Flashback: schegge di assaggi indietro nel tempo: un contenitore prezioso di momenti importanti, da raccontare e condividere, a tu per tu con bottiglie che restano e che, per una ragione o per l’altra, non si dimenticano. Insomma, di quando il passare del tempo conduce ad un “vecchieggiare” baldanzoso e stimolante, ché quasi il tempo non lo sente più.
Viassö 2007 – Prima Terra (collezione privata)
Morellino di Scansano Riserva Vigna i Botri 2001 – I Botri di Ghiaccioforte (collezione privata)
Si tratta di una cantina realmente outsider, di una viticoltura pulita e di una enologia per nulla interventista, nate e cresciute in uno spicchio di Maremma senza tempo da cui poter respirare emozioni selvagge. Qui Giancarlo Lanza, Giulia Andreozzi e i suoli di Ghiaccioforte vanno forgiando Morellino di Scansano che poco o niente concedono -anche in gioventù- alle lusinghe del frutto e della morbidezza, ma si presentano assai precocemente con il carattere austero e gli umori sottoboscosi tipici di uno stato evolutivo più avanzato rispetto all’età che hanno; una configurazione stilistica che, nei millesimi migliori, riescono fortunatamente a mantenere per lungo tempo senza sfaldarsi. Provate per credere la toccante “toscanità” del Riserva 1993, e rivedrete con occhio benevolo le sottese potenzialità di una zona vitivinicola fin troppo spesso presa sotto gamba, dove in realtà a ‘gnicosa puoi pensare men che di fare di tutta l’erba un fascio.
Brunello di Montalcino 2000 – Fossacolle (collezione privata)
Camartina 1991 – Querciabella (collezione privata)
Seducente e seduttore, l’abbraccio aromatico appartiene ancora al frutto. E’ il frutto che te lo concede; un frutto integro, vibrante, espressivo, incorniciato in una profonda coloritura balsamica. Le nuance vegetali appaiono integratissime, a delineare una fisionomia quasi bordolese negli accenti. Bello il tatto, carezzevole, setoso, per un eloquio composto e modulato, rinvigorito da una puntualissima vena acida che instrada gli allunghi e rinsalda la beva. Gran portamento e sincero umore di Chianti qui, checchennedicano le uve foreste (cabernet) che fin dalla prim’ora vanno affiancando il preminente sangiovese.
Un vino che conserva splendidamente il “senso” del territorio. E che con quella sua melodiosa dolcezza, bilanciata alla meraviglia dall’acidità, tende ad acquisire un passo elegantissimo e un sapore sensuale, difficile da dimenticare. Uno dei più convincenti Supertuscan dei ricordi miei. Di quel millesimo per niente speciale poi, il migliore veriddio!
Chianti Classico 1977 – Fattoria La Volpaia (collezione privata)
Questa misconosciuta fattoria e questa misconosciuta etichetta sono però in grado di racchiudere in sé tutto il fascino potente e ineluttabile del tempo che passa, e che nella magia incantatrice della campagna chiantigiana ha assunto la sovranità di far nascere e morire, esaltare o cancellare storie grandi e piccole, tesori probabili o improbabili, passioni e passaggi di signori e poveracci. Suggellando fortune, successi, cambiamenti, abbandoni, rinunce, sprazzi di nobiltà, sprazzi di miseria, vini buoni e vini incerti.
Quando perciò ti capiterà di sorprenderti per come una etichetta del genere sia stata capace di resistere al tempo, ne dedurrai che lì c’era qualcosa di grande, di più grande rispetto alle cedevoli (in)consapevolezze umane, che in quegli anni a tutto pensavano meno che a qualificare il gesto vitivinicolo. Sono segni inequivocabili che ci suggeriscono dimorare in quella terra unicità. E’ terra buona. Il settantasette è un vino struggente, le cui trame evolute mantengono garbo, bevibilità e “sentimento”. Goloso e sapidissimo, cosa importa se non vi troverai la complessità la più complessa o l’allungo sconvolgente delle bottiglie migliori? E’ lì, presente, vitale, con il suo portato di mistero e di autenticità, frutto di una storia che si è chiusa – e che non sai- ma che in quella bottiglia, da quella bottiglia, respira ancora, aldilà della volontà dei protagonisti. A ricordarci la sottile meraviglia che appartiene ai piccoli tesori nascosti, ben oltre l’ovvietà. Per noi viandanti enofili è manna santa, da quando “senti” la verità dentro a un bicchiere: di più, una verità tanto incantatrice da far beffa al tempo.