Santorini: tramonti, assyrtiko e birra locale

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viti 2Questa famosa isola vulcanica del sud del mar Egeo sul calar del sole offe scenari unici, raramente ho visto dei tramonti marini così belli. Vien da sé goderne la vista in compagnia di un buon vino e qualche stuzzichino.

Il posto giusto è Santo Wines, la cooperativa isolana che raccoglie il frutto di circa 1200 membri da quasi settant’anni. La cantina è situata vicino Pyrgos ed è arroccata sul bordo della caldera. La zona degustazione, distribuita su delle terrazze affacciate sul mare, riesce a coniugare felicemente vista e palato.

La location colpisce per il gusto con cui è stata costruita, molto moderna ma di sicuro effetto così affacciata sulla caldera. Ogni giorno orde di turisti invadono l’azienda all’ora del tramonto per un aperitivo speciale. Seduti di fronte al mare si rimane rapiti, ipnotizzati da un simile spettacolo della natura. Difficile togliere lo sguardo dal tramonto, dalle sue mille sfumature col variare della luce, dal suo caldo abbraccio. Seguire il lento incedere di un catamarano che infrange il riflesso del sole mentre costeggia una delle isolette interne alla baia porta i pensieri lontano, ma il richiamo del vino è forte e mi lascio convincere senza troppa fatica da un “flight” di 18 vini. Infatti tra le varie scelte in menù ci sono le degustazioni, i “flight” appunto, di un certo numero di vini e la mia scelta, che spazia dalla bollicina al vin santo, è quella più ampia. Purtroppo nell’elenco dei vini corrispondente ai bicchieri serviti non sono indicate le annate di produzione.

In generale mi sono piaciuti i bianchi, quando non passati troppo in legno come le riserve, mentre i rossi mi hanno un po’ deluso: una certa tannicità sempre presente, corpo esile al pari dei profumi e persistenza limitata. Particolari i demi sec: probabili abbinamenti interessanti con formaggi per l’Ageri bianco (100% assyrtiko) mentre per l’Ageri rosato (assyrtiko e mandilara) vedrei meglio crostacei magari con qualche erbetta o spezia. Gradevoli i due semi sweet, bianco e rosso, per una pasticceria non troppo impegnativa. Generosa (anche troppo per i miei gusti) la dolcezza dei vini da dessert, nel Nama (mandilara 100%) e specialmente nel Vinsanto (85% assytiko, 15% aidani). Essendo una cooperativa non è possibile pretendere una qualità assoluta dei propri prodotti.

Tra i vini bianchi da citare direi il Santo Sparkling, metodo classico da assyrtiko in purezza, una bollicina fresca incentrata su buona acidità e dagli aromi fruttati leggeri, gradevole come aperitivo. L’Athiri (bio, 100% athiri) è un vino dalla discreta aromaticità, con spunti erbacei, leggera albicocca, agrumi e un finale delicatamente mandorlato. L’Aidani (bio, 100%aidani) è meno aromatico e più secco, sottili aromi di erbette aromatiche, fiori bianchi, nespola e ricordi citrini accompagnano un palato dove la sapidità minerale inizia a farsi sentire. Il Santorini Assyrtiko (100% assyrtiko) è un buon rappresentante del vitigno principe dell’isola: si apre su leggeri profumi di fiori bianchi e gialli, anche la frutta (pera, melone e agrumi) è sospirata ma al palato l’insieme è molto gradevole grazie ad un corpo medio, una buona acidità ed una mineralità presente sebbene non quanta auspicata. Appezzabili la profondità e la persistenza. Concludo con il Santorini Nykteri (75% assyrtico, 15% athiri, 10% aidani), questo blend risulta vincente dal punto di vista aromatico riuscendo ad evidenziare le peculiarità di ogni vitigno con l’aggiunta delle note speziate di tre mesi di passaggio in barrique. In bocca ha una buona rotondità, grazie ad un uso del legno abbastanza equilibrato, e non mancano sapidità e acidità a prolungarne la persistenza.

Viaggiando in numerosa compagnia non ho potuto dedicarmi come avrei voluto alla visita delle numerose cantine insolitamente presenti in un territorio così piccolo ed arido, ma almeno da Santo sono riuscito ad andare!

Girovagando per l’isola uno sguardo poco attento o profano potrebbe non riconoscere le vigne. La coltivazione dell’uva ha dovuto necessariamente piegarsi alla forza della natura: i filari sono stati sostituiti dal sistema ad alberello dove ogni vite ha la forma di un cerchio (kouloura), si dice addirittura a spirale per meglio raccogliere l’umidità, ma a me sembravano semplici cerchi se non spesso proprio alberelli. Ne conseguono comunque tutte le problematiche del caso, dall’enorme fatica del lavoro a mano alla bassissima resa. Unico vantaggio derivante da queste condizioni può considerarsi il piede franco delle viti. Tolta la parte lungo il bordo della caldera – a precipizio sul mare con i suoi incantevoli paesini bianchi e blu al limite dello strapiombo – il resto dell’isola offre un leggero declivio ed alcune distese semidesertiche dove le vigne sono ben presenti. Non di rado capita di vedere le viti piantate su microscopici appezzamenti o nel “giardino” di casa. Del resto una tale forma di piantumazione può risultare anche ornamentale.

Se per il vino sapevo a grandi linee cosa aspettarmi, per le birre invece è stata una graditissima sorpresa.

C’erano una volta quattro persone: una greca, una serba, una inglese e una americana… sembra l’incipit di una barzelletta ed invece formano il gruppo multi-etnico che ha dato origine alla Santorini Brewing Company. Questa recente realtà, localizzata a Mesa Gonia e vicina all’aeroporto, in cinque anni è cresciuta bene consolidando una linea vincente dal punto di vista sia organolettico che di marketing. Infatti, oltre alle birre, il merchandising spazia nei più svariati gadget, ad esempio le t-shirt e le felpe sono particolarmente apprezzate indipendentemente dalla passione per la birra poiché rappresentano un asino stilizzato, uno dei simboli di Santorini. Tale icona tale nome, le Donkey beer hanno tutte la stessa etichetta ma variano il colore e, ovviamente, tipologia. Durante la sosta al birrificio ho assaggiato i loro prodotti principali:

–  La Yellow Donkey è una golden ale (alc. 5%, 19 IBU) perfetta per stemperare la calura estiva. Si presenta appena dorata con un bel cappello bianco, i sentori floreali ed agrumati, pompelmo specialmente, derivano dall’impiego di Cascade e Mouteka, più delicati i sentori di malto e caramello. Al palato scorre bene, con un buon equilibrio tra malto e luppolo. La leggera carbonazione, l’amaro contenuto e un finale non troppo secco la rendono facile da bere ed abbinare.

–  La Red Donkey è una amber ale (alc. 5,5%, 26 IBU) che ai luppoli Aurora e Styrian Golding, già presenti nella precedente, abbina il Nelson Sauvin. Ambrata, dal cappello bianco sporco sottile e non molto persistente, si apre sui profumi tipici del malto, di agrumi (scorza di arancia), leggero erbaceo e qualche sfumatura speziata. Una bitter-sweet symphony (abbastanza sweet al centro) rotonda ed equilibrata, dal corpo medio e pari carbonazione. Sul finale l’amaro si fa sentire maggiormente e sfumano lentamente le note speziate e di erbaceo.

–  La Crazy Donkey è una IPA (alc. 5,8%, 50 IBU) prodotta in quantità più limitata. Date le aromaticità già degne di nota delle precedenti Ale e considerato il largo uso di Cascade e Nelson Sauvin, mi aspettavo un tripudio di frutta esotica, un’esplosione di agrumi, una prateria di erba e fiori. Tale trionfo è parso più una festicciola, tutto piuttosto controllato, soppesato dalle note maltate, specialmente di caramello. Anche l’amaro è parso misurato, giusto per non disturbare un equilibrio generale molto piacevole ma che avrei preferito un po’ più sbilanciato. Nel complesso una birra interessante che finisce lunga e gradevolmente secca.

Nell’occasione ho assaggiato anche un prodotto nuovo, un esperimento particolare, La Slow Donkey (alc. 8,0%, ? IBU). Una birra a doppia fermentazione: fermentazione primaria di tredici mesi in caratelli che avevano contenuto Vinsanto per oltre undici anni; seconda fermentazione in bottiglia con lievito di stile abbaziale. Difficile da definire per stile e sapori, un ibrido tra American Amber Ale, Barley Wine e Lambic. Si presenta color mogano con sottile cappello bianco evanescente. Sia al naso che al palato si evidenziano sentori di prugna, frutta secca e ricordi agrumati tra la frutta, quindi tostature maltate, leggera luppolatura, fini speziature e vibrazioni acide. L’alcol è ben bilanciato, il corpo è snellito dalla componente acida, l’amaro è tenue, la beva fluida e il finale “vinoso” piuttosto persistente. Birra intrigante, quella che mi ha colpito di più forse perché inaspettata.

In conclusione direi che a Santorini se il sole picchia forte non manca la scelta per dissetarsi con gusto!

galleria di immagini

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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