Come è noto, un’ottima fonte di queste proteine sono i legumi, sebbene siano considerate proteine a basso valore biologico perché prive di alcuni amminoacidi essenziali, mancanza a cui si può rimediare con il consumo di cereali. Spesso però i legumi richiedono cotture e preparazioni lunghe – se non vogliamo ricorrere all’uso dei legumi in scatola –, così sono usati di rado in cucina, o senza troppa fantasia. Per rimediare almeno in parte a questo inconveniente esiste un’alternativa presente da alcuni anni sul mercato: la pasta a base di legumi.
Dal punto di vista nutrizionale tuttavia le paste di legumi si distinguono in modo considerevole da quelle di semola. Se l’apporto calorico è pressoché identico (350 kcal/100 g), le sostanze che forniscono energia cambiano: queste paste contengono infatti il 20% di proteine contro il 10% circa delle paste di semola, il 50% circa di carboidrati contro il 70%, infine il 5-10% di fibre contro il 2-3% (salvo le paste integrali). Inoltre l’indice glicemico è basso nei legumi, mentre è alto negli amidi della pasta, dando perciò un senso di sazietà più duraturo rispetto alle paste tradizionali. Inoltre queste paste sono adatte ai celiaci, perché naturalmente prive di glutine (comunque è bene controllare l’etichetta).
Al palato conservano il gusto dei legumi di base, anche se non in modo marcato. Inoltre, cucinandole, bisogna ridurre le dosi (65-70 g) per non eccedere nella quantità di proteine assunte. Anche per questo sono da accompagnarsi con condimenti di verdure, o con un buon olio extravergine di oliva e una spolverata di parmigiano, per esaltare il gusto della pasta stessa. Il tempo di cottura è appena più breve della pasta di semola, perché questo tipo di pasta tiene meno la cottura.
Dal punto di vista ambientale, se paragonati ad altre materie prime impiegate per la produzione di pasta, come il mais, i legumi offrono diversi vantaggi: in molti casi provengono da coltivazioni biologiche, e inoltre è ben nota la loro capacità di fissare azoto atmosferico nel terreno grazie alla simbiosi con alcuni batteri, funzionando quindi da fertilizzanti naturali per rigenerare terreni stressati a causa di altre colture.
Unico inconveniente, il prezzo: se la pasta di semola industriale costa tra 1-1,5 €/kg di media, le paste di legumi staccano tra gli 8 e i 15-16€/kg per alcune tipologie presenti nei negozi specializzati. Questo è dovuto proprio alla materia prima impiegata: i legumi, rispetto al grano, hanno caratteristiche meno costanti, cosicché a causa di difetti dei semi si scarta una gran parte del raccolto, riutilizzato peraltro per mangimi animali o imballaggi innovativi. Inoltre, la domanda minore determina una produzione meno efficiente e quindi più costosa.
La Bona Usanza è una piccola cooperativa che dal 1996 opera a Serra de’ Conti (AN), un paesino nelle colline marchigiane del Verdicchio, tra Adriatico e Appennino. Il motivo che ha spinto i produttori di questa cooperativa ad unirsi è stato quello di preservare e salvare dall’estinzione piante e prodotti della tradizione agricola e gastronomica del loro territorio (legumi, cereali, dolci, salse) e difendere la biodiversità agroalimentare della propria zona. Tra i loro prodotti due sono stati riconosciuti Presìdi Slow Food: la cicerchia e il lonzino di fico.
In particolare, la cicerchia (Lathyrus sativus) è un legume molto antico, la cui pianta assomiglia molto a quella dei ceci. Proviene dall’Asia e ha visto la sua diffusione nell’area mediterranea, compreso il centro-sud dell’Italia; presenta buone caratteristiche di resistenza alla siccità e produce buoni raccolti anche nelle annate di scarsa produzione per le altre colture, tuttavia nel corso degli ultimi decenni la sua produzione era stata progressivamente abbandonata, causandone quasi la scomparsa. I produttori de La Bona Usanza hanno deciso di recuperarla, selezionando una varietà più piccola e spigolosa, con una buccia poco coriacea e un gusto meno amaro rispetto alle altre varietà.
Insomma, quelle che sembrano innovazioni del mercato alimentare che forse possono far sollevare il sopracciglio ai tradizionalisti e agli scettici, ecco che a volte possono diventare strumenti per risollevare l’economia di un territorio, recuperarne la tradizione e salvaguardarne la biodiversità. Piccole storie di resistenza che si uniscono all’innovazione: forse questo è il senso positivo del progresso.