Fuori uno scenario da film distopico: strade deserte come in “28 giorni dopo”; persone mascherate come in “Chernobyl”; file di gente davanti ai supermercati, alle farmacie, alle poste come ai tempi della guerra; uno strano silenzio che aleggia nell’aria, l’aria che diventa quasi un fardello, il respiro che si fa pesante sotto la mascherina; la paura del contatto, il terrore del contagio: l’amico, il vicino, il passante che potrebbero essere portatori di un virus come nell’”Invasione degli ultracorpi”.
Dentro, il perimetro domiciliare, una specie di bolla sospesa dalla realtà interrotta solo dalle sirene delle ambulanze; un’isola solitaria con uno spaziotempo differente dentro cui misurare la propria esistenza di reclusi; un contenitore di letture, visioni, assaggi, ricordi, pensieri.
___§___
Martedì 17 marzo
___§___
Mercoledì 18 marzo
Se n’è andato Gianni Bolzoni, patron del «Fulmine» di Trescore Cremasco. La prima volta che ne sentii parlare fu da Gianfranco Soldera, un altro che da circa un anno non c’è più. Allora stavo muovendo i miei primi passi nel mondo del vino. Mi disse, tra sincerità e provocazione, com’era nella sua natura, che il Fulmine era il miglior ristorante lombardo. Era un’isola del buon gusto dove il tempo sembrava essersi fermato. Ufficialmente era una trattoria, ma i buongustai sapevano che la cucina di Clemy, la moglie di Gianni, aveva un altro passo. Ci si andava per un culatello coi fiocchi, per un’oca cucinata a regola d’arte o per una squisita scaloppa di foie gras. La cantina era un archivio di classici, tra i grandi Barolo di Langa e il Barbacarlo, disponibili anche in vecchi millesimi. Gianni Bolzoni conduceva da cinquant’anni il locale del padre. Per come lo conoscevo io, era un uomo amabile e paziente, innamorato del proprio lavoro. Aveva ottant’anni, il coronavirus non l’ha risparmiato.
___§___
Giovedì 19 marzo
Cerco di mettere ordine nei numerosi file delle fotografie digitali. A metà giornata avrò fatto sì e no un quinto del lavoro che mi ero proposto.
Finisco di vedere The Outsider. È una serie sorprendente, la più bella e compiuta tratta da un romanzo di Stephen King. Di più, uno dei migliori adattamenti in assoluto di una delle sue opere. Un horror che gioca con le suggestioni anziché con il sensazionalismo, sul non detto anziché sull’esplicito, prendendosi tutto il tempo che serve per procedere: ha un ritmo ipnotico, meditativo, ellittico. Ben Mendelsohn è Ralph Anderson, un pragmatico poliziotto con un peso schiacciante sul cuore, uno che, come tutti noi, crede a quello che vede e non è disposto a prendere in considerazione ipotesi che arrivano dal mondo del fantastico e del perturbante. Un uomo non può essere contemporaneamente in due luoghi diversi. Gli farà cambiare idea l’investigatrice privata Holly Gibney (Cynthia Erivo), un personaggio che entra in scena a metà dell’intreccio e che da sola vale tutto il serial. Nel volto segnato di Ralph c’è tutta la sofferenza, la frustrazione, la rabbia, l’incredulità, il dolore di un uomo che ha guardato in faccia il mondo del possibile, e che dal possibile ha visto scaturire l’orrore. «Cos’altro c’è la fuori?», chiede a Holly nel finale, dopo un significativo scambio di sguardi. L’originale è ancora più efficace, perché si connette direttamente al titolo: «What else is out there?».
___§___
Venerdì 20 marzo
Nel terzo volume dell’Antologia della poesia italiana, edizione Pléiade Einaudi, m’imbatto quasi per caso, sfogliando le pagine dedicate a Franco Fortini, in una poesia di Goethe, Wandrers Nachtlied, Canto notturno del viandante. Le «venti parole più famose della poesia tedesca» (Leo Spitzer) hanno un ritmo magnifico e una sonorità assoluta.
Über allen Gipfeln
Ist Ruh,
In allen Wipfeln
Spürest du
Kaum einen Hauch.
Die Vögelein schweigen im Walde.
Warte nur, balde
Ruhest du auch.
Traduco così:
Su tutte le vette
è quiete,
fra tutte le cime
senti
appena un respiro.
Gli uccellini tacciono nel bosco.
Attendi solo un po’, presto
ci sarà quiete anche per te.
Giusto per un confronto, riporto la traduzione di Franco Fortini nello stesso volume:
Quiete tutte le cime.│ Su tutte le rame alte │ appena un fiato. │ Muti i piccoli uccelli del bosco. │ Fra poco, guarda │ requie anche per te.
E quella di Maria Teresa Giannelli (Goethe, Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, volume primo, tomo primo):
Su tutte le vette │ regna la calma, │ tra le cime degli alberi │ non avverti │ spirare un alito: │
nel bosco gli uccellini stanno silenziosi. │ Aspetta un poco! Presto │ Anche tu avrai riposo.
___§___
Sabato 21 marzo
Era venuto all’anteprima al Cinema Arcobaleno con la moglie Paola, sedendosi poco prima che iniziasse la proiezione e andandosene via durante i titoli di coda. Ho poi saputo che gli era piaciuto. Finite le riprese, gli avevo regalato una bottiglia del Buttafuoco Bricco Riva Bianca di Andrea Picchioni, un rosso il cui carattere per molti versi lo rappresenta.
Che la terra ti sia lieve, Gianni.
___§___
Domenica 22 marzo
Dal 1977 al 1982 un Arbasino dai baffi spioventi e dall’impeccabile aplomb ha condotto per la RAI una trasmissione chiamata Match – Domande incrociate, disponibile gratuitamente su RaiPlay, che è d’obbligo vedere per recuperare un impagabile documento d’epoca, una televisione che non esiste più. Tra gli altri, non si può perdere il confronto tra un azzimatissimo – più ancora dello stesso Arbasino! – Mario Monicelli e l’allora ventiquattrenne, e già spocchioso, Nanni Moretti, che rappresentava il giovane cinema indipendente italiano, quello dei “cinemini off” (aveva appena realizzato in Super8 Io sono un autarchico), in contrasto con il successo mainstream di Monicelli (il quale riteneva che i blockbuster americani non avessero futuro e che il cinema americano degli anni Settanta non fosse in grande salute…). Oppure la singolar tenzone, decisamente più illuminante, tra Indro Montanelli e Giorgio Bocca.
Li trovate qui:
Mario Monicelli Vs Nanni Moretti
Indro Montanelli e Giorgio Bocca
Un cult movie è qualcosa di diverso da un capolavoro. È un film che riguardi ogni volta che puoi anche se lo sai a memoria, è un film di cui guardi anche solo una scena. Il giocatore è uno di questi. Il cast è da urlo: Matt Damon, Edward Norton, John Malkovich, John Turturro, Martin Landau, più due attrici come Gretchen Mol e Famke Janssen che incarnano due antitetiche quanto irresistibili idee di bellezza. La storia, di perdizione e riscatto, è avvincente, i personaggi (maggiori e minori) perfettamente delineati: Matt Damon è quello che crede ancora all’amicizia e che capisce che non diventerà mai un avvocato, Norton è il balordo che non riesce mai a combinare la cosa giusta, Turturro è il giocatore che non rischia mai più del dovuto, Landau un uomo perbene e Malkovich è Teddy Kgb, mafioso russo e giocatore imbattibile. In più di un’occasione si vede alla televisione il grande bluff del due volte campione del mondo Johnny Chan ai danni di Erik Seidel al Main Event delle World Series of Poker del 1988: la mano, giudicata uno dei capolavori della storia del poker, sarà decisiva per le sorti del protagonista.
___§___
Lunedì 23 marzo
___§___
Martedì 24 marzo
Riassaggio il Dolcetto d’Alba Coste & Fossati di Vajra, aperto domenica. Non cede un grammo del suo carattere e della sua succosa bontà. Tanta mora e quel tratto di umore vulcanico che non si capisce da dove esca ma che è una delle sue peculiarità. Ferroso, pepato, con un tannino al contempo vellutato e vigoroso. Che polpa, che vibrazione!
___§___
Mercoledì 25 marzo
Giornata caliginosa. Dalla finestra della camera da letto vedo il giardino comunale deserto. Ogni tanto fa capolino qualche signora con il cane al guinzaglio.
Leggo Rilke. Mi s’imprime un verso, heureuse rose, “rosa felice”. È nella prima lirica del componimento Les Roses. È un verso magnifico, musicale, di ritmo assonante, quasi rimato. Rilke è un poeta grandioso perfino in francese, che non era la sua lingua madre.
Il tatto, il contatto. Nel vino è fatto personale, privato. Sarà così anche per noi dopo la pandemia, un’esperienza al singolare? Rimarremo a debita distanza l’uno dall’altro, rinunciando alle strette di mano, agli abbracci?
___§___
Giovedì 26 marzo
Ci bevo sopra. Il Poiema 2016 di Eugenio Rosi conserva tutti gli spigoli acidi e il frutto selvatico del marzemino, conferendogli però una dimensione più matura e compatta.
___§___
Venerdì 27 marzo
«In Lombardia i malati tornano a salire, allarme Milano. USA primo Paese al mondo come contagi. Scuola: maturità semplificata. Uno studente su cinque senza lezioni online. La UE spaccata rinvia le decisioni contro l’epidemia» (la Repubblica). «Scontro in Europa sugli aiuti. Lo strappo di Conte: se è così facciamo da soli. I Paesi del Nord contro i bond. Il ministro tedesco Maas: usare i fondi che ci sono» (Corriere della Sera). «Malagò riapre alle “scommesse”. Richiesta del Coni al Governo: “Sulla pubblicità del betting giusto cambiare”. Uefa e Figc: “La A può giocare a luglio”. “Cairo: sarebbe accanimento”» (La Gazzetta dello Sport).
___§___
Sabato 28 marzo
Finisco di vedere la prima stagione del Trono di Spade. Dieci puntate bevute d’un fiato fino al traumatico colpo di scena finale. Per lungo tempo ho snobbato la serie, pensando – erroneamente – che fosse un fantasy mainstream sulla falsariga del Signore degli anelli. Mi sbagliavo e ora ne sono addicted.
Nottetempo, riguardo La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati. È un film che mi ha sempre fatto un po’ paura, non come Profondo rosso, ma poco ci manca. L’idea di girare un film del terrore in pieno giorno, nelle umide campagne della Bassa; il pittore delle agonie; Lino Capolicchio che sembra nato per quella parte; la rivelazione a metà tra il grottesco e il terrificante; il finale sospeso e quel senso di allarme che ti morde la nuca e ti costringe a tenere accesa la luce ancora un po’…
Bevo un bicchiere del leggiadro Col Fondo 2016 di Mongarda prima di coricarmi: una letizia effervescente che profuma di fiori e che ha il sapore sassoso delle dolomie.
___§___
Domenica 29 marzo
Muore a Cracovia all’età di 86 anni Krzysztof Penderecki, compositore e direttore d’orchestra polacco, tra i protagonisti della musica della seconda metà del Novecento (Anaklasis, I diavoli di Loudon, La passione di San Luca), ma la cui notorietà si deve soprattutto all’uso delle sue opere in Shining di Stanley Kubrick, dove alcune parti di Utrenja, De Natura Sonoris, Kanon e Polymorphia – quest’ultimo utilizzato anche in un altro celebre horror come L’esorcista di William Friedkin – contribuiscono a creare le indimenticabili atmosfere impregnate di tensione, allarme, paura di uno dei capolavori della storia del cinema.
A cena mi ristoro con lo Chambave Moscato Passito Prieuré 2009 La Crotta di Vigneron, che si presenta in uno stato di forma smagliante: una fusione irresistibile tra spirito mediterraneo (erbe aromatiche con rosmarino a gogò, albicocche secche, bocca pastosa) e verve montana (freschezza balsamica, contrasto acido, ritmo gustativo). Che delizia.
___§___
Lunedì 30 marzo
Leggo su «la Repubblica» che, nonostante le esortazioni del presidente Mattarella, il decreto Cura Italia viene appesantito di ben 1126 emendamenti per un faldone di 1700 pagine, manco fosse la Commedia Umana di Balzac. Ma questa è decisamente una commedia peggiore.
Leggo su «Il Corriere della Sera» che Gabriele Lavia adatterà per il cinema L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello. Operazione non facile. «È la più difficile da tradurre nel linguaggio filmico: la vicenda è ambientata in un unico luogo con un solo protagonista e il testo straborda di parole: il teatro è parola, il cinema è immagine in movimento, quindi la mia operazione è un controsenso e sto portando avanti questo progetto con pudore, tremore». Una consapevolezza che speriamo si traduca in atto. Seconda Lavia, ai tempi dell’attuale epidemia, Pirandello avrebbe scritto «una novella dove marito e moglie, che si odiano, sono costretti a convivere chiusi in casa. Ma con loro c’è anche una servetta, soprannominata la Sgricia, che in siciliano significa topolina di campagna e che, pur essendo brutta, comincia a essere guardata dal marito con occhi diversi. E così di notte, quando la moglie dorme, lui va a bussare alla sua stanza e...».
Un amico mi invia via WhatsApp il pdf dell’album Panini dedicato ai Mondiali di Calcio del 1982. È stato il mio primo Mondiale. Si aprono una selva di ricordi. L’estate a San Terenzo, il borgo di Lerici; la pesca mattutina sugli scogli; le partite a calcio sulla spiaggia; i gialli di Agatha Christie ed Ellery Queen nelle edizioni Oscar Mondadori, quelli con le copertine di Ferenc Pinter, che compravo nella libreria di un carruggio e che divoravo in poche ore; i gol di Paolo Rossi; la parata di Zoff su Oscar nel finale di Italia-Brasile; la festa notturna per le strade dopo la vittoria contro la Germania…
Gli anni che al tempo avevo davanti a me, ora sono dietro.
___§___
Martedì 31 marzo
A cena mi aspetta una torta con cinquanta candeline, una scena d’altri tempi. Lo Champagne N.P.U. 2004 Paillard unisce impagabilmente il lato terziario della noisette, del terriccio, degli champignon del sottobosco alla freschezza degli agrumi canditi, e incanta con una carbonica minuta e continua. Il Barbacarlo 2015 di Lino Maga è il consueto, invitante florilegio di frutto d’uva, di mora selvatica, di succo irresistibile, di effervescenza spensierata, di tannino vigoroso. Il Vino Santo 1970 Fratelli Rigotti, mio coetaneo, impressiona per l’inarrestabile complessità aromatica (menta, fragranze balsamiche, erbe aromatiche-officinali, noce, frutta secca, tabacco, caffè, liquirizia), la densità da capogiro, il contrasto vivificante, il finale interminabile. È uno dei più grandi vini dolci che abbia mai bevuto.