Il territorio vitivinicolo di Boca, e l’Alto Piemonte in generale, rappresenta per me un porto sicuro dove approdare ogni qualvolta sento la necessità di tornare a casa. Mi spiego meglio. Sono nato a Cameri (No), e da oltre diciassette anni vivo a Novara, il capoluogo della provincia in cui si trova il piccolo borgo sopracitato, che ha il pregio di plasmare nebbioli tra i più complessi e autentici del Piemonte. Ah, inutile scrivere “d’Italia”, perché salvo le apprezzate eccezioni provenienti dal territorio valdostano o lombardo, la nota cultivar è in Piemonte che regna. I tentativi di allevarlo altrove, oltre a questi luoghi radicati e reputatissimi, rappresentano a mio avviso esperimenti il più delle volte commerciali e nulla di più.
Marco è un grande appassionato di montagna: ama lo sci d’alpinismo, il trekking, la corsa e la sua terra natia; soprattutto la tranquillità, che regna sovrana all’interno di tutti quei boschi che sovente circondano le vigne dell’Alto Piemonte. Queste attitudini, unite alla tradizione familiare, lo convincono a ritornare a Grignasco; in primis per aiutare i genitori nell’attività ortofrutticola, e solo in un secondo momento ad avviare la propria attività vitivinicola.
“Ho sempre amato la vigna, la viticoltura, a 14 anni ho piantato la mia prima barbatella. La scelta del biologico certificato è un atto dovuto – racconta Marco –, il fine è quello di salvaguardare il più possibile questo ambiente che amo, dove la biodiversità è ancora all’ordine del giorno; inoltre bevo spesso i vini che produco, dunque è il minimo preservare la mia salute e quella del consumatore. La vigna storica di famiglia veniva trattata da mio nonno soltanto con rame e zolfo, dunque perché cambiare strada considerando il fatto che passo 10 ore al giorno tra i filari? Non voglio intossicarmi. La mia prima bottiglia di Boca Doc BIO corrisponde all’annata 2016.”
Non si può raccontare la storia del vino di Boca senza menzionare personaggi mitici come Antonio Cerri, forse il più importante di questa Doc dell’Alto Piemonte istituita nel 1969 e tra le più antiche d’Italia; colui che più di chiunque altro, fino alla fine degli anni ’80, ha saputo tradurre attraverso i propri vini l’originalità e la complessità del territorio. Ancor oggi, tra queste colline di origine vulcanica, è possibile apprezzare una biodiversità oggetto di studio da parte di svariati enti istituzionali: Club Unesco Terre del Boca, Sesia Valgrande Geopark, Ente Gestione Aree Protette Valsesia e Valgrande.
Occorre ricordare che alla fine degli anni Sessanta l’area era a rischio d’estinzione per il progressivo abbandono della vigna a favore del settore industriale. Nella seconda metà degli anni Ottanta è ripartito tutto grazie all’intuito di grossi investitori che, assieme ai produttori, hanno fatto conoscere i vini a livello internazionale. Il legame tra vino e paesaggio è fondamentale in Alto Piemonte, e rimane uno degli aspetti che apprezzo di più della mia terra.
Un altro noto personaggio nato e vissuto fra le colline del Boca, grande appassionato di viticoltura, fu indubbiamente il nonno di Marco Bui, da tutti chiamato “l’Enrico”. Nel 1950 acquista al prezzo di 780.000 lire una vigna storica della nota Traversagna, ancor oggi una delle aree più vocate dell’intero comprensorio, reimpiantata da Marco nel 2011. Giunti sulla parte più alta della vigna, davanti a noi è possibile ammirare un paesaggio tra i più belli dell’Alto Piemonte, una fotografia che consente di distinguere singolarmente, soprattutto nelle giornate di cielo terso, tutti gli areali dei principali distretti vitivinicoli tra la provincia di Novara, Vercelli, Biella e Vco. Occorre escludere da questa “cornice didattica”, per il momento, la Val d’Ossola, per ovvie ragioni geografiche.
Dando le spalle al bosco, e volgendo lo sguardo alla vigna, a destra troviamo le Alpi e e le Prealpi Biellesi – dunque il territorio di Lessona, ricco di sabbie plioceniche –, affianco le colline del Bramaterra, dove sono i porfidi a marcare sensibilmente i vini (così come a Boca), davanti a noi i cru più importanti di Gattinara (tra cui l’Osso San Grato), ricchi di ferro e di altri preziosi minerali, e a sinistra infine i pianalti della zona del Ghemme, Sizzano e Fara, così definiti perché in antichità rappresentavano il punto d’incontro dei ghiacciai che scesero dalle Alpi lasciando depositi morenici e fluvio-glaciali. L’Ossola conserva quest’ultima matrice territoriale ma, geograficamente parlando, gioca un campionato a parte, perché situata praticamente a ridosso delle montagne facenti parte dell’omonima vallata.
Per comprendere realmente il potenziale vitivinicolo dell’Alto Piemonte c’è da sottolineare che questo territorio, fino agli anni Cinquanta, contava ben 42.000 ettari vitati, dunque tra i più estesi dell’intera regione. L’avvento dell’industria e del conseguente boom economico fece desistere le nuove generazioni dal perpetuare le tradizioni familiari, avvicinandoli sempre di più alle opportunità lavorative fornite dalle industrie circostanti nel settore tessile e metalmeccanico. Queste aziende garantivano un lavoro sicuro e regolarmente remunerato, lontano dai mille capricci della natura che influenzavano fortemente il mondo dell’agricoltura dell’epoca.
Ma torniamo al vino di Boca. In questa antica Doc novarese si può produrre soltanto con uve nebbiolo (chiamato localmente spanna) nella proporzione 70-90%, vespolina e uva rara (chiamata anche bonarda novarese) da sole o congiuntamente dal 10% fino al 30%, e non può essere messo in commercio se non dopo un invecchiamento minimo di 34 mesi, di cui minimo 18 mesi in botti di rovere o di castagno. Le uve devono essere raccolte nella zona di produzione compresa nei comuni di Boca, Maggiora, Cavallirio, Prato Sesia e Grignasco, tutti in provincia di Novara.
Parlando di Boca è impossibile non citare il sistema d’allevamento conosciuto come maggiorina ed esistente da secoli in Alto Piemonte, costituito da tre viti sostenute da otto pali di castagno che si sviluppano ai quattro punti cardinali. L’architetto Alessandro Antonelli perfezionò la campanatura dei pali di sostegno, ottenendo una struttura autoportante molto più resistente ai carichi di uva. Antonelli è tuttora nel cuore dei novaresi, un personaggio e un’artista-icona del territorio; è sua la celebre basilica di San Gaudenzio, simbolo della città di Novara, così come il santuario di Boca, oltre alla celeberrima mole Antonelliana di Torino.
A tal riguardo ho trovato illuminante l’idea di applicare le reti antigrandine a tutti i filari, scelta poco condivisa in Alto Piemonte nonostante i fenomeni piuttosto intensi che hanno colpito gran parte del territorio negli ultimi anni. Le reti offrono molteplici vantaggi: schermano dai raggi del sole, rendono vita difficile ad ospiti indesiderati quali uccelli o cinghiali, fungono da diffusore per l’acqua derivata dalla pioggia. Marco confessa inoltre che in futuro la sua idea sarà quella di produrre un vino per ogni singola vigna; lo scopo è quello di mostrare le differenze nonostante i pochi chilometri che separano le tre diverse proprietà. In fondo l’Alto Piemonte, un po’ come la Borgogna, possiede queste peculiarità: moltissimi produttori studiano costantemente il territorio e sperimentano in cantina, e in vigna, mediante micro-vinificazioni.
Veniamo adesso agli assaggi effettuati in compagnia di Marco, che intendo ringraziare pubblicamente per la piacevole giornata trascorsa assieme e per l’accoglienza squisita.
Vino Rosso Virgilio 2021
Un bel rubino vivido con riflessi granata apre la strada ad un naso dove il sentore di pepe nero – contributo della vespolina – è sussurrato, fine, in levare, mai esuberante. Così come dev’essere, a mio avviso. Si avverte ancora una certa vinosità che ingolosisce parecchio, e la parte floreale ricorda la violetta e il geranio selvatico. Il frutto è suadente e al contempo ricco di acidità, caratteristica che ritrovo spesso nei vini di Marco. Anche la sapidità va a braccetto con il corpo, in un crescendo di sensazioni perlopiù appaganti che richiamano a gran voce l’abbinamento con salumi e formaggi non troppo stagionati; insomma, un vino “pericoloso” a tavola.
Vino Rosso Pio Decimo 2021
In questo caso lo spanna vinificato in purezza mostra tutte quelle doti che in passato hanno reso celebre il nebbiolo di Boca, e che negli ultimi anni grazie al cielo lo stanno riportando in auge. La trama cromatica è particolarmente luminosa, granata con unghia rubino e buon estratto. Lo avvicino al naso e la mente va al ricordo di tutti quei vini prodotti ai piedi delle Alpi. Detesto fare paragoni, ma farò un’eccezione a favore di tutti coloro che non hanno mai assaggiato un Boca; impossibile dunque non citare la Valtellina: frutti rossi -tra cui ribes e mirtillo rosso-, viola, erbe officinali e grafite. Ma non solo, vi ritrovo alcuni tratti tipici del pinot noir allevato in Borgogna, soprattutto di alcuni Fixin di Pierre Gelin, con incursioni di zagara e toni sulfurei; chiude il cerchio una chiara impronta “bochese” di scorza di arancia sanguinella e pietrisco. Ne assaggio un sorso e avverto l’ombra di un tannino il cui carattere traduce il profilo di un’annata che molto avrà da dire anche in futuro, oltre a un “peso specifico” commisurato alla profondità e alla potenza gustativa. Intendo riassaggiarlo più e più volte anche nei prossimi mesi per comprenderne meglio l’evoluzione, il buon prezzo (tra i 18 e i 22 euro) facilità questa mia ambizione. Risotto al vino Spanna con luganega fresca.
Boca 2020
Vivo sin dal colore – un bel granato luminoso che tende al rubino -, è prodigo di rimandi legati al territorio, ossia ai porfidi che caratterizzano il Dna di questi vini: scorza di arancia rossa sanguinella, ribes, timo e zagara, toni ferrosi/ematici e pepe nero; dopo lenta ossigenazione escono fuori smalto, grafite e incenso. Grande complessità ed evoluzione, soprattutto trascorsi 15-30 minuti dalla mescita; centro bocca di tutto rispetto, sferzante acidità e sale a dismisura. Tutto ciò si traduce in longevità. L’equilibrio è ancora lontano dal suo apice, guai se non fosse così, è un vino ancora in fasce ma che promette bene. In abbinamento tapolòn, o tapulone, d’asino con polenta bramata, il classico stracotto del novarese, con la ulteriore sottolineatura che la paternità della ricetta appartiene alla cittadina di Borgomanero.
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Contributi fotografici di Danila Atzeni