Come ho già scritto, rispetto a quei primi tentativi – molti a dir la verità maldestri e furbetti, senza una progettualità di vino vero e proprio ma mirati solo a cogliere al volo una nuova opportunità commerciale – di Pecorino ne è passato un fiume. Non solo nei miei bicchieri, ma in quello di tutti gli abruzzesi e della assetata piazza romana, che da tempo lo vede come uno dei bianchi più venduti e ricercati in assoluto. Un vino che fa del nome simpatico e delle indubbie qualità organolettiche un plus capace spesso di sedurre bevitori e appassionati non troppo “sofisticati”.
Se il Pecorino abbia mantenuto le aspettative non lo so, ed è ancora presto per dirlo parlando di un vino che ha si e no una ventina d’anni di storia. Di certo la qualità media è in costante crescita, e ciò, a mio parere, per due motivi principali: da un lato gran parte dei vigneti piantati a inizio anni Duemila sono ormai giunti ad una fase di produzione matura, ergo, di Pecorino (vero) ce n’è probabilmente di più in circolazione rispetto a un paio di lustri fa, quando la domanda era senz’altro inferiore all’offerta (con ovvie soluzioni di “fantasia”). Dall’altro, a forza di sperimentare, anche i produttori hanno acquisito una maggiore consapevolezza e conoscenza del vitigno.
Era quindi con molta curiosità, e anche emozione, che ho organizzato una verticale del suo Pecorino di punta – oggi appellato come Frontone, dal nome del vigneto da cui trae origine – che partendo dall’ultima annata in commercio, la 2013, mi ha permesso di fare un viaggio nel tempo e nei miei ricordi di assaggiatore fino al 2005. Qui di seguito ve la racconto. L’idea che mi son fatto (la conferma) è che il Pecorino sia un gran bel mezzofondista, ma da qui a correre la maratona dei grandi bianchi longevi ce ne vuole! Il tempo ce lo dirà. Intanto, buona lettura!
Frontone 2013
Pecorino 2011
Ancora non si chiamava Frontone, ma la vigna e la tecnica di vinificazione sono le stesse. Al naso ha un impatto più gentile, con profumi più aperti. Sempre frutta fresca che ricorda gli agrumi, ma poi anche qualcosa di più dolce, di pesca gialla, di ginestra, di salvia. In bocca è molto sapido, con un bella salinità nel finale. Vino centrato, a tutto tondo. Non ha i lampi di luce del 2013 ma è forse di un approccio più universale.
Pecorino 2009
Qui il profilo olfattivo vira maggiormente verso note minerali. Ci sento la silice, la pietra focaia, una nota di zolfo che però pian piano si affievolisce. Esce poi il frutto, più maturo degli altri, con una nota dolce di miele e cera. E’ un vino più cerebrale e meno simpatico dei primi due. Ci devi entrare in sintonia, insomma. In bocca ha un gran corpo e tanta materia, con una dinamica sorretta più dalla mineralità che si avvertiva già al naso piuttosto che da una marcata acidità. Finale un po’ amarognolo ma piacevole.
Pecorino 2007
E’ il primo tentativo solo acciaio. Il pioniere del nuovo corso che Cataldi Madonna seguirà da quell’anno in poi. Al naso è delicato, poco esuberante, devi aspettarlo un po’. Con pazienza esce il frutto, senza marcatori predominanti: una sorta di macedonia ancora fresca però, per nulla ossidata, con una nota singolare che a più d’uno ricorda la salamoia. In bocca lo trovo più largo che teso, più potente che definito, con un finale anche qui amaricante e salato.
Pecorino 2006
Cambia tecnica di vinificazione e cambia totalmente il vino. Qui ancora Cataldi usava il legno. Un affinamento prolungato in botte che si vede subito nel colore, molto più carico di tutti i precedenti. Faccio fatica a metterlo a confronto con gli altri. Il legno c’è e si sente ancora, a dimostrazione che Luigi – e il pecorino in genere, forse – con questo materiale non c’è mai entrato davvero in sintonia (e di fatti lo ha pian piano bandito da tutti i suoi vini). Il vino che ne risulta è ricco, grasso, ha ancora notevole forza ed energia, ma la parte dolce e burrosa che prevale non me lo fa amare.
Pecorino 2005
Legno anche qui, anche se sembra meglio integrato e meno invadente del 2006. Il vino però è già in fase calante, con una ossidazione che è andata un po’ oltre il limite. E’ più “liquoroso”, con note di miele, frutta secca, camomilla. In bocca non ha più la verve giusta e conserva una languida piacevolezza o poco più.