11 marzo 1993: il Taurasi, rosso campano ottenuto dall’uva aglianico, diviene per decreto Ministeriale uno dei primissimi vini d’Italia a Denominazione di Origine Controllata e Garantita. La prima bottiglia di DOCG, con fascetta di Stato n° AAA 000 0001, viene conservata come futura reliquia; la n° AAA 000 0002 prende la via del Vaticano, come dono per Giovanni Paolo II; la n° AAA 000 0003 va in omaggio al Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro. Sembrava, per la società cooperativa Antica Hirpinia, l’inizio di una rinascita gloriosa, dopo circa tre decadi di mediocri fortune come Enopolio di Taurasi. In realtà, il seme del consociativismo proattivo e progettuale non aveva ancora le condizioni giuste per attecchire in una realtà come quella irpina, frammentata e individualista per natura. E quindi anche quel progetto non conobbe i fasti che in molti si auguravano. Sono passati altri vent’anni e Antica Hirpinia ci riprova: una seconda rinascita, con una nuova proprietà, un nuovo team di collaboratori, un nuovo approccio al marketing e alla comunicazione, una nuova guida enologica (quella di Riccardo Cotarella). L’obiettivo? Valorizzare la storicità della cantina, ma anche a sperimentare, rinnovando l’immagine e la sostanza dei vini prodotti. Sarà la volta buona? Per saperlo occorre attendere, perché siamo appena agli inizi del nuovo corso. Intanto ho avuto il piacere di assaggiare la nuova annata 2016 dei bianchi e rosati aziendali e le ultime versioni di Aglianico e Taurasi. Ve li racconto.
Partiamo dalla veste grafica. La scelta è chiara e punta ad una comunicazione visuale ed istintiva, moderna, che faccia comprendere immediatamente al bevitore cosa ha per le mani. Così si spiega l’etichetta che fascia tutta la bottiglia, su cui trovano spazio, oltre alle informazioni d’ordinanza, figure di fiori, frutti, spezie, che preannunciano le caratteristiche organolettiche prevalenti del vino.
Passiamo ai vini. Che la Campania sia una delle più grandi regioni bianchiste del paese non lo devo certo ribadire io. I bianchi campani hanno per varietà, espressività, potenziale evolutivo davvero pochi rivali. Quelli di Antica Hirpinia sono tutti ben fatti ma per essere valutati al meglio andrebbero riprovati fra qualche tempo. Questo è un discorso in generale: dopo almeno un anno di vetro alle spalle questa tipologia di vini si apre, diventa più “comunicativa”, più facile da “leggere” e quindi da bere. Lo hanno capito bene diversi produttori irpini, che hanno avuto il coraggio di “saltare” un’annata ed uscire sul mercato col giusto timing. E’ presto per chiederlo ad un’azienda che sta ripartendo ora con un progetto tutto nuovo, ma se si vuole puntare in alto la strada non può che essere quella.
Venendo a noi, la Coda di Volpe mi ha sorpreso in positivo. Molto acida, fresca, reattiva. Vino senza fronzoli, dallo sviluppo verticale, per gli amanti delle acidità affilate.
La Falanghina è un vino più maturo e “piacione”. Anche questo delineato su tratti di estrema pulizia e nitidezza aromatica, si lascia bere con piacere e mantiene una bella energia per tutto il sorso. E’ il classico vino buono per tutte le occasioni, da portare a pranzo da amici, certi di una piacevole accoglienza.
Il Fiano di Avellino è il vino che ho trovato più “indietro”. Assaggiato in questa fase mi è parso ancora chiuso, contratto, in cerca di assestamento. Certo pulizia, materia e un prospetto di eleganza non mancano, ma vorrei riassaggiarlo dopo l’estate. Insomma, è da incontrare con calma in un’altra occasione.
Il Greco è, come da par suo, potente e ricco. In bocca ha una struttura decisamente superiore agli altri, con una lieve tannicità e una potenza giocata tra la canonica mineralità e un’espressione fruttata più diretta e variegata. Vino esuberante, per gli amanti di sensazioni forti.
Di rosati ne ho provati due: il Roserpina, aglianico versione spumante, e quello fermo (stesso vitigno ovviamente). Sono state due belle scoperte, ma la mia preferenza va decisamente sulla versione con bollicine. Bellissimo il colore (per i rosati, personalmente, l’aspetto visivo conta…). Molto profumato, con i consueti frutti rossi intervallati da nuances floreali più delicate. Fresco ma al contempo robusto, mi è sembrato davvero gradevole, con una bollicina setosa e delicata, versatile sia come aperitivo che a tutto pasto. Davvero un bel conseguimento.
Cambiando registro, ho provato poi l’Irpinia Aglianico Doc 2013 e il Taurasi Docg 2010.Un filo conduttore fra i due vini è la grande freschezza ed acidità. Cambia la struttura, più possente e incisiva nel secondo ovviamente, ma le assonanze restano molte. Certo sono vini giocati più sulla potenza che sulla finezza, più sullo spigolo che sulla rotondità, che hanno ancora bisogno di tempo per assestarsi. Anche questo è un discorso che vale in generale per la tipologia. L’Aglianico, e ancor di più il Taurasi, fanno fatica a riscuotere fra il pubblico lo stesso successo che spesso hanno fra addetti ai lavori. E’ una questione nota, al centro di un dibattito e confronto fra i produttori irpini da anni: trovare sbocchi commerciali per un vino oggettivamente “difficile” è la grande scommessa su cui tutti si stanno impegnando. Chissà che non ci riescano quelli di Antica Hirpinia?
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