Il nebbiolo del Piemonte lo conosco molto bene, soprattutto sono troppo amico di molti maestri di vigna e probabilmente non riuscirei a essere obiettivo nel mio giudizio, del tutto “soggettivo”. Ho preferito scrivere qualcosa sul “resto del mondo”, Valtellina e Valle d’Aosta comprese. Conferme, qualche scoperta e anche e – soprattutto – nuove relazioni umane.
Ovviamente, la mia degustazione è stata, come al solito, poco tecnica e molto emozionale. Non sento, comunque, il bisogno di aumentare il numero di profumi e aromi da associare al vino. Rimangono solo inutili parole. D’altra parte, basterebbe ricordare che i polifenoli del vino sono gli stessi che si trovano nel mondo vegetale. Sarebbe assurdo che non ci fossero profumi di fiori e di frutta. Sentire la violetta nel nebbiolo è un’ovvia banalità, conoscendo i composti aromatici della Natura… Torniamo comunque al vino e alla sua vera essenza.
Sicuramente interessanti i nebbioli della Valtellina, anche se non hanno ancora perso quei caratteri “costruiti” e forzati che sentivo alcuni anni fa. Mi sono accorto che esiste quasi una completa inversione di valori: più autentici, eleganti, diretti al cuore i vini della cosiddetta seconda linea; più artefatti, pesanti, squilibrati i primi attori. Il legno e le pratiche di cantine sembrano ancora primeggiare, pur non mancando alcune eccezioni positive.
Tuttavia, chi mi ha veramente impressionato, riuscendo ad accendere una luce di immediatezza, di vitalità, di semplicità e di equilibrio perfetto è stato il Grumello Ortensio Lando di Luca Faccinelli.
Non posso tralasciare i due produttori valdostani, vicini di casa del mio Piemonte. Non trascendenti i nebbioli della Cooperativa di Donnas, inferiori alle aspettative e ai ricordi di qualche anno fa (mancava però il Napoleon). Grande sorpresa positiva, invece, per i vertici raggiunti da La Kiuva. Conoscevo la Cooperativa per la corretta esecuzione dei bianchi e dei rossi, e per la invitante trattoria, ma questa volta ho trovato un marcia in più. Si è sicuramente aperta una nuova strada, legata alla situazione ambientale, senza inutili tentativi di forzature atipiche. Sincero e schietto il Picotendro, così come l’Arnad Montjovet base che promette una ben più ricca storia futura.
Tra un po’ di curiosità e tanta rassegnazione mi sposto verso i nebbioli stranieri. Per adesso nessun pericolo: ancora niente di comparabile con il re dei vini italiano. Tuttavia, non tutto è da scartare e qualche spiraglio si è aperto, soprattutto in Australia. Le colline sono molto simili alle Langhe, anche se il terreno è più antico e diverso. Sorprendenti i nebbioli di Fletcher.
Altrettanto buoni i nebbioli di Pizzini, di origine italiana. Sincero e nitido il Coronamento del 2004, addirittura commovente il Nebbiolo 2001, che riesce a trasmettermi quei sentori balsamici che solo il vero nebbiolo sa donare. Niente da fare invece per la California, il Sud Africa e il Messico. Sono a volte anche succosi e beverini, ma niente hanno a che vedere con il nebbiolo. Strano e ancora incomprensibile per me il brasiliano Lidio Carraro Singular. Sicuramente “singolare”, di una certa efficacia, in cui non vedo ancora un vero legame con il “nostro” vitigno. Da seguire, comunque.
Che dire? Bella manifestazione, vini interessanti, buoni, a volte ottimi. Tutto ciò, ovviamente e giustamente, legato al mio soggettivissimo approccio personale. Soprattutto, però, un gran calore umano, lunghe chiacchierate, forse nuove amicizie che potrebbero nascere grazie al vino.
Cosa si può volere di più? Punteggi, seriosità, descrizioni didascaliche? No, di fronte al vino sono solo noia…