L’occasione era fornita dalla prima edizione de “I Magnifici 16”, evento organIzzato dall’attivissimo Istituto Marchigiano Tutela Vini, vero e proprio Consorzio di consorzi, nato in tempi non sospetti con l’idea di unire le risorse comuni a fini promozionali e di tutela, con un orizzonte più ampio. E’ un organismo che riesce a cooptare e far convergere le istanze, solo apparentemente dissonanti, di più distretti produttivi, accomunati nel riconoscersi in un brand Marche collettivo e condiviso. Nella fattispecie, il proposito era di coinvolgerli tutti in una passerella mediatica/autocelebrativa non fine a se stessa, bensì nell’orgoglio di appartenere a una regione che niente ha da invidiare ad altri territori del vino più blasonati.
Leggenda vuole che esso abbia contribuito a plasmare la storia d’Italia, in quanto in epoca romana i soldati dell’esercito di Asdrubale (ovvero il fratello meno dotato di Annibale), avrebbero subito una disastrosa sconfitta nella battaglia del Metauro, anche per aver ecceduto nelle libagioni del vino locale, smorzando così il loro ardore combattivo… Vero o meno il riferimento storico, il bianchello, anche noto come biancame, è un vitigno autoctono a bacca bianca fatto recentemente oggetto (tanto per cambiare) di una faticosa riscoperta anche ad opera di un’associazione di produttori a lui dedicata.
Contro di esso (essa, l’associazione intendo) cospirano alcune circostanze avverse: in primis, il nome. Se il lemma Biancame ricorda pericolosamente l’intonaco, l’altro sinonimo (che poi è anche il nome della DOC ), peggio ancora, rammenta un prodotto industriale di grande successo, associato più ai grandi numeri che non alla comune accezione che si è soliti assegnare al termine qualità. Inoltre, anche nel suo areale produttivo, il Bianchello è sempre stato concepito come “vitigno produttivo” e “vinello quotidiano”. E così, disgraziatamente, per lungo tempo non era dato trovarlo nemmeno nei ristoranti di pesce della sua zona di elezione, sfacciatamente rimpiazzato con degli anonimi Ribolla o Pinot Grigio.
Il disciplinare non lesina con le produzioni per ettaro (140 q.li/ha max.), contempla un ipotetico taglio minoritario con la Malvasia Bianca (solo il 5% max.) per prendere atto della varietà colturale dei vigneti più vecchi (ma i vini sono in purezza praticamente sempre), e provvidamente prevede una tipologia Superiore che consente alle aziende di sbizzarrirsi con selezioni e affinamenti.
Il Bianchello Superiore poi, per via delle rese produttive più contenute (max. 110 q.li/ha), non disdegna legno, fecce fini e un’uscita più ritardata, per esibire di volta in volta una più spiccata mineralità, su richiami balsamici e affumicati, e addirittura talvolta un principio di evoluzione ossidativa. Nota di merito per i prezzi commoventi, e per il loro favorevole rapporto con la qualità, che testimonia circa i risultati degli sforzi dei produttori.
Non è mia intenzione proporre un incongruo paragone con il Verdicchio: trattasi di vitigni differenti, verosimilmente dal diverso potenziale espressivo ed evolutivo, peraltro molto più diffusamente esplorato nel caso del Verdicchio, stanti anche i numeri su diversi ordini di grandezza. Peraltro, ritengo che la mia sufficientemente esaustiva esperienza con il Bianchello (22 referenze assaggiate, anche più volte, di 12 aziende diverse), mi autorizzi ad affermare che meriti una considerazione, per il momento non ancora riconosciutagli, in quanto possono scaturirne vini assolutamente gradevoli, dalla beva rilassata e senza che questo implichi banalità, tra l’altro ad un prezzo moltocompetitivo. E inoltre, questa convenienza permette di guardare con occhio di riguardo i Bianchello Superiore, tipologia in divenire per i risultati che una maggiore esperienza consentirà di conseguire, ma di sicura gratificazione per chi ricerca l’opportunità di andare al di là dell’espressione varietale, e senza svenarsi.
Al di là della contabilità spicciola degli assaggi, che nella sua pignola speciosità ritengo svilente a prescindere, segnalo alcune referenze di rilievo:
La circostanziata scheda tecnica, oltre alla gradazione alcolica (13,5°), riporta, tra gli altri parametri, anche un rilevante 3,26 di pH. Di questo Superiore rimangono in listino anche annate un poco più âgé, come questo 2019, paglierino carico con una sfumatura verdolina, affumicato e balsamico con un tocco di frutta bianca, con un palato succoso ma teso, saporito (la salinità non gli fa difetto), in bella ripartenza da centro bocca su richiami floreali. Circa 10 euro in cantina, per il pubblico!
Le fa attualmente da consulente Emiliano Falsini, per un’operatività in cantina poco interventista tesa a preservare i precursori aromatici. Questa cuvée affronta una crio-macerazione, e successivamente il 20% della massa affina in legno sulle fecce fini: l’obiettivo di coniugare volume, tensione e profondità sapida è felicemente conseguito. Il colore carico tendente al dorato annuncia un naso idrocarburico, duro e puro, che svela un’altra sfumatura del vitigno; il sorso non difetta di morbidezza, ma è talmente verticale che pare più sottile di quanto in realtà non sia. Già godibile, per palati avvertiti, lascia l’impressione di avere ancora tempo davanti a sé. Anche qui, clamorosi gli 11 € al pubblico in cantina.
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Le faccio i miei complimenti per l’indicazione prima del produttore poi del tipo di vino e infine dell’annata. Bibliografico!
Dino gent.mo, grazie dell’attenzione dedicata al mio articolo.
Sinceramente non c’è stata una riflessione a monte in merito al modo più appropriato di indicare i vini prescelti per la citazione.
Probabile che, inconsciamente, abbia riconosciuto il valore del complesso della produzione di quella specifica azienda, ed allora mi sia venuto fatto di indicarla per prima. Peraltro, nelle mie note di assaggio riporto prima il nome dell’azienda e solo poi quello del vino, anche perché nei “walk around tastings” di solito si procede banchetto per banchetto, e quindi capita di assaggiare di fila tutte le referenze di interesse di uno specifico produttore.
Mi corre l’obbligo di specificare che non è che le altre cantine presenti non avessero etichette di interesse, anzi.
Avrei potuto citare più vini. Ma sono contrario per natura ai report di degustazione stile elenco telefonico, alle litanie di riconoscimenti, ecc. Mi piace più tentare di contestualizzare.
Cordiali saluti e buone vacanze
Riccardo Margheri