___§___
Soave Classico Calvarino 2013 – Pieropan
Ricordo in particolare una giornata di nove anni fa, trascorsa in sua compagnia nei vigneti Calvarino e La Rocca. In quegli anni mi capitava spesso di recarmi a Soave, non foss’altro che per gli assaggi guidaioli. Quel giorno assistetti ad una vera e propria lezione en plein air senza la prosopopea dell’accademia: solo condivisione, empatia, affetto. Una lezione esclusiva, con un unico allievo ad ascoltarla.
Fra le etichette prodotte da Pieropan, Calvarino si staglia da sempre nel firmamento di quelle autorali, un’attitudine maturata in un mare tradizionalmente agitato quale quello di Soave, che solo in tempi più recenti è stato incanalato nel verso di una qualità diffusa. Oggi non muori davvero di noia al cospetto di una produzione territoriale sempre più identitaria, ma un tempo era difficile orientarsi, men che meno emozionarsi, e il suo Calvarino appariva come un faro, una garanzia, una speranza.
Perché della garganega ha il fiore, la flessuosità, la purezza, la vocazione del maratoneta. E poi c’è quel deciso imprinting minerale, che richiama fortemente l’origine vulcanica dei suoli. E’ ciò che emerge oggi da questo splendente Calvarino ‘13, con cui ci ritroviamo ad omaggiare un ricordo, dopo aver appreso della recente scomparsa di Nino avvenuta poche settimane fa.
In compagnia del suo vino-simbolo lo vogliamo così ringraziare, per i conseguimenti con i quali ha arricchito l’enologia italiana e per l’autorevolezza che ha saputo regalare alla figura e al mestiere del vignaiolo. E ringrazio l’amico Lorenzo Coli, spacciatore del flacone galeotto, per aver contribuito a smuovere pensieri affettuosi che guardano al bello, e a quello soltanto.
___§___
Rosé de l’Horizon 2014 – Domaine de l’Horizon
E così, a distanza di pochi mesi, dopo L’Esprit mi ritrovo a parlare del Rosé prodotto dal medesimo Domaine, un Domaine di recente conio (2006) ma di ancestrale consapevolezza. Il vino proviene da Calce, Roussillon, e le sue uve – syrah e carignan- da ceppi centenari. Dispensa sentori di ruggine, pietra e fiore, e un succo purissimo, e vertigine profonda, e naturalezza senza filtri. Pensa te, stregato da un rosé: chi l’avrebbe detto mai?
PS: Grazie a Guido e Mariella della Locanda Mariella di Calestano (PR), lo scrigno buono a cui tutti, prima o poi, devono approdare. O ritornare.
___§___
Maranges 1er cru Les Clos Roussots 2015 – Maison en Belles Lies
Eppure a Maranges sono nate, in tempi più o meno recenti, alcune realtà virtuose che hanno posto in primo piano la salvaguardia ambientale e il rispetto del territorio, sposando un approccio che, se non altro, va regalando ai vini naturalezza, e con la naturalezza spontaneità ed individualità. Sono doti che non si regalano, doti coraggiose, da che rendono quei vini davvero nudi.
Prendi Les Clos Roussots 2015 di Pierre Fenals, pinonuar discendente da selezione massale e prodotto secondo i dettami della biodinamica nuda e cruda. Del vino spontaneo ha tutto: le increspature aromatiche – merd de poule compresa -, la variabilità all’aria, la leggerezza del sorso, l’istintività, il frutto purissimo ed il suo candore. Possiede la consistenza di una nuvola, e quel pizzico di volatile che lo fa librare, facendoci dimenticare in fretta un’etichetta graficamente estrosa ed inutilmente impattante.
___§___
Il Caberlot 2014 – Podere Il Carnasciale
Legarsi troppo strettamente ai cliché fattuali e comportamentali tipici di una disamina asettica e micrometrica, imporsi cioè di spezzare il capello in quattro, è un po’ come rifuggire l’emozione per l’emozione o invecchiare più precocemente, invecchiare dentro.
Ecco, nell’intima perfezione di un vino del genere, nel suo vortice ipnotico, ogni rigurgito di razionalità scompare, e con esso l’obbligo della disquisizione professorale. Non resta che l’emozione, quindi, e tanto fa.
PS: prima di abbandonare del tutto gli ormeggi, e solo per i nostalgici del sapere disquisito, aggiungo che trattasi di uno di quei vini (rossi) che assomigliano solo a sé stessi. E che il piacere agevolato di averlo potuto apprezzare – eccezionalmente – in una bottiglia da zerosettantacinque (tiratura super limitata per la ristorazione) anziché nella tradizionale magnum, ha avuto il tempo come unico nemico: sono bastati pochi minuti infatti per portare a compimento la missione e svuotarne il contenuto! Nessuna traccia di capelli spezzati nei dintorni.
Nella prima immagine (foto dell’autore): uno dei murales di Apricale, borgo magico e arroccato dell’Alta Val Nervia (IM)