Le nozze di Cana/1

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Si è fatto molto parlare in questo periodo della proposta di consentire l’abbassamento del grado alcolico dei vini attraverso pratiche di dealcolizzazione per ridurre o eliminare completamente (cosa chimicamente molto difficile) l’alcol dal vino. L’Unione Europea (UE), nella logica della lotta al cancro, ha individuato come nuovo nemico da combattere il vino, che tra gli alcolici in commercio è tra i più bassi come contenuto di alcol, birra esclusa (di cui però in genere si fa un consumo più ampio anche come porzione, e quindi si equipara il contenuto assoluto), e sta intervenendo su vari settori: una etichettatura alimentare obbligatoria, la lista degli ingredienti e eventualmente dei disclaimer sul pericolo dell’uso (io direi meglio abuso) dell’alcol. La proposta di consentire dunque la dealcolizzazione dei vini per produrre “vini dealcolati” rappresenta una possibilità, già presente in altri paesi non UE e in UE parzialmente (reg. UE  606/2009), che mira secondo le intenzioni del legislatore a una protezione del consumatore dai danni dell’alcol.

Fin qui la cronaca. A questo punto però bisogna aprire, a mio avviso, una discussione più ampia sul vino del futuro e su cosa si sta muovendo nel mercato e nella tecnica.

La dealcolizzazione è a mio avviso l’ultima ratio dei produttori e rappresenta soprattutto una scorciatoia molto costosa a livello di investimenti che però potrebbe essere finanziata da sovvenzioni pubbliche. Si incontra dunque anche qui quel divario che il mercato sempre più sta rimarcando tra vini”naturali” e vini “industriali”, dove l’interventismo in cantina (magari non dichiarato) la fa da padrone.

Un  fattore che ha acuito il problema è legato all’innalzamento delle gradazioni alcoliche dei vini negli ultimi anni che, complice anche il cambiamento climatico, stiamo registrando in diverse aree del nostro paese. Chi come me ha una certa memoria storica delle annate, ricorderà che i Brunello di Montalcino delle annate 1985-90 si aggiravano spesso sui 13-13,5  gradi e lo stesso disciplinare pubblicato nel 1998 porta come gradazione minima i 12,5 gradi per questo vino, cosa quindi molto lontana dagli odierni 14-15 gradi a cui siamo ormai abituati. Una evoluzione dalle molte cause e implicazioni che vediamo di enumerare brevemente, sempre concentrandoci sul Brunello di Montalcino, che è un paradigma dell’evoluzione delle tecniche nel vigneto.

La vigna

Partendo dal disciplinare del 1998 si evince che la densità di impianto minima era di 3000 ceppi ad ettaro, con una superficie teorica a disposizione per le piante paria 3,33 mq disponibili per ceppo; oggi, con un impianto moderno, siamo a 2,2 mq con una riduzione di oltre il 30% della superficie esplorabile dalle radici.

Ma ancor più importante è la distanza sulla fila e i cloni utilizzati. Oggi infatti la distanza sulla fila è scesa molto, e rispetto  agli  1 x 3,3 metri del disciplinare oggi si pianta spesso a 0,85 x 2,5 arrivando così facilmente ai 4700 ceppi ad ettaro. Il peso medio dei grappoli dei cloni più diffusi negli anni Novanta era sui 300 grammi, mentre già nel 2008 furono omologati cloni di sangiovese con peso medio del grappolo pari a 200 grammi. Questo fa comprendere come, fermo restando il numero di grappoli per ceppo (per esempio 10), si passa da 3 kg a ceppo a 2 kg, con una maggiore concentrazione di zuccheri nei grappoli dovuta alla riduzione della vigoria, portata dall’aumento della densità di impianto e a un più alto grado di maturazione delle uve dovuto al migliore rapporto tra superficie fogliare e produzione per ceppo.

Un’altra pratica che ha influito molto al miglioramento qualitativo della produzione, ma anche all’innalzamento del grado zuccherino delle uve, è quella del diradamento dei grappoli. Questa pratica, introdotta allo scopo di migliorare il contenuto polifenolico delle uve, è stata adottata come di routine anche per contenere la produzione e riportarla nelle quantità previste dal disciplinare di produzione, fissate a 8 tonnellate per ettaro ma che possono essere ridotte dal Consorzio in talune annate.

La cantina

Fattori importanti di controllo e gestione delle fermentazioni sono sicuramente la termoregolazione delle vasche e i ceppi di lieviti. Il controllo della temperatura della fermentazione, oggi ubiquitario nelle cantine moderne, non lo era così tanto negli anni ’80 del secolo  scorso. In particolare  all’epoca si procedeva alla fermentazione in tini tronco-conici, a volte di legno, oppure in tini in cemento non equipaggiati da impianti di refrigerazione, in particolare per i vini rossi. D’altra parte il rischio di arresti fermentativi per innalzamento della temperatura del mosto con  gradazioni intorno ai 13 gradi è sicuramente meno probabile che quando si opera a gradazioni potenziali di 14,5 -15 gradi. La gestione della temperatura, d’altro canto, favorisce l’efficienza di trasformazione dello zucchero in alcol da parte dei lieviti e limita le perdite per evaporazione dell’alcol durante la fase fermentativa.

I ceppi di lieviti selezionati introdotti dagli anni ’80 nelle cantine e sempre migliorati per garantire la massima efficienza  in diverse condizioni di fermentazione, hanno  migliorato molto la qualità e la stabilità dei vini prodotti (consentendo per esempio il consumo totale degli zuccheri anche in condizioni difficili e garantendo così una migliore conservabilità dei vini); hanno però portato con sé, in molti casi, una più alta efficienza fermentativa innalzando il tasso di conversione tra zuccheri e alcol.

Così si è passati dai 17 grammi di zucchero per produrre 1% di alcol ai 16 grammi di zucchero. Considerando una dotazione media di un mosto intorno ai 220 gr/l di zuccheri, passeremmo dai 13 gradi dei vecchi ceppi o delle fermentazioni spontanee ai 13,8  gradi dei nuovi ceppi. Questo fatto, unito alle minori perdite per evaporazione dovute al controllo delle temperature e al passaggio da tini aperti a tini chiusi, che come detto riducono la perdita per evaporazione dell’alcol, può fa guadagnare anche 1 % di alcol tra un tipo di fermentazione e l’altra.

Il consumatore

Ma perché si è arrivati a questo innalzamento del grado alcolico? La qualità tecnologica e organolettica di un vino dipende dalla qualità tecnologica delle uve. Tutte questi cambiamenti introdotti nel tempo sono figli del cambiamento di gusto nel consumatore. Negli anni il gusto generale degli enofili si è modificato, valutando molto più positivamente le caratteristiche fruttate e armoniose dei vini e penalizzando i vini troppo acidi, tannici o vegetali. Questo aspetto ha innescato un processo di affinamento delle tecniche agronomiche ed enologiche volto a raggiungere quegli standard richiesti dal consumatore: vini morbidi, fruttati, persistenti, con sensazioni dolci.

L’obiettivo è stato raggiunto migliorando la maturità fenolica delle uve rosse e la maturazione aromatica delle uve bianche. Questi scopi però si raggiungono quasi sempre in associazione a un più alto accumulo di zuccheri e un conseguente maggior grado alcolico. È quindi la ricerca della piacevolezza nei vini che, negli anni, assieme alle modificazioni agronomiche ed enologiche sopra descritte, ha spinto verso l’alto il grado alcolico anche in annate medie.

Foto Tratta da Terra e Vita

Il cambiamento climatico

A tutto questo si aggiunge il cambiamento climatico, con l’innalzamento delle temperature ma soprattutto con l’acuirsi dei periodi siccitosi e le cosiddette ondate di calore, che ha favorito in alcune annate una parziale disidratazione delle uve o una accelerazione del processo di maturazione, che ha spinto ancora più in alto in contenuto di zuccheri nelle uve alla raccolta.

Tutte queste cause, e altre ancora che qui non abbiamo affrontato, hanno portato a un innalzamento dei gradi alcolici ma anche a un miglioramento qualitativo dei vini che degustiamo ai nostri giorni. La volontà di dealcolizzare il vino non è certo innocua a livello organolettico e per la stabilità del vino stesso, e quasi sicuramente si porterà dietro altri interventi necessari in stretta conseguenza della destabilizzazione del sistema colloidale del vino,  che faticosamente raggiunge nel corso del suo affinamento.

Nel prossimo articolo vedremo di mettere in luce le pratiche agronomiche ed enologiche già disponibili per ridurre il grado alcolico nei vini, senza che si arrivi a dealcolizzare o snaturare gli stessi.

 

Lamberto Tosi

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