1.El Zeremia, il papà del Groppello di Revò
“Un tempo la Val di Non era una valle totalmente dedita alla viticoltura e nella zona di Revò, nel 1893, sorse la prima cantina del Trentino” -inizia a raccontare Lorenzo- “Due eventi tragici condussero però alla graduale scomparsa della viticoltura in Valle: l’avvento della fillossera, parassita pericolosissimo per la vite, e la Prima Guerra Mondiale, che portò la forza lavoro maschile al fronte. Inoltre, negli anni Cinquanta un altro duro colpo venne assestato alla produzione vinicola nonesa: il torrente Noce, che attraversa la Val di Non e intorno al quale si concentravano le superfici vitate grazie alla fertilità del suolo, fu oggetto di interesse da parte della società Edison per la produzione di energia. Un ambizioso progetto, con la costruzione di una diga (la più alta d’Europa all’epoca ) e la creazione del bacino artificiale di Santa Giustina, vide la luce nel 1951. Edison indennizzò i viticoltori espropriati delle proprie terre assegnandogli dei terreni che però non erano ben esposti ed avevano pendenze inidonee alla coltivazione della vite. Negli anni ’70, grazie alle nascenti cooperative, l’economia della zona tornò a crescere nel nome e nel segno della melicoltura, e negli anni ’90 la nascita del Consorzio Melinda decretò la fine della viticoltura nonesa.”
Lorenzo ci dà un’idea dell’estensione dell’area coltivata a groppello di Revò: “ le viti si concentrano sulla cosiddetta terza sponda (con le spalle alla sorgente del Noce, seguendo il corso del fiume possiamo notare la sponda destra, la sinistra e la terza spondam che comprende l’area fra Cagnò, Revò, Cloz, Brez fino a Romallo). Si tratta di 8 ettari totali, compresi i piccoli appezzamenti dei viticoltori amatoriali che producono solo per il consumo di amici e parenti. Stiamo parlando di una produzione di 40/50 quintali d’uva per ettaro e di 11000 bottiglie all’anno, di cui 6000 escono dalla nostra cantina”.
Ma come è iniziata l’avventura per il recupero dello speciale vitigno? “Tutto ebbe inizio con la morte di nonno Tullio, nel 1991″, ci racconta il giovane viticoltore. “Nonno aveva lasciato il vigneto in eredità a mio padre Augusto, a condizione che lo mantenesse e lo coltivasse per almeno dieci anni. Mio padre, cuoco di professione, fece di questo lascito la sua battaglia. Il vigneto ultracentenario che ricevette in eredità costituiva un importante patrimonio genetico, si trattava infatti di 1900 metri di terra con viti di 120 anni, alcune delle poche rimaste di groppello di Revò”.
Augusto Zadra intraprese, quindi, una serie di azioni volte a restituire un ruolo al rosso autoctono nel panorama vitivinicolo trentino ma non solo: grazie alla collaborazione con un vivaio altoatesino, dal 2000 vennero prodotte delle barbatelle a partire dagli antichi ceppi di nonno Tullio. Augusto poi si battè per vedere riconosciuta l’IGT per il Groppello di Revò ed essere annoverato -oltre al Teroldego, al Marzemino e alla Nosiola- fra i vini autoctoni del Trentino.
Ma fra coltivare l’uva groppello in un piccolo appezzamento e il vinificarla ed imbottigliarla c’è una bella differenza! Anche in questo caso il fato o una semplice coincidenza fece la sua parte. Ci spiega Lorenzo: “Un giorno mio padre stava rientrando con il trattore carico di uva appena vendemmiata, quando si imbatté nel noto giornalista Rai Nereo Pederzolli, che aveva l’auto in panne. Papà accostò il trattore e soccorse Nereo, grande appassionato di enogastronomia. Una parola tira l’altra e il reporter, originario di Stravino, incuriosito dalla nuova (anche se antichissima) varietà, propose a mio padre di portare direttamente il raccolto alla cantina Pravis, per essere vinificato. Ecco fatto! Quel giorno nacque una grande amicizia ed iniziò la produzione del rosso di Revò.”
Il successo ha premiato l’impresa della famiglia Zadra: dal 2009 non imbottiglia più da Pravis ma ha costruito una cantina con annessa sala degustazione. Prossimamente sarà edificato anche l’agriturismo El Zeremia. Il Groppello viene ora diffuso commercialmente in ogni regione d’Italia: “Sebbene mio padre Augusto ci abbia lasciato prematuramente nel 2013, ha potuto vedere realizzato il sogno di una vita”.
2. Il Groppello LasteRosse e il Metodo Classico
“Per il nostro Metodo Classico Extra Brut utilizziamo un vino base da uve groppello a cui vengono tolte le bucce. Ecco spiegato un color giallo brillante. Il vino base viene fatto rifermentare in bottiglia per maturare sui lieviti almeno 36-40 mesi (attualmente è in commercio la terza annata di sempre, la 2014); viene poi affinato ancora qualche mese in bottiglia. E’ una esplosione di profumi, la Val di Non in bottiglia!”
3.Coltivazione e particolarità del Groppello di Revò
L’uva groppello è caratterizzata da un grappolo particolarmente compatto, con acini serrati. La pianta è bassa e viene allevata a guyot . “E’ una varietà rustica, non necessita di particolari trattamenti”- afferma Lorenzo Zadra -“ noi effettuiamo solo quattro trattamenti all’anno, un numero nemmeno paragonabile a quello dei trattamenti effettuati, ad esempio, su un pinot. A queste altitudini e con l’esposizione a sud-ovest l’unico pericolo per le piante sono gli uccelli, perchè vanno ghiotti del buon nettare, trovando solo meli in zona!” Aggiunge Silvia Pancheri: “Vengono allora messe manualmente delle reti per proteggere i grappoli” .
Le caratteristiche sensoriali del vino sono descritte da Silvia Pancheri: “Molto decisa la speziatura di pepe, e molto selettivo questo vino coltivato sulla roccia. Gli aromi di terra bagnata e sottobosco incontrano la mineralità e l’acidità tipiche del nostro Groppello”
4.Abbinamenti
Silvia Pancheri, titolare di LasteRosse: “ L’abbinamento tipico è con il tortel di patate, specialità nonesa, ma è ottimo anche con le minestre di legumi, con i formaggi di malga, con polenta e spezzatino e con tutti quei piatti della cucina di montagna in quanto l’acidità permette di sgrassare e pulire il palato.”
“Ideale anche con piatti strutturati come i brasati, la selvaggina, la lucanica trentina e -restando nel territorio- la mortandela”, aggiunge Lorenzo Zadra.
5.Il ruolo della fondazione Edmund Mach
La Fondazione, inoltre, ha contribuito allo studio e alla identificazione del genoma del groppello di Revò. Grazie alla ricercatrice Stella Grando e al team della Fondazione, è stata fatta chiarezza su ciò che andiamo a nominare groppello di Revò. C’era molta confusione, infatti, su questo vitigno, se pensiamo che nel Cinquecento rientravano nella famiglia dei groppello anche uve a bacca bianca. Le caratteristiche salienti per fregiarsi della denominazione parevano essere la compattezza del grappolo (letteralmente gropo-nodo) e l’assenza di ali. Prima degli studi della Fondazione, per individuare il groppello ci si basava sull’ampelografia, ovvero su quella disciplina che descrive e classifica i vitigni sul piano della morfologia esterna (germoglio, foglie, grappolo, acini). La Fondazione ha invece compiuto un’operazione diversa: l’analisi molecolare. Marcatori molecolari microsatelliti. In parole povere, l’analisi del DNA sul groppello di Revò, risultato peraltro assai diverso da quello del Garda o da quello bresciano.