Le vigne sono sparse tra le migliori zone della Champagne e la produzione si aggira intorno alle sessantamila bottiglie, con un costo unitario a partire da 120/130 euro circa. Ahimè, vini piuttosto elitari. Tra le altre spiegazioni, se non ho capito male, viene fuori che sono passati dalla certificazione biodinamica alla biologica e infine all’assenza di certificazione. Non che questo significhi qualcosa, la cura e il rispetto della natura, in vigna come in cantina, non ha certo bisogno di pezzi di carta che lo certifichino, però viene da pensare che di fronte alla legge dei grandi numeri (economici e non probabilistici) certi imprevisti naturali debbano essere contenuti il più possibile, magari ricorrendo eccezionalmente alla chimica… “a mali estremi, estremi rimedi”. Sinceramente a me interessa poco. Piuttosto va dato merito ad Anselme di essere stato il pioniere nella Champagne per la bassa resa delle singole viti e le fermentazioni spontanee in barrique, riuscendo a tracciare una linea stilistica e a fare proseliti in un settore poco propenso all’innovazione.
Iniziamo con l’Initial Grand Cru Blanc de Blancs Brut – 100% chardonnay di Avize, Cramant e Oger – cuvée di tre annate con permanenza sui lieviti per circa trenta mesi e dosaggio molto basso con l’aggiunta di solo fruttosio. Il ventaglio aromatico è ampio, nonostante il legno marcato emergono la frutta gialla (anche tropicale), gli agrumi, un po’ di frutta secca, qualche goccia di miele, i lieviti, lo scoglio bagnato e una leggera speziatura. In bocca si conferma riuscendo a coniugare ampiezza, profondità e freschezza. Piacevoli le ossidazioni, notevoli l’intensità e la persistenza. Sul finale ritorna la tostatura.
Saliamo parecchio di livello con il Millésime 2005 – 100% chardonnay da due parcelle di Avize – circa nove anni sui lieviti e pas dosé (o quasi). Naso più profilato ed elegante del precedente. Il minerale e le ossidazioni tengono banco ma i sentori primari di frutta gialla e agrume sono sempre ben presenti. Gli aromi di pan brioche, miele e spezie sono delicati, più decisi quelli di frutta secca. In bocca va dritto al cuore, la finezza del perlage unita alla rotondità del corpo creano una bella sensazione cremosa, lo scheletro minerale segna una stratificazione profonda, l’acidità citrina sferza il palato prima di coccolarlo con la morbidezza speziata di un legno perfettamente integrato. Come sarebbe bello abbandonarsi assieme a questo nettare in un angolo baciato dal tiepido sole autunnale, per lasciarlo parlare, per sentire tutto quello che ha da dire, con calma finché ha linfa in corpo.
Terminiamo il giro-champagne con uno dei “fantastici 6” Lieux-Dits, collezione composta da Champagne provenienti dalla vinificazione di singole parcelle di paesi diversi, per l’esattezza: Les Carelles Blanc de Blancs di Mesnil sur Oger, Les Chatereines Blanc de Blancs di Avize, Chemin de Chalon Blanc de Blancs di Cramant, Le Bout du Clos Blanc de Noirs di Ambonnay, Sous le Mont Blanc de Noirs di Mareuil-sur-Ay e La Côte Faron Blanc de Noirs d’Ay. Quest’ultimo è il prescelto al “sacrificio”. Sì perché stappare una bottiglia del genere così presto è un vero infanticidio. Al naso la vinosità del pinot noir ridimensiona l’esplosività fruttata dei vini precedenti, gli agrumi e i frutti di bosco si fanno sentire tra la cera e le spezie, una certa freschezza floreale, quasi balsamica, non manca all’appello. Al palato manifesta maggiormente i limiti di “età”, con un legno ancora da amalgamarsi anche se la struttura e l’acidità sono di razza. Personalmente, da amante dei blanc de noirs, al momento rilevo una piccola “delusione”. Non mi sento di biasimare il vino, semmai la mano che lo ha scelto. Resettiamo le papille con un bicchierino di Ratafia: intrigante vino liquoroso – ottenuto con una lunga lavorazione di vecchie vendemmie di chardonnay – che ricorda un mix tra Marsala, Sherry e Vinsanto, prodigo di profumi ed estremamente raffinato al palato. Un finale di partita particolarmente gradito!
Proseguiamo verso altri clivi e giungiamo ad Ambonnay, piccolo paesino ubicato a sud-est della Montagne de Reims, nel regno del pinot noir. Prima di arrivare al nostro appuntamento passiamo davanti alla cantina di Egly-Ouriet, guardiamo il nostro Julien speranzosi che possa regalarci una visita anche lì, ma veniamo immediatamente disillusi. Peccato… la giornata poteva diventare davvero memorabile.
Varchiamo il cancello della casa-cantina di un piccolo produttore: R.H. Coutier, récoltant-coopérateur (le uve sono pressate alla Cooperativa di Ambonnay e poi il processo finisce nella propria cantina), proprietario da quattro generazioni di quasi nove ettari – tutti Grand Cru – piantati non solo a pinot noir. La maison pratica la lotta ragionata in vigna e un metodo di viticoltura molto rispettoso della natura, ad esempio non diserba tra i filari. Il ventenne Antoine, figlio di René e fresco di studi enologici, ci guida nella cantina tradizionale, emozionante e caratteristica, un dedalo di tunnel scavati a mano nel gesso. Tornati in superficie, dopo il rituale assaggio dei vins clairs ossia dei vini base direttamente dai tini, ci trasferiamo in salotto per iniziare la degustazione degli Champagne. Come dicevo non solo pinot noir, i Coutier sono stati i primi ad Ambonnay a piantare chardonnay già dalla metà degli anni ’40, e quindi partiamo con l’inusuale Cuvée Blanc de Blancs Brut.
A seguire la Cuvée Tradition Brut, vinificato come il precedente ma con un uvaggio 75% pinot noir e restante chardonnay. Si smorzano i profumi di frutta gialla (pesca) e bianca (pera) e si inseriscono quelli delicati di piccola frutta rossa, mentre alle note fresche degli agrumi si accompagnano quelle calde di mandorla e nocciola. In bocca è coerente, colpisce l’armonia generale e la cremosità tattile, la vena minerale è profonda e l’acidità citrina sfila la vinosità tipica del pinot per poi tornare sul finale. Ottima la persistenza.
Arriviamo al top di gamma, la Cuvée Henri III 2008 Brut Vintage Blanc de Noirs, un pinot noir 100% con dosaggio di 7 gr/l e almeno quattro anni sui lieviti. Il nome è un tributo al re che autorizzò l’organizzazione della prima fiera del vino, nel 1578. Circa il 40% del vino passa un anno in barrique usate. Si presenta dorato e adorno di un fine perlage. Inizialmente vi respiriamo frutta bianca, anche disidratata, poi subentra la piccola frutta rossa in compagnia di qualche nota agrumata, quindi il pan brioche e una leggera tostatura. Non mancano richiami minerali e gradevoli ossidazioni. In bocca è corrispondente, il legno impercettibile. Il corpo e la struttura sono notevoli, ma il perlage dinamizza ottimamente l’opulenza. La vinosità e l’acidità sono perfettamente integrati in un equilibrio assoluto, la lunghezza e la persistenza ragguardevoli.
Chiudiamo con un vino rosso, l’Ambonnay Rouge – Côteaux Champenois 2009, pinot noir in purezza da vigne di almeno quarant’anni. I profumi richiamano piccola frutta rossa e nera, spezie orientali e un tocco fumé. Al palato è snello, sapido e armonico, sebbene i tannini non siano ancora completamente smussati.
Finiamo la giornata, e purtroppo anche il viaggio, con una visita del centro di Reims (mirabile la cattedrale nella quale sono stati incoronati i re di Francia, con le famose vetrate di Chagall) e una cena in un’enoteca in compagnia di Julien, alcuni suoi amici e tante altre bottiglie di champagne!
In conclusione permettetemi un ringraziamento sentito e dovuto a Ido Mariani (e family) per il servizio “navetta”, per le soventi richieste di traduzioni simultanee e per aver approfittato della sua notevole conoscenza dei luoghi, essendo stato importatore diretto di Champagne, una passione sempre viva che lo ha portato a produrre bollicine anche in Versilia, nella sua Tenuta Mariani.
La prima puntata del reportage