Personalmente, dopo anni e anni di assidua frequentazione, sento proprio l’esigenza di ritornare puntualmente in questa stupenda regione. Oltre a ciò, ritengo che l’Alto Adige detenga, tra i tanti primati, quello di possedere la media più alta in relazione alla qualità delle cantine cooperative. Kellerei Girlan, ovvero Cantina Girlan, è stata fondata nel 1923 in uno storico e pittoresco maso del XVI secolo. Al suo esordio, appena 23 i viticoltori considerati pionieri, coloro che costruirono le fondamenta di quella che oggigiorno viene considerata una delle cantine più importanti dell’Alto Adige.
Da ormai 12 anni l’azienda ha avviato un processo di ammodernamento che attualmente rende possibile la produzione annua di 1.350.000 bottiglie, suddivise tra 55% bianchi e 45% rossi, la riprova che le grandi cantine dell’Alto Adige credono fortemente nel potenziale del territorio a 360°. Veniamo dunque alla protagonista del mio articolo, la pluricentenaria A.A. Schiava Gschleier Alte Reben 2020, ma attenzione, con questo non intendo dire che sto per recensire un vino che ha oltre 100 anni, ma semplicemente che Alte Reben in tedesco significa “vecchie vigne”, e che la cantina di Cornaiano è famosa perché alcuni dei migliori appezzamenti superano abbondantemente il secolo d’età, sfiorando addirittura i 110 anni, altri invece si aggirano attorno agli 80.
Il vino si presenta in veste rubino vivace, attraversato in controluce da lampi granata, tonalità tipica della schiava che in sé mantiene sempre una trasparenza incantevole; buon estratto: roteandolo all’interno del calice disegna archetti fitti e ben delineati. Il naso è la quintessenza del garbo e della sobrietà; per nulla sfacciato, si apre a percezioni di frutti “croccanti” quali riber rosso, visciole, mirtillo nero, e a un freschissimo accento balsamico che sa di eucalipto, e ad accenti boschivi di pino mugo; dopo circa quindici minuti dalla mescita il pepe nero fa capolino, impreziosito da pennellate floreali di rosa, timo e da una chiusura che rimanda inesorabilmente al terreno da cui nasce: mi sovviene l’argilla e la pietra polverizzata.
La complessità fa pensare a un lungo lavoro di selezione in vigna, ad una maniacalità che porta sempre a grandi risultati, e il palato non fa che confermare questa tesi. Il sorso è caratterizzato da un andirivieni di sensazioni acide e sapide perfettamente sincronizzate tra loro, sembra la finale olimpica di canottaggio dei gloriosi fratelli Abbagnale, la consueta sobrietà la ritrovo anche al palato: per nulla ingombrante, misurato, coerente con le sensazioni speziate e balsamiche, in un allungo finale che lascia un ricordo di estrema pulizia, con succo e materia di altissimo livello. Che altro dire: chapeau!
Servito a 14-16°, temperatura ideale considerato il caldo, l’ho piacevolmente abbinato ai maccheroni alla pastora – tra i primi piatti più famosi dell’Alto Adige –, ovvero una sorta di ragù leggero di carne arricchito con piselli, prosciutto, funghi, cipolla bianca e un goccio di panna.
___§___
Per quanto non indicato, contributi fotografici della Cantina Girlan.