Nipozzano, nei pressi di Pelago, uno dei regni privilegiati della Marchesi de’ Frescobaldi. Qui è nato e cresciuto uno degli avamposti che hanno accompagnato (e nobilitato) la tradizione plurisecolare della celebre famiglia di vinattieri fiorentini. Una storia e un blasone che si sono perpetuati fino ai giorni nostri grazie alla creazione di vini che a loro modo hanno fatto la fortuna del territorio e ne hanno rappresentato una delle punte di diamante, non foss’altro che per visibilità e riconoscimento sui mercati internazionali. Ovviamente, alla testa di un ipotetico drappello di vini virtuosi, non può mancare il Sangiovese proveniente dal vigneto Montesodi, etichetta iconica della Rùfina.

E se proprio dovessi citare una delle verticali più significative dell’intero parterre di oggi, citerei proprio quella che ha riguardato Montesodi. Ma non per particolari doti di qualità e distinzione rispetto alle altre, quanto perché se ne possono trarre delle considerazioni illuminanti, “dialettiche”, a tratti dicotomiche.

Intanto, risultati alla mano, individuiamo due epoche diverse per intendimenti stilistici e declinazione espressiva: quella che ha caratterizzato la firma per tutti gli anni Duemila, e quella inaugurata con la nuova decade a partire dall’annata 2011. La prima con tutta l’evidenza di una smaliziata fisionomia dall’ascendente “internazionale”, ciò che si coglie nella saturazione cromatica, nella concentrazione e nel generoso avviluppo del rovere, a sintetizzare tutto il repertorio del vino morbido, voluttuoso, materico e boisé a cui peraltro il tempo non sembra stia giocando propriamente a favore, quantomeno in termini di equilibrio e di articolazione.

La seconda, che ha trovato la sua più felice conferma nel conseguimento più recente targato 2013 (non presente nella verticale), con la rinnovata volontà di riappropriarsi di uno stile più aderente ai canoni espressivi della Rùfina e del sangiovese, dove l’impronta varietale riemerge con nettezza e dove la sinuosità e il disegno lasciano trasparire trame più ariose e contrastate, con un sotteso di complessità da cru di vaglia.

Ma nel momento stesso in cui gioiamo per questa ritrovata sintonia di Montesodi con la storia e la classicità -una buona novella di cui non potrà che avvantaggiarsi il territorio tutto- restiamo perplessi nell’apprendere che questa etichetta è uscita dalla Docg per presentarsi come “semplice” Igt. Quindi, proprio adesso che è andata riconquistando un carattere territoriale più affermato, se ne esce fuori dalla denominazione d’origine!

Prima sì, ora no. Misteri della fede, o degli uomini.

Montesodi 2011

Bei profumi e cromatismi comme-il-faut, se mi parli di sangiovese. Avvenente, bilanciato, contrasta alla grande le insidie di una annata calda e lo fa con signorilità e portamento. Sapido, senza fronzoli e forzature, la chiusura un po’ stretta e affusolata non ne lede la personalità e la ritrovata brillantezza. Si distingue.

Chianti Rufina Riserva Montesodi 2009

Colore saturo e scuro, materia tanta, ricca e sostanziosa, tatto liscio e levigato, sapore morbido e dolce, poco assistiti invero dalla dinamica. Rovere ed alcol fanno la voce grossa in un finale un po’ asciugato.

Chianti Rufina Riserva Montesodi 2006

Colore accentuato per la tipologia, lì dove la ricchezza, la levigatezza e la voluttà non trovano adeguato pendant nella articolazione e nei sottotraccia, oscurati da un profilo aromatico dagli accenti tostati e di torrefazione e da un finale perentorio mutuato dalla forza estrattiva e dal rovere. Davvero abbondante, a scapito della ariosità.

Degustazione effettuata a Villa Poggio Reale (Rùfina) nel mese di ottobre 2017, in compagnia di Ernesto Gentili e Paolo Valdastri.

Nella foto in alto: panorama dei vigneti in zona Pélago

FERNANDO PARDINI

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