È dunque l’imbrunire quando scorgo la scenografica Tenuta del Buonamico, che si estende ai piedi del borgo storico di Montecarlo, che prese il nome nel 1333 in onore del futuro imperatore Carlo IV di Lussemburgo (prima si chiamava Vivinaia) e si trova a cavallo tra la Lucchesia, cui appartiene, e la Valdinievole. I dolci rilievi collinari intorno sono adorni di vigneti e uliveti. Il Wine Resort è un’architettura organica e moderna, coronata da un tetto verde che riproduce una foglia di vite ma che può anche sembrare il guscio di un carapace o, da alcuni scorci con le vele, una razza.
Ogni camera ha un design personalizzato, gli spazi sono ampi e confortevoli, c’è una vetrata panoramica che guarda i vigneti aziendali e il paese. Le vetrate sono dappertutto nel complesso, anche nei locali d’accoglienza della cantina: in nome di una trasparenza assoluta, il visitatore può sempre guardare oltre le pareti verso il paesaggio. La colazione viene sempre servita in camera. C’è un centro benessere dal design rarefatto (vasca idromassaggio, sauna finlandese, bagno turco con cromoterapia, zona relax) e una piscina all’aperto per la bella stagione. La struttura ricettiva, che contempla anche i matrimoni con rito civile in cantina, è stata inaugurata nella seconda metà del 2018. Nel ristorante Syrah, che ha forma curvilinee e accoglienti, si è circondati dal calore del legno, mentre la cucina (a vista) di Stefano Chiappelli si muove solida e sicura, anche tra le rielaborazioni del territorio come nei tordelli al ragù o nella rosticciana cotta a bassa temperatura e patate mascè. In sala presiede Andrea Minuti.
Il mattino seguente mi alzo sul presto per cogliere l’alba: il sole accende le architetture, trapassa i vetri, crea riflessi e controluce incandescenti.
«Montecarlo e tra le più piccole e antiche Doc d’Italia, le uve francesi sono qui da quasi centocinquant’anni, introdotti storicamente da un viticoltore, Giulio Magnani, alla fine dell’Ottocento dopo un viaggio in Francia», racconta il titolare. «Oltre al blend, oggi la Doc contempla anche i monovarietali», che però Tenuta del Buonamico preferisce imbottigliare sotto l’egida dell’Igt Toscana: «Il nome Toscana ha più eco mediatica e resa commerciale, è un brand talvolta più forte perfino del nome Italia, almeno per il vino». Paolo Lapini presiede alla conduzione agronomica, Alberto Antonini a quella enologica.
Il Montecarlo Rosso Etichetta Blu 2020 è un taglio al 70% di sangiovese e canaiolo (il sangiovese fa per la metà della massa un passaggio di un anno in barrique di secondo e terzo passaggio), mentre la restante parte è composta da merlot, cabernet sauvignon e syrah. Il colore è rubino intenso, il frutto – rosso e nero – ha buona ampiezza e profondità, il sorso è pieno, intenso, con un vigore alcolico (14%) ben incorporato. Ha equilibrio e scioltezza. «È il vino che bevo di più a casa».
Vivi 2022, vermentino in purezza, è un omaggio all’antico nome di Montecarlo, Vivinaia. «Fino agli anni Trenta quello di Montecarlo era considerato il più grande bianco d’Italia e come tale è stato servito al Principe di Savoia nel 1933. Ma il limite della zona di Montecarlo è sempre stata la piccola dimensione e la Toscana si è poi dedicata al rosso. Le origini della viticoltura locale pare risalgano addirittura all’840 a.C.». Paglierino intenso, naso ancora placido e orizzontale, bocca polposa, ricca, con un finale che recupera in termini di aromaticità e sapore (erbe, frutti bianchi). Vinificazione tecnica quanto oculata.
Il Vasario 2020 è un pinot bianco con il 30% della massa che fa un passaggio di un anno in tonneau usate con malolattica in legno. Il colore è paglierino intenso, il naso ha tratti burrosi e lievemente affumicati, il palato un boisé solido che non sottrae sapore.
Il Dea Rosa 2022 è un taglio di sangiovese e syrah vinificati in bianco con due ore di macerazione più un 10% – proprio dalla vendemmia 2022 – di sauvignon blanc. Colore rosa intenso, con l’accattivante accensione aromatica del sauvignon che si sente parecchio. Largo, piacevole, ben eseguito, fresco, molto pirazinico. «Il vino deve esprimere il territorio, ma anche essere pulito e soprattutto si deve bere: essere diretto e schietto».
La Gran Cuvée Brut Rosé Particolare (sangiovese e syrah vinificati in bianco e separatamente, 120 giorni di rifermentazione in autoclave) ha colore buccia di cipolla lieve, sentori di fiori rossi e fragoline, palato schiumoso, cremoso, piacevole, fresco, con punta di sapore finale. Molta bevibilità ma poca profondità e ampiezza, come si conviene a uno Charmat, ancorché lungo. «Per me la cosa più importante è la bevibilità, la bevibilità ti fa entrare in confidenza con il vino».
Il Premièr Brut Nature Particolare L’Inedito (pinot bianco) fa fermentazione in tonneau e 180 giorni in autoclave, con una tiratura limitata a 12.000 bottiglie. Ha colore paglierino intenso, sensazioni di tiglio, acacia, anice, palato di maggiore struttura.
Il Premièr Brut Nature Rosé Particolare L’Inedito (syrah, sangiovese) è speculare al precedente come metodo e tiratura. Rosa leggero, naso screziato da peonie e altri fiori rossi, palato vivido, esuberante, tonico, caratterizzato, con tanta rosa canina.
«Raccogliamo presto le basi spumanti, a inizio agosto. Dal 2021 facciamo una vendemmia notturna dalle 4 di notte alle 9 del mattino. Ed è una vendemmia meccanica. Questa è una zona molto ventilata, a luglio ci si veste per uscire alla sera. Rispetto alle colline lucchesi, Montecarlo è circoscritta, la Doc ha meno di 200 ettari, con tempi di raccolta veloci e suoli che dal medio impasto arrivano fino ai terreni rocciosi che conferiscono sapidità ai vini. Tra circa un anno dovrebbe arrivare il riconoscimento IGP Toscana per il Vino Spumante. Tra le Doc toscane solo quella della Maremma ha lo spumante nel disciplinare. In futuro la denominazione locale vorrebbe chiamarsi Montecarlo Toscana».
Il Cercatoja 2018 è un blend di sangiovese, syrah e cabernet sauvignon, tutti vinificati separatamente, maturati in barrique per 20/24 mesi e fatti affinare per un anno in bottiglia. Prodotto dal 1975, proviene dal toponimo Cercatoia (con la “i” al posto della “j”), è il cru dell’azienda ed è sempre stato prodotto ad eccezione del 2002 e del 2014. Colore rubino intenso, bella natura fruttata, con umori di bosco e accenni mediterranei, succo, pienezza e profondità, vigore e vivezza, con alcolicità sostenuta ma mai esuberante. «È un vino bilanciato, nessun elemento prevarica l’altro».
«Pare che il nome di Buonamico derivi da un’uva a bacca rossa chiara, il bonamico o buonamico, sul tipo del canaiolo rosa, ormai in disuso. Ne abbiamo preservato alcuni filari in un vigneto sperimentale. Era un’uva vocata per i rosati e i rossi più leggeri che si bevevano in estate».
Faccio qualche domanda a Eugenio su di lui, sulla sua formazione, su come è arrivato nel mondo del vino, ma è piuttosto evasivo nelle risposte e anche questa è una novità: in genere i produttori amano parlare di sé. «Devono parlare i miei vini, non io. Sono loro quelli importanti, non chi li fa».
Contributi fotografici di Massimo Zanichelli e Britta Nord
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