I nuovi blend di Mount Gay: il rum iconico delle Barbados

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Fare rum da 300 anni non si improvvisa. Ecco perché Mount Gay, dalle isole Barbados, è un simbolo di continuità ed affidabilità per gli appassionati della bevanda caraibica. Una delle aziende con maggior reputazione nel mondo del distillato derivante dalla canna da zucchero, fondata nel 1703, come documentato dall’atto costitutivo ritrovato negli archivi storici; il che la rende, di fatto, la più antica distilleria di rum ancora in attività. Ho avuto il piacere – su invito di Isla de Rum e del suo mentore Leonardo Pinto – di assaggiare in anteprima due prodotti nuovi dell’azienda, che andranno in distribuzione in questo finale d’anno. Due etichette storiche per la casa, il Black Barrel e lo XO: rinnovate perché, come inevitabilmente accade, i blend cambiano nel corso della vita del prodotto.

Come ogni prodotto derivante da materia prima naturale – in questo caso ovviamente canna da zucchero – una certa variabilità con le annate è scontata. Idem per i processi di fermentazione e distillazione, controllabili sì dall’intervento dell’uomo, ma pur sempre con molte variabili. Per non parlare dei risvolti organolettici diversi che possono scaturire dalle botti, che “segnano” in maniera decisiva il distillato.

L’arte del blending è quindi quella di decidere il profilo organolettico del prodotto finale che si vuole ottenere e, anno per anno, si cerca di raggiungere l’obiettivo pescando da tutti i barili a disposizione. Nel corso degli anni tutte queste variabili incidono e, inevitabilmente, arriva il momento in cui si deve ragionare sull’ipotesi di cambiamenti della “ricetta” del blend: in alcuni casi, si tratta di vere e proprie “rotture” rispetto al passato che, quasi sempre, sono accompagnate dalla messa in commercio di etichette nuove o un repackaging di etichette già presenti. A maggior ragione se a cambiare è anche il master blender, ovvero l’artefice della magica alchimia che porterà al prodotto finale: nel 2019 Trudiann Branker è diventata la prima donna a capo del processo di produzione. I due rum che abbiamo assaggiato sono quindi figli di questa piccola “rivoluzione”.

A Barbados, la più orientale delle isole caraibiche, non è consentita l’aggiunta di zucchero, né di sostanze aromatizzanti/coloranti. Questo per un accordo tra i produttori che sta per diventare norma. Non si usa nemmeno il metodo Solera (invecchiamento dinamico), ma preferiscono un invecchiamento “statico” nel barile, con rabbocchi periodici a bilanciare l’angel share (la percentuale di liquido che evapora). Come nel whisky, per l’invecchiamento si usa la norma del minimum age, in base alla quale il numero di anni presenti in etichetta, quando indicato, rappresenta l’età della componente più giovane del blend.

Mount Gay Black Barrel

Affina in un legno carbonizzato, dove permane però per un tempo non troppo lungo, in modo da non estrarre troppo pigmento. Dopo la miscelazione di barili ex-bourbon di età variabile tra i 3 e i 7 anni, il blend fa una finitura di 6 mesi nella stessa tipologia di botti ma con una carbonizzazione più accentuate. Al naso si presenta con evidenti sentori di burro, di latte di cocco, vaniglia, caramello, caffè, liquirizia e panpepato. Un profilo aromatico molto divertente, su un registro di speziatura decisamente morbida. Questa “piacioneria” olfattiva te l’aspetti anche in bocca. E infatti l’assaggio è dolce e vellutato, rotondo ma dal finale molto pulito, dove l’evidente dolcezza trova tutto sommato un buon equilibrio col resto delle componenti, chiudendo su un finale lievemente resinoso e legnoso.

Mount Gay XO

Etichetta storica della casa, prodotta in lotti limitati. Qui il blend va dai 5 ai 17 anni, con affinamenti in botti di legni diversi, sia ex-bourbon e che ex-cognac. All’inizio si presenta piuttosto chiuso, con note di ossidazione chiaramente più evidenti. Frutta secca, miele, dattero, caramello, cacao, fumo da camino…pian piano il naso si rivela. Si apre con l’ossigenazione, come previsto per un prodotto che ha un lungo invecchiamento. Grandissimo equilibrio al palato, con un alcol che spinge ma viene sorretto da una texture “palpabile”. Il finale è lunghissimo, di grande pulizia, su note di frutta secca e tostatura.

Due espressioni diverse, pensate per due target di pubblico differenti. Il primo è perfetto per una bevuta conviviale, spensierata, magari anche in miscelazione. Il secondo è tagliato per il bevitore che ama il rum liscio e di grande complessità, da sorseggiare con calma. Un rum da “meditazione” insomma, più per intenditori.

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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