Italia-Francia, Francia-Italia… Quanta rivalità, e quanta ammirazione reciproca. Da parte nostra, condita con l’immancabile sentimento di inferiorità; dalla loro con quello di superiorità, naturale conseguenza della grandeur collegata a imperi più recenti di quelli dell’antica Roma. Salvo poi, però, rimanere frastornati e un tantino indispettiti nel constatare quante e quali siano state le lezioni di bellezza che nel corso dei secoli abbiamo impartito all’Europa e al mondo. Delle quali essi stessi si sono pasciuti, come comprende chiunque imbocchi la grande galerie del Louvre, preziosa spina dorsale della parte pittorica del museo e dovuta al genio italico.
Dal punto di vista vinoso, dobbiamo ammettere che le ispirazioni, quando non vere e proprie lezioni, siano state più unidirezionali. Insomma, per farla breve, almeno dalla codifica dei terroir di Bordeaux del 1855 in poi, i transalpini sono saliti in cattedra anche se la infinita varietà di uve, climi e terreni che rende l’Italia unica, e le idee dei nostri vignaioli sempre più consapevoli e originali, cominciano ad essere oggetto di grande interesse.
I fili che legano le culture “pure” e “materiali” al di quà e al di là delle Alpi sono stati messi in evidenza grazie ad uno degli appuntamenti di “Un vino un libro” organizzati dal nostro collaboratore e amico Lamberto Tosi, agronomo ed enologo, che ha avuto come protagonista Norina Fornasier, professoressa all’Università di Pisa, che ha affrontato l’impresa titanica di tradurre in poesia i Quadri Parigini da I Fiori del Male di Charles Baudelaire per l’editore Pacini, rispettando rime, ritmi, sonorità. Impresa ritenuta pressoché impossibile, tanto che si preferisce generalmente la traduzione in prosa capace almeno di restituirne i visionari contenuti. Ma che qui è stata affrontata con spavalderia, anche a prezzo di dover abbandonare il glorioso endecasillabo italico per il più complesso verso martelliano, più adatto a trasporre l’arcaico alessandrino usato da Baudelaire per veicolare immagini e concetti rivoluzionari.
Ma i fili sono anche quelli della vocazione spumantistica di questa cantina che potrebbero indurre a pensare a connessioni ideali con la Champagne, quando invece il particolare contesto ambientale in cui affondano le radici delle vigne della Tenuta Mariani, che è quello del lago di Massaciuccoli e del vicino mar Tirreno, dovrebbe portare la mente più nella direzione della foce del Rodano, negli stagni della Camargue, e sulle sabbie dei territori più peculiari della Francia meridionale.
Qui il coraggio della famiglia Mariani è stato di anno in anno sempre più premiato dal punto di vista qualitativo. La sfida del Pinot Nero sia nella declinazione spumantistica che in quella in rosso e “ferma” (che corrisponde ad una oculata scelta di cloni e portainnessi) è sulla buona strada per essere vinta: il Segreto Brut (70% pinot nero, saldo di chardonnay), metodo classico con sosta di 22 mesi sui lieviti, appena sboccato, è un pas dosé dalla bolla fine che arricchisce una sottostante trama setosa e una piacevole veste minerale; il Fût de Chêne Millesimato 2014 (sboccata ottobre 2017), affinato in tonneau per sei mesi prima della presa di spuma, sfoggia un bell’impatto olfattivo dominato da sensazioni di fiori gialli, è strutturato e saporito, con una spina dorsale acida ben presente. Da non trascurare ancha il metodo Charmat Stile Segreto Sabbia e Mare (chardonnay e vermentino), caratterizzato da note penetranti di susina gialla, e da energia, sapidità e struttura non trascurabile. Il Pinot Nero Segreto del Castello 2016 è un vino assai piacevole, intenso al naso con note di liquirizia e sensazioni di frutti di bosco esposte con suadente dolcezza, e con una beva scorrevole e saporita.
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