Per iniziare ho scelto Francesco Falcone. In primis perché è delle mie parti, Cervia per l’esattezza, anche se pugliese di origine; in secundis perché, in tempi ancora non sospetti, si è dato anima e corpo all’approfondimento della materia vino in tutte le sue sfumature. La rivista Porthos di Sandro Sangiorgi ne ha seguito i primi passi e ne ha forgiato le basi. Da lì a poco le collaborazioni si infittiscono e si consolidano. La rivista piemontese Go wine ne fa un collaboratore prezioso per lungo tempo. Paolo Marchi lo vuole con sé ne Il Giornale e in Identità Golose. Contemporaneamente si divide fra Enogea, la creatura di Alessandro Masnaghetti, e la prestigiosa Guida dei vini de L’Espresso, dove collabora fino al 2015.
Come è cambiato, secondo te, il giornalismo del vino in questi anni, e in che cosa?
“Ho cominciato a scrivere di vino con continuità circa quindici anni fa e devo dire che il lettore è molto cambiato. Oggi i bevitori “consapevoli” sono parecchi di più di un tempo e dunque chi fa il mio mestiere deve essere molto, molto preparato”.
Secondo te è importante essere tecnici sul vino? A tutti i livelli intendo.
“Occorre conoscere i rudimenti della materia, questo sì. Tuttavia ciò che ho a cuore è raccontare storie con un occhio attento agli aspetti più umani, più emozionali di un luogo, di un vino e di chi lo ha concepito. La passione, l’entusiasmo, la voglia di conoscere sono importanti tanto quanto una solida formazione tecnica”.
Quanto è importante il giornalista per il business del vino?
“Credo molto. Le notizie passano attraverso molti canali oggi, ma il giornalista credibile conserva la sua importanza tra chi produce e chi compra”.
Come avvicinare il mondo del vino ai giovani?
“Parlandone con lucidità e trasporto, lasciando lampeggiare i contenuti, argomentando il proprio pensiero, avendo competenza e passione. E provando a parlare semplice, per arrivare al cuore degli appassionati”.
Vini naturali e in anfora, come vedi il loro futuro?
“Condivido l’entusiasmo di tanti senza tuttavia avere una prospettiva certa di quale sarà l’evoluzione del vino naturale in Italia e in Europa. Ma al di là di ogni ulteriore considerazione, mi piacciono i vini fortemente legati alla loro terra e sono tra coloro che hanno a cuore le sorti dell’ambiente”.
A detta di diversi produttori serve un nuovo linguaggio interpretativo per questi vini, sei d’accordo?
“Non solo per questi vini. Il racconto del vino passa soprattutto attraverso una scrittura che si nutra di esperienze vere e che esplori la bellezza della lingua italiana”.
Il giornalismo italiano del vino fra vent’anni. Come lo vedi?
“Sogno una rivista piena zeppa di grandi contributi, con collaborazioni importanti, indipendente, che faccia giornalismo vero. Mi mancano Porthos ed Enogea, anche se capisco che oggi il lettore può trovare tanti contributi sul web, spesso gratuitamente”.
E i vini fra vent’anni come saranno?
“E chi lo sa, qui tutto cambia nel breve volgere di pochi anni. Il clima avrà un ruolo nevralgico, ad esempio. Così come i vignaioli, sempre più impegnati ad interpretare annate estreme, complesse. È comunque certo che i grandi vini saranno sempre meno “grossi” vini; che la profondità e la potenza non saranno più sinonimi. Almeno nei terroir classici, e dunque in gran parte d’Europa.
Cosa ti infastidisce quando leggi di vino?
“Leggo volentieri chi scrive con passione, chi ci mette il cuore, chi si preoccupa di controllare le fonti, chi ha uno stile riconoscibile. Sono un lettore selettivo”.
Se il tuo vino fosse un libro, che libro sarebbe?
“Il Ghiottone errante” di Paolo Monelli, capolavoro assoluto della letteratura del vino e del cibo. In quelle poche pagine scritte negli anni Trenta del Novecento c’è tutto ciò che avrei voluto scrivere io, oggi, nel 2017.
Una cena, un vino, una donna. Un racconto che mette assieme tutte e tre.
Due cene, indimenticabili, con la donna della mia vita. Entrambe in Langa. Un ristorante di grande tradizione: La Corona Reale a Cervere, un posto accogliente con una cucina sontuosa, gratificante, che trasuda piemontesità. L’altra invece al Piazza Duomo di Alba, dove la cucina geniale di Enrico Crippa ti porta per mano verso ipotesi imprevedibili, emozioni nuove, forme di bellezza autentica.
Quando il frigo è vuoto, pizza, piadina o cos’altro?
Né pizza né piadina. Frutta, verdura oppure un dolce. Il panettone lo mangerei tutto l’anno, ad esempio.
Tre desideri?
Il primo: essere un buon padre. E’ una cosa molto importante per me.
Il secondo: scrivere un libro sulla Champagne con Vania Valentini, esperta di quella zona, collega competente ed appassionata che stimo moltissimo e a cui voglio bene.
Il terzo: lavorare con Armando Castagno, il più bravo di tutti.
Una domanda che non mi hai fatto e che mi farei è: quali sono i produttori romagnoli che oggi stimo di più?
Io ti direi che il lavoro e la crescita che ha avuto Elisa Mazzavillani della cantina Marta Valpiani a Castrocaro non merita di passare sotto silenzio. Eppoi ti parlerei di Paolo Babini, Andrea Bragagni, Filippo Manetti, naturalmente di Stefano Berti, di Cristina Geminiani, di Giovanna Madonia e di Gabriele Succi. E ancora di Giacomo Montanari, di Jacopo Giovannini, del gruppo dei produttori di Oriolo. E di altri che stanno arrivando. Ecco, io ti risponderei che oggi sono tanti i punti di riferimento per la Romagna e domani ce ne saranno ancora di più.
La seconda foto in ordine di apparizione è stata tratta dal sito aisitalia.it