LICCIANA NARDI (MS) – Che i toscani siano razza dannata, litigiosa e individualista lo si sa. E’ quindi vano aspettarsi che un gruppo di vignaioli che coltivano le proprie vigne in remoti angoli della regione riesca a darsi una linea comune, per di più alle prese col “più fighetto” dei vitigni, quel pinot noir croce e delizia di “allevatori (sì perché il vino ha un’anima)” e bevitori di mezzo mondo. Il virgolettato è di Massimo Cirri, invitato con Francesco Guccini a santificare la nuova edizione di Eccopinò, la degustazione dei Pinot Nero prodotti sull’Appennino toscano da un eterogeneo gruppo di vignaioli che dalle provincia di Massa Carrara a quella di Arezzo (passando per Lucca e Firenze) ha sollevato il guanto della sfida verso Borgogna, Oregon, Alto Adige e chi per loro.
E così, quello che abbiamo assaggiato è stato “diversità”. Già a partire dalla scelta delle annate, che dovevano “obbligatoriamente” prevedere il 2013… ma si sa, “l’obbedienza non è una virtù.” E con questo virgolettato (che non è di Cirri e che sottoscrivo in pieno) lascio un po’ il tono ironico e mi chiarisco, che non si sa mai: la degustazione era incasinata, i vini erano tutti diversi (sia di annata che di stile) e tutto questo è stato bellissimo! Una piccola festa, e tanti soddisfacenti bicchieri da meditare e magari assaggiare nuovamente con calma.
Ad aprire il tutto, appunto, Francesco Guccini, il “gigante dell’Appennino”. Il quale, appesa al chiodo la chitarra, riesce ancora ad intrattenere alla grande con la sua ironia e il suo saggio dialogare di tempi andati, seppur ancora così vicini. Suo è il racconto della moderata povertà in cui viveva la sua famiglia nella Modena degli anni Cinquanta, una povertà che non prevedeva vino in tavola (“altro che il Guccini bevitore!”), almeno fino a quando le prime canzoni del giovane portarono qualche soldino. O il ricordo del vino di Pavana, “fatto con l’uva morastello, una varietà locale dagli acini fitti fitti (<costretti come dita dei piedi>, avrebbe potuto autocitarsi!) che produceva un vino da bersi in tre, due che ti tenevano… tanto era aspro!”
Guccini come cantore dell’Appennino, terra di emigrazioni e di ritorni, un Appennino che oggi riesce ad esprimere ancora la forte identità di un tempo e un ritorno alla sana agricoltura, come quella su cui punta il piccolo comune di Licciana Nardi, che ospita l’evento nel suo Castello di Terrarossa. Così ci racconta il primo cittadino Enzo Manenti, ma questo raccontano anche gli intrepidi vignaioli presenti, a partire dai “padroni di casa” Sabina e Andrea dell’azienda Casteldelpiano, milanesi fuggiti in questo lembo di Toscana incuneato tra Liguria ed Emilia: “una scelta di vita”, di bella vita precisiamo noi.
Insieme a loro, in ordine sparso: VincenzoTommasi da Arezzo (Podere della Civettaja), il teorico del gruppo; ManuelaVillimburgo e PaoloCerrini da Vicchio (Il Rio), tra i primi ad impiantare P.N. già nel ’90; CiprianoBarsanti (Macea), uno dei due garfagnini del gruppo assieme a Gabrieleda Prato (Podere Còncori – assente, ma perdonato, visto che il vino c’era!); FilippoSpagnoli da Dicomano (Fattoria Il Lago), un pinottista in pieno Chianti Rufina; MicheleLorenzetti, di nuovo da Vicchio (Terre di Giotto), enologo in fuga da una Frascati “viticolmente rovinata”.
“Un gruppo di psicopatici che decidono di prendere il più fighetto dei vitigni e allevarlo nell’Appennino…” chiosa appunto Cirri.
Quanta diversità, lo dicevamo, e non solo tra azienda e azienda, ma anche tra annata e annata, come deve essere se il vino rispecchia terra e stagione. Si parte con le tre annate proposte da Casteldelpiano: il Melampo Pinot Nero 2010 ha già le note terziare del vitigno e un bell’equilibrio; più smaccato il 2012, si sente l’annata calda e la frutta del pinot è qui evidentemente matura, mentre bello e promettente ci pare Melampo 2013: già fine, crescerà sicuramente.
Podere Còncori porta solo l’annata 2014 (l’obbedienza di cui si diceva…) e non ci si può neppure lamentare visto che Gabriele non c’è, ma il vino ripaga le assenze: il Pinot Noir 2014 ha infatti spinta e tessitura, tannini fini e beva agilissima.
Il Ventisei 2015 de Il Rio è il vino più giovane ma anche il più sorprendentemente maturo nei profumi: già la china e i frutti rossi, più tipici dei Pinot con qualche anno addosso. Bocca dolce e bel finale.
Macea presenta un Pinot Nero 2013 dal naso profumato e dalla beva accattivante, tesa e guarnita di bei tannini. Il 2014, in cui un 25% di uve non è stato diraspato, si mostra leggermente acetico, più maturo, screziato di lacca, lungo. Sorprendente poi il Pinot Nero 2006, ancora fresco e saporito, e dai tannini incisivi (chissà com’erano 10 anni fa?!).
Anche Il Lago ha portato le tre annate di Casteldelpiano, con un Pinot Nero 2010 già evidentemente terziarizzato, anche nel colore, ma sempre piacevole seppure con qualche disarmonia. Qui l’annata 2012 ha dato un prodotto meno corposo, molto secco, di buona finezza, ma ci piace di più il Pinot Nero 2013, dai profumi penetranti di anice ed erbe, tannino e siluetta.
Il Pinot Nero 2013 del Podere della Civettaja dà il suo meglio al gusto. Dopo un olfatto fine e minerale ma non troppo evidente, la bocca colpisce per sapidità e bevibilità, il tutto espresso con ottimo senso dell’equilibrio. E anche il 2014 non ci dispiace, secondo noi più “Pinot”, più tenue al gusto ma dai profumi estroversi e colloquiali.
Chiudiamo con il Gattaia Pinot Nero 2013 di Terre di Giotto: tanta frutta al naso, anche un po’ macerata; bocca tesa, contrastata da tannini importanti, frutto di una vinificazione effettuata con i raspi.
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