I Magnifici 16 delle Marche/2 – Colli Pesaresi Sangiovese

0
519

Il lato rossista del tour effettuato in provincia di Pesaro per l’evento “I magnifici 16”, dedicato ai vini marchigiani nella loro totalità, è stato numericamente molto meno affollato rispetto agli assaggi di vini bianchi, e segnatamente rispetto alla mia full immersion nel mondo del Bianchello, di cui ho già dato conto. Ma in compenso è risultato deliziosamente variegato: non sono davvero mancati i motivi di interesse, né gli assaggi dotati di caratteristiche particolari;, merita quindi descriverlo in più di un articolo, se non altro per evitare l’affastellarsi delle impressioni.

Per i produttori di Bianchello del Metauro, tendenzialmente il riferimento normativo per la produzione di vini rossi è la denominazione Colli Pesaresi Sangiovese DOC. Per vicinanza geografica, il clone e i vini medesimi sono piuttosto simili a quelli della limitrofa sottozona San Clemente del Romagna Sangiovese DOC: un areale caldo, di media elevazione, ben esposto, che insiste su gessi e argille colorate, per vini di struttura ma al contempo di pimpante spinta acida.

Se sia nato prima l’uovo o la gallina, ovvero se sia il Sangiovese d’oltre Appennino ad aver originato i biotipi toscani, o viceversa, è questione di scarsa rilevanza, finché si riconoscono una traccia e un’espressione condivisa per territorio. Più nello specifico, i vini somigliano ai loro contraltari romagnoli, per la fitta tessitura di un tannino estratto senza eccessi, per il palato alleggerito dalla freschezza ma tutt’altro che magro, per la nettezza dell’espressione fruttata.

Il corpo e la massa di tannino possono variare considerevolmente in funzione dello stile aziendale, e così si passa da versioni relativamente alleggerite a conseguimenti decisamente più ambiziosi, che non disdegnano la presenza del rovere in misura anche non timida. Peraltro, anche qua il riscaldamento globale ha imposto gradazioni alcoliche piuttosto importanti, alle quali viene in soccorso un tannino mai sopra le righe, che consente anche una temperatura di servizio (in estate) un poco più bassa.

Il disciplinare limita la provenienza delle uve esclusivamente dai vigneti vocati (giaciture non di pianura, suoli argilloso-calcarei di medio impasto), concdendo rese piuttosto allegre (120 q.li/ha) da vigneti non necessariamente fitti (i nuovi impianti possono avere anche solo 2.500 ceppi/ha). Ulteriori specificazioni sarebbero state difficilmente giustificabili, in un areale di produzione che va praticamente dalla riva del mare alle pendici dell’Appennino. In termini di ricerca qualitativa, convince di più una resa massima di uva in vino solo del 70%, meno l’autorizzazione all’arricchimento a prescindere.

Esiste una tipologia Riserva (ma anche il Novello…) ovviamente più ambiziosa (solo 100 q.li/ha, affinamento minimo di due anni, non necessariamente tutti in legno, gradazione alcolica minima che sale da 11 a 12°, anche se oramai in tempi di global warming non è più un problema), ed è prevista pure una sottozona dallo sciaguratissimo nome “Parco Naturale Monte San Bartolo” (sic), che se qualcuno ne ordinasse una bottiglia al ristorante si meriterebbe come minimo un calice come bonus… Il quale Parco è poi un’amena e bellissima area immediatamente a nord di Pesaro, con vigne vista mare disposte su scogliere ripide e ventilatissime, ove in caso di burrasca la spuma delle onde probabilmente giunge ad accarezzare i grappoli.

Non sono in condizione di giudicare se le 10 etichette assaggiate costituiscano un campione rappresentativo. I dati 2022 di Federdoc per la denominazione nel suo complesso riportano 67 denunce di produzione per ca. 10.500 quintali d’uva, corrispondenti a poco più di 7.300 hl di vino, come dire intorno al milione di bottiglie. Quante di queste siano Sangiovese nelle sue svariate tipologie, non ho i dati per confermarlo. Concedo fiducia agli organizzatori delle nostre esperienze di degustazione in veste di novelli Virgilio a farci da guida in contrade tutt’altro che infernali, e assumo che i nostri assaggi possano delineare un’immagine veritiera della tipologia, o per meglio dire della locale interpretazione del vitigno nelle sue varie declinazioni.

Con questo assunto è difficile tracciare un profilo univoco: in generale le estrazioni non sono necessariamente timide, e il corredo aromatico non manca di fragranza e di toni floreali, in pratica più simile alla mia idea di Sangiovese romagnolo, piuttosto che toscano. Plaudo alla mancanza di etichette di stile “dimostrativo”, palesemente surmaturate ed allegramente estratte, congegnate per impressionare con brutale impatto piuttosto che ammaliare a suon di sfumature. Anche quando l’aspirazione a produrre un vino “grosso” è risultata palese, una provvidenziale dote di acidità è riuscita comunque a mantenere la beva entro limiti accettabili. Peraltro, non mancava una referenza oserei dire “amaroneggiante”, mentre due altri vini tagliati con il Montepulciano ne risultavano parecchio marcati dal punto di vista aromatico, e un altro con saldo di Merlot era gradevole ma un po’ banale.

In un panorama di generalizzata piacevolezza (bottiglie che mi sarei bevuto senza fatica, pur senza esaltazione), la stessa artefice di quel vino ammiccante di stile internazionale mi ha impressionato con l’assaggio più riuscito, sia in termini di profondità che di generale complessione. Il Cardomagno de Il Conventino di Monteciccardo, inconsueto Sangiovese grosso dalle rese basse (60 q.li/ha) coltivato su argille ben esposte e scalate in quota, non si spaventa nell’affrontare una macerazione di 20 giorni sulle bucce e 36 mesi in botti di rovere austriaco. L’annata 2016, che anche in provincia di Pesaro si è riproposta quanto mai fausta, esprime al naso frutta rossa con una maturità accattivante, che si ritrova intonsa sul palato, corroborato da una consistente sapidità. Il tannino è presente, grintoso ma non disturbante, e i 14° di alcool sono gestiti con nonchalance. A 20 € a bottiglia, è un bel comprare.

Ma non è finita qui: il Sangiovese, in centro Italia, te lo aspetti più o meno ovunque, ma vi sono pure altri vitigni dalla presenza sorprendentemente ubiqua, mutatis mutandis, e tale e tanta è la loro particolarità che ne parlerò in un altro apposito articolo.

___§___

 

Riccardo Margheri

Sono oramai una ventina d’anni che sto con il bicchiere in mano, per i motivi più disparati, tra i quali per fortuna non manca mai il piacere personale. Ogni calice mi pone una domanda, e anche se non riesco a rispondere di certo imparo qualcosa. Così quel calice cerco di raccontarlo, insegnando ai corsi sommelier Fisar, conducendo escursioni enoturistiche, nelle master class che ho l’onore di tenere per il Consorzio del Chianti Classico; per tacere delle mie riflessioni assai logorroiche che infestano le pagine web e cartacee, come quelle della Guida Vini Buoni d’Italia per la quale sono co-responsabile per la Toscana. Amo il Sangiovese, Il Riesling della Mosella, il Porto, ma non perdo mai occasione per accostarmi a tutto ciò che viene dall’altrove enoico. Vivo da solo e a casa non bevo vino, poiché per me il vino è condivisione: per fortuna mangio spesso fuori, in compagnia.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here