Piwi, vini da vitigni resistenti: un po’ di chiarezza

0
14016

Con questo articolo inauguriamo una piccola rubrica di facile fruizione per introdurci nel mondo dei Pilzwiderstandfähige. Per nostra fortuna la convenzione Internazionale ha adottato l’abbreviazione Piwi per identificare i vini ottenuti da vitigni resistenti alla maggior parte delle malattie funginee. Peronospora, Oidio sono solo alcuni dei temutissimi funghi che interessano la vite e che spingono i viticoltori a eseguire numerosi trattamenti anticrittogamici e antiparassitari.

Ma vediamo di capire cosa sono e sfatare alcuni falsi miti su questi vitigni, grazie all’esperienza e alle conoscenze del dottor Yuri Zambon dei Vivai cooperativi di Rauscedo. I vivai sono un centro di ricerca agronomica d’eccellenza a livello italiano ma non solo e soprattutto sono il centro di produzione di barbatelle più grande al mondo.

Dottor Zambon, sgombriamo il campo, per prima cosa, da alcuni luoghi comuni: la barbatella Piwi è un ibrido non un OGM ! Ci spiega la differenza?

Nel caso dei vitigni Piwi non c’è alcuna manipolazione di geni: si tratta di un processo di ibridazione, un matrimonio combinato fra una varietà di Vitis Vinifera (il genitore nobile) e un’altra varietà di vite (con origini Nordameriche o asiatiche) che si presenta come resistente ai principali patogeni fungini. Vi è solamente selezione dei donatori ma segue una normale impollinazione, anche se compiuta manualmente. Nulla che non avverrebbe già in natura. Si sceglieva una varietà nobile, ad esempio un merlot, e si impollinava con una varietà di vite “selvatica” che portasse in dote la propria resistenza alle malattie. Per produrre l’OGM si va invece a inserire nuovi geni, a silenziarne o attivarne alcuni, vi è una manipolazione di laboratorio. Ovvero nulla a che vedere con l’ibridazione.”

Il dottor Zambon parla giustamente al passato quando accenna alle prime ibridazioni con la vite selvatica, dato che allo stato attuale non si compie più questa ibridazione originaria ma si continua a incrociare il primo risultato di questo “matrimonio combinato” con varietà di Vitis Vinifera autoctone. Le parole di Zambon ci spiegano meglio questo concetto: “Le viti resistenti che noi proponiamo sono figlie di un incrocio tra il genitore nobile (esempio merlot) e un ibrido che è il risultato di molteplici incroci/ibridazioni tra vitis vinifera (europea) e diverse vitis americane ed asiatiche.

Questi ibridi hanno nel loro genoma porzioni di vitis vinifera ma anche di vitis amurensis /muscadinia rotundifolia (“selvatiche”) che apportano le caratteristiche di resistenza. Andando ad utilizzare come genitori questi ibridi e una varietà nobile (merlot, sauvignon ecc.) noi riusciamo ad ottenere nella progenie un genoma per più del 90% di vitis vinifera. Ottenuti i semi dall’incrocio servono anni e anni di prove e selezioni per identificare due/tre individui che esplichino elevata resistenza a peronospora e oidio ma nel contempo ottime proprietà agronomiche ed enologiche.

Il fatto di utilizzare come genitore un ibrido che presenta già al suo interno una certa porzione di genoma nobile (vitis vinifera) e lo stringente iter di selezione post-ibridazione ci permette di ottenere un prodotto finale con elevatissime qualità agro-enologiche comparabili, se non in certi casi superiori, alla vitis vinifera.” Per i neofiti del settore possiamo riassumere dicendo che se si procedere ad incrociare già un ibrido con un genitore nobile di vitis vinifera , i geni di quest’ultima prevarranno nei successivi incroci ma conserveranno le caratteristiche di resistenza alle malattie dell’antenata “vite selvatica” utilizzata nelle prime ibridazioni.

Ma chiediamo al nostro esperto: “Quali vantaggi trae il viticoltore (ma non solo) dall’impiego delle varietà resistenti e soprattutto dal drastico taglio dei trattamenti della vigna con pesticidi?”

“I vantaggi sono veramente numerosi: dalla registrazione nel Catalogo Nazionale delle prime varietà ibride, nel 2015, e ancor prima dal 2009, abbiamo trascorso questi ultimi dieci anni ad effettuare prove e sperimentazioni in campo per verificare di quanto si potesse ridurre la frequenza dei trattamenti antifungini. Dai nostri studi è emerso che, naturalmente considerando le variabili quali la posizione dell’appezzamento, l’andamento climatico dell’annata, l’adozione di vitigni resistenti può ridurli dal 60 all’80 per cento con un risparmio quantificabile intorno ai 1000 euro per le zone del Nord (dove si registrano mediamente 12/13 trattamenti annui), di 700 euro per le regioni del centro e di 500 euro per il sud dove i trattamenti sono inferiori già di consueto in ragione del clima più favorevole.

Ma i vantaggi più importanti non sono quelli monetari quanto quelli a livello sociale e ambientale: per prima cosa il minor utilizzo della trattrice agricola comporta una riduzione delle emissioni di Co2 e una minore compattazione del suolo. I benefici a livello sociale sono rappresentati dal miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua delle falde acquifere a fronte della drastica diminuzione dei pesticidi e prodotti chimici impiegati.”

Attualmente l’adozione della DOC per i vini prodotti da viti resistenti non è ancora possibile . Si possono produrre solo IGT o vino da tavola. In Europa, la situazione è diversa e variegata. In Germania, che non adotta la nostra denominazione di qualità, il vino ottenuto da PIWI può fregiarsi del marchio “vino di qualità”, equiparabile alla nostra DOC.  Naturalmente questi ultimi possono essere liberamente commercializzati in Italia decretando una disuguaglianza di trattamento con i nostri viticoltori che investono in Piwi. I vitigni resistenti sono considerati, infatti, vitis vinifera. In Francia, ove ci sono come in Italia le denominazioni, attualmente si sta discutendo di concedere la DOC ai nuovi vini da vitigni resistenti.

Spiega Yuri Zambon: “Questa disparità di trattamento e, se vogliamo, questa contraddizione in termini, si spiega con una disuguaglianza a livello normativo: a livello europeo non c’è ancora una presa di posizione certa. Auspichiamo che, nella prossima Pac, l’Europa conceda la possibilità di coltivare almeno il 10% della vigna con vitigni resistenti. Ad esempio, per la Glera (il vitigno del Prosecco) sarebbe ottimale coltivare con varietà ibride le zone perimetrali degli appezzamenti in modo da non effettuare trattamenti chimici nelle aree più vicine alle abitazioni civili o alle zone urbane.

Chiaramente poi bisognerebbe vedere la posizione che adotterebbe l’Italia. In Italia, attualmente, la competenza per questo settore è regionale e solo alcune Regioni si sono espresse in materia: la coltivazione e vinificazione è autorizzata in Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo.  La Toscana e il Piemonte, invece, stanno procedendo con l’iter di valutazione e sperimentazione.

Saranno famosi. Quali sono, dottor Zambon, i vini da vitigni resistenti? Come si riconoscono?

“In realtà solo dal 2019 sono in commercio vini prodotti con le nostre varietà resistenti. In linea generale, le principali varietà resistenti sono prodotte dall’Istituto di ricerca di Friburgo e dai nostri Vivai nell’ambito di un progetto di ricerca e collaborazione con l’Università di Udine. In Italia sono state iscritte nel Catalogo Nazionale 21 varietà di cui 10 dei Vivai Cooperativi di Rauscedo. Questi ultimi sono Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Julius (i primi 5 a bacca bianca, i secondi a bacca rossa).

Stiamo inoltre completando il procedimento per iscrivere quattro nuove varietà, due da pinot nero e due da pinot bianco e a breve potranno essere messe in commercio. Le prime piantine sono state messe a dimora nel 2015 e quindi ci sono voluti tre anni per diventare produttive e pertanto solo da un annetto sono in vendita vini da vitigni ibridi. Non è obbligatorio inserire questa informazione in etichetta, ma molti produttori , orgogliosi della propria scelta e di aver compiuto pochi trattamenti chimici, specificano che il loro vino è prodotto da Piwi e questi vini stanno già riscuotendo apprezzamenti a livello internazionale.”

Altro luogo comune è quello secondo il quale queste varietà resistenti avrebbero e avranno successo solo nelle zone del Nord. È proprio così? e soprattutto: per quale motivo?

“Potremmo dire che c’è una ragione evidente che giustifica questa affermazione: al Nord si effettuano maggiori trattamenti antifungini e soprattutto sono zone più popolose dove i vigneti si alternano ai centri abitati senza soluzione di continuità e pertanto molti vignaioli hanno cercato un’alternativa e le varietà resistenti offrono la risposta giusta. Al sud , come si diceva in precedenza, l’utilizzo di prodotti chimici è inferiore e al momento l’utilizzo di vitigni Piwi non è ancora concesso o regolamentato  e questo implica necessariamente una richiesta minore di queste barbatelle ma non certo un inferiore interesse.”

Quando giungono a maturazione e quando si vendemmiano queste viti?

“La varietà Fleurtai e Soreli, ad esempio, sono fra le più precoci e raggiungono la maturazione 15 giorni prima con vendemmia intorno ai 10/15 agosto. Quindi completamente in linea con il consueto periodo dedicato alla raccolta delle uve.”

Sperando di aver fugato alcuni dubbi in merito ai Piwi, vi diamo appuntamento al prossimo articolo dove faremo la conoscenza di un viticoltore che da anni crede e ha investito in vini da uve resistenti.

___§___

 

Elena Pravato

Se fossi un vino fermo sarei un Moscato giallo Castel Beseno. perché adoro i dolci (prepararli e mangiarli ) e resto fedele alla regola non scritta dei sommelier “dolce con dolce” . Inoltre è trentino come la terra che mi ha adottato. Se fossi uno spumante sceglierei un Oltrepò Pavese perché ricorda la mia Lombardia, dove sono nata e cresciuta. Se fossi un bicchiere sarei un bicchierino da shot o cicchetto, data la mia statura tutt’altro che imponente.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here