Terracotta e vino, un rapporto antico proiettato nel futuro

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la-terracotta-e-il-vino-cultural-association-1-5IMPRUNETA (FI) – Ed eccoci, a due anni di distanza, a parlare di nuovo del rapporto fra la terracotta e il vino. O magari, secondo una formula più riassuntiva e concreta, del vino “creato” in anfora. L’occasione è stata offerta, ancora una volta, da quella vera e propria convention che prende proprio il titolo di “La terracotta e il vino”, che si deve agli sforzi dell’omonima associazione culturale fondata dal titolare della fornace Artenova, Leonardo Parisi, e che viene organizzata negli ambienti della Antica Fornace Agresti di Impruneta, nel fiorentino. E si può parlare giustamente di convention, visto che lì vi si radunano produttori provenienti da tutta Italia ma anche da Georgia, Francia, Austria, Portogallo e ancora da Oregon, Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa. Per discutere, scambiarsi idee ed esperienze, assaggiare e far assaggiare.

Per molti eno-appassionati il vino resta inscindibilmente legato all’immagine dei contenitori in legno, ossia alle botti, grandi o piccole che siano. Girando per cantine, ad esse si aggiunge poi la conoscenza delle vasche in acciaio e in cemento per le prime fasi della vinificazione (per i vini più “semplici”, le uniche). Questa immediatezza concettuale nasconde il fatto, anch’esso piuttosto immediato, che il vino è bevanda assai antica, e che era proprio l’anfora il recipiente utilizzato per produrlo nelle civiltà greca e latina, in cui esso assunse fra l’altro un grande valore anche culturale e simbolico, ed ancor prima, fino alle origini probabilmente caucasiche.

Ma oggi? Oggi esistono due luoghi in cui la vinificazione in terracotta non si è mai interrotta: la Georgia ed il Portogallo, che sono stati per questo al centro dell’attenzione nei momenti di approfondimento, anche per un suggestivo confronto di esperienze. Ed i rispettivi contenitori, rispettivamente i qvevri ed i talha di discendenza romana che sopravvivono nella zona dell’Alentejo, pur diversi fra loro e lungi dall’essere mere testimonianze del passato, sono di nuovo protagonisti in un presente che li ha rimessi al centro dell’attenzione.

Quello che si è osservato partecipando a “La terracotta e il vino” è stata la convergenza dell’interessamento di un numero sempre maggiore di produttori verso la vinificazione in anfora. Un interesse sviluppatosi su diversi livelli: c’è chi la sperimenta su qualche vino, rimanendo tradizionalista per il resto delle etichette. Così è per cantine anche assai blasonate come ad esempio Albino Armani in Valpolicella, Castello dei Rampolla in Chianti Classico, Elisabetta Foradori in Trentino (che fa sostare a lungo in tinajas spagnole il glorioso Teroldego Sgarzon). E così è, nella patria putativa dell’uso magistrale delle barrique, per il borgognone Patrick Landanger nel suo Domaine de la Pousse d’Or, mettendo a confronto una versione del Volnay 1er cru En Caillerets tradizionale, più profonda ed affascinante, con un’altra vinifié et elevé en amphore, aromaticamente pura ma solcata da un’acidità forse un tantino sopra le righe.

E poi c’è chi la vinificazione in anfora la abbraccia in toto, perché la ritiene una procedura utile per preservare il più possibile l’essenza della trasformazione dell’uva in vino, che evita di inserire elementi estranei, che poi sono quelli, aromatici e “tattili”, corrispondenti ai profumi ed ai tannini dovuti al soggiorno in rovere. Tutto questo in linea con una ricerca di una naturalità intesa come minima intromissione della mano dell’uomo nei processi di trasformazione.

E visto che l’anfora, regina nell’antichità, si accinge a svolgere un ruolo rilevante anche nella contemporaneità, finisce inevitabilmente sotto le lenti della ricerca scientifica. Che sta controllando, ad esempio, l’andamento della concentrazione dei metalli nel mosto in corrispondenza al passaggio nel contenitore. I risultati di una ricerca coordinata da Francesco Bartoletti e dall’enologo Adriano Zago  hanno evidenziato un incremento dell’alluminio, osservato ad esempio nel trebbiano, nel cannonau, nella nosiola, nel cabernet sauvignon toscano. Tutte le altre concentrazioni non subiscono grosse variazioni. E questo è un segnale rassicurante.

Riccardo Farchioni

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