Al numero 269 di via Lorenteggio, nell’anonima periferia sud-ovest di Milano, davanti al palazzo della Vodafone, si nasconde, appartato e insospettato, uno degli indirizzi più autentici della gastronomia milanese. Si chiama “Mangiari di strada”, è nato dalle ceneri del ristorante Gustibus, un luogo senza compromessi di «cucina assoluta», che nei primi anni Duemila ha deliziato il palato di molti gourmet prima di chiudere «per delusione» e per un eccesso di perfezionismo. Oggi come ieri il luminoso locale (pressoché immutato), con cucina a vista e dehors per la bella stagione, è sempre gestito da Giuseppe Zen – «milanese di nascita, veneto d’origine e siciliano per vocazione» –, cuoco estroverso e radicale, ex campioncino di kart, imprenditore nel campo della climatizzazione (ecologica, s’intende), titolare di un’azienda siciliana vicino a Noto che produce olio e mandorle.
Il suo locale è ora più popolare, si è specializzato nei cibi di strada, non c’è servizio al tavolo e la scelta dei vini (biodinamici e “naturali”) è ridotta all’osso. Ma non è cambiata la filosofia, anzi la poetica, che muove le mani e la mente di questo cultore del cibo buono e sano, un disciplinato digiunatore capace d’ingolosire con la gioiosa arte del quinto quarto: materie selezionate con rigore, alimenti rigorosamente bio (cui il sabato è dedicato una sorta di mercatino interno), ricette della tradizione italiana riproposte, anziché rivisitate, nella loro quintessenza gustativa. Sapori antichi, sapori puri. È un festival della leccornia, un girotondo di emozioni primarie. Ci sono gli umori contadini degli spaghetti alla chitarra con ragù di pecora e catalogna, come la delicatezza dei gnocchetti di patate affumicate con pomodoro e basilico, c’è un fegato alla veneziana da acquolina in bocca, c’è l’invitante rognone al sugo d’arrosto, c’è la “caldaia” dei bolliti, la testa d’agnello arrostita, il batsoà di manzo, il panino con il lampredotto, la coratella di agnello, la trippa, la coda, la milza… E poi gli impareggiabili, imperdibili fritti, cui è dedicata la giornata del venerdì (il giovedì è invece consacrato alla pasta): dai carciofi e taleggio agli sciatt valtellinesi (frittelle tondeggianti ripiene di formaggio) fino alle irresistibili cervella (spesso in coppia con i granelli). Infine la griglia: gnumareddi, scottadito e arrosticini di pecora, spiedo di rognone, animelle e fegatelli in rete...
La festa della gola inizia con una croccante pizza margherita da lievito madre e finisce con una serie di dolci memorabili, tra cui un cannolo con ricotta di Modica da sindrome di Stendhal, un crema di nocciola che ci si stancherebbe mai di scucchiaiare e un delizioso torrone di Tonara da madeleine proustiana.
Qualche mese fa Zen ha inaugurato la sua ultima creatura, la Macelleria Popolare al mercato coperto della Darsena, in piazza XXIV Maggio, luogo cruciale dei navigli a sud della città, oggetto di un recente, magniloquente restauro inaugurato il 26 aprile. È una macelleria che non solo utilizza e vende carni di animali da allevamento biologico e di solo pascolo, ma ripristina la tradizione dei vecchi mercati di strada, cucinando alcuni dei suoi “mangiari” nel solco dei più genuini “street food” urbani.
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