Right between the eyes. Al mercato dell’indipendenza FIVI di Piacenza

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mercato FIVI_logoPIACENZA – Ci sono accadimenti nei quali, fortunatamente, tutto sembra riacquisire un senso e una misura. C’è chi li chiama segni. Dopo aver vissuto certi accadimenti te ne esci da lì con la speranza di una consapevolezza in più  (con la consapevolezza di una speranza in più), da tener cara per i freddi inverni. Del tipo: la forma spesso e volentieri conta niente. Fatto assolutamente non scontato visti i tempi che corrono, ancora ubriachi di berlusconismo e dei suoi rigurgiti elitari e filo-borghesi, in grado persino di insinuarsi nelle fila e nelle teste di altri schieramenti con disinvolto savoir faire.  E invece ti accorgi, da quei segni, che la sostanza può molto di più dell’apparenza, in grado com’è di rimuovere ostacoli frettolosamente immaginati come invalicabili. Semplicemente, facendoteli dimenticare in fretta.

cartelloUn esempio? Prendete il mercato della FIVI, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti. Da alcuni anni, pochi, nei capannoni squadrati e impersonali dell’ente fiera di Piacenza si tiene uno strambo e affollato mercato novembrino del vino artigianale: circa trecento produttori provenienti da ogni parte d’Italia (ovviamente una minima parte degli iscritti alla federazione), ciascuno con il proprio tavolo, per una due giorni all’insegna della degustazione, della condivisione e della vendita diretta. Come al mercato, appunto, con tanto di carrelli per la spesa. Ebbene, se ti fermi al contesto paesaggistico offerto da quella periferia anonima e assorta, reso ancor più insidioso dalla proverbiale bruma nebbiosa che tutto avvolge e nasconde, o se ripensi alla vuota vastità di quegli interni implacabilmente intrisi di post fordismo e alle luci fredde e anodine del complesso fieristico, un brivido ti corre lungo la schiena. Perché quel coacervo invasivo di cemento e linearità, di forme e contenuti architettonici scabri e irreggimentati, sei convinto non possa contenere bellezza. Che non ci sia spazio, fra i tanti spazi, per lei. D’altronde, l’assenza di scenografie o di stand strutturati non nasconde di certo l’involucro,  che richiama oppressione nonostante la provvidenziale altezza dei solai.

banco FIVIAnche per questo il miracolo che si compie all’interno di quella scatola senza curve ti apparirà ancor più eclatante. Da che conserva l’ardire dell’astrazione e dello spontaneismo -un qualcosa di grezzo e di definito al contempo-, alimentati senza sosta da una atmosfera calda e rilassata a cui contribuiscono solo e soltanto l’estro e la sensibilità umane. Sono gli uomini e le donne che animano la kermesse a far la differenza. Sono loro le fondamenta reali, non certo i pilastri armati della straniante scenografia industriale. Fra pensieri, invettive, buoni propositi e anarchica convivialità, arricchiscono il miracolo di una melodia apparentemente disarmonica ma coesa, stranamente coesa, che vien voglia di ascoltare. Quell’atmosfera, e quella gente, ti ripagano dalle malinconiche incertezze del contorno e dalla matematica perversione architettonica. Al cuore delle cose ci sta roba buona, e odora di sincerità.

banchi assaggioE’ una strana alchimia quella che si realizza lì dentro, fors’anche difficile da prevedere in fase progettuale. Sì perché quei vignaioli, a ben vedere, oltre che l’adesione a una federazione di categoria che ha a cuore la salvaguardia di un mestiere praticato e non demandato, non sono propriamente legati da visioni comuni riguardanti -chessò- la conduzione agronomica o la naturalità dei prodotti, l’attenzione verso le autoctonie o il rispetto della tradizione nei metodi di elaborazione; epperò senti che rappresentano l’anima pulsante di un qualcosa che vive, che pensa di testa propria e che riesce a trasmettere buone vibrazioni al visitatore, un visitatore incuriosito e felice di ritrovarsi là in mezzo, fra tanti coltivatori diretti. In un simile contesto puoi tentare allora il contatto appassionato, dialogico, disinvolto, magari con persone e con produzioni di cui mai avevi sentito parlare, neanche nei salotti buoni della critica enologica. E il tutto in barba alle probabili incazzature di certi attori di filiera (leggi enotecari e ristoratori) che si vedono nascere e crescere tutt’attorno dei porti franchi in cui i contadini possono vendere direttamente le loro bottiglie ai consumatori, applicando in pratica (spesso è così) lo stesso prezzo che farebbero a loro!

FIVI corsie_1Per il secondo anno consecutivo abbiamo deciso di esserci anche noi de L’AcquaBuona. E assieme al piacere di constatare che questa federazione, oltre agli aspetti promozionali e commerciali, non perde occasione di portare all’attenzione dei politicanti e dei capitreno piattaforme di discussione o richieste concrete che vadano a dar voce a coloro che coltivano le proprie vigne e producono i vini “all’origine”, ci ha confortato il fatto che gli ampi spazi dello scatolone hanno consentito di spalmare efficacemente il buon afflusso di pubblico (in netta crescita rispetto all’anno scorso), rendendo vivibili gli ambienti e praticabile il dialogo coi vignaioli. Ecco, appunto, i vignaioli: “fauna” varia e variegata questa, che solo sporadicamente ha accolto accenti snob e fuori luogo per poi accendersi di umanità e naturalezza negli occhi e nei gesti dei più. Letteralmente illuminata, direi, dalle giovani generazioni, le più attente nel cogliere i segni ineludibili che riguardino il “gesto agricolo consapevole” e il futuro di un mestiere. Rispetto della terra, biodiversità, coscienza critica…..concetti che ricorrono spesso fra i banchi del mercato. E se non tutti potranno godere di terroir che contano, c’è il fatto che qui ci si mette la faccia, e con piena dignità ci si presenta al pubblico con quello che si ha e per quelli che si è. Sono l’umiltà e la fierezza a colpire di più. A volte finanche l’ingenuità. Ben più del tasso di qualità organolettica percepito nei vini.  E come diceva un tale che la sapeva lunga, e la sapeva anche cantare: “a man is a man who looks the man right between the eyes” (“un uomo è chi riesce a guardare un altro uomo dritto negli occhi”). Ecco, oltre ai vini, a certi vini, quel che resta di questa esperienza è la reciprocità di uno scambio che è anche scambio d’occhi, intesa senza parole. A stabilire le regole di un contatto umano intriso di curiosità e rispetto che segua le linee comportamentali dell’approccio spontaneo, senza ombra alcuna di presunzione o prosopopea: è il didentro che passa dagli occhi. Al punto che ho pensato: ma in fondo questa è la gente di cui ho inteso sempre scrivere, sono loro i vignaioli della predilezione, lo stimolo costante per parole sempre nuove. E nel riappropriarmi di un senso e di una direzione ho compreso più che mai, girovagando fra i tavoli dei vignaioli del sud  e del nord della penisola ( maniacalmente distribuiti a caso, senza nessuna logica umana comprensibile) ciò che Mario Soldati predicava già quarant’anni fa: bisogna andare verso il vino, non aspettare che il vino venga a te. A parlare con certi vignaioli, a volte solo con gli occhi, torna la voglia di viaggiare, di superare i confini ristretti del capannone padano e di andare incontro al vino.

Fra pulsioni sperimentali e ritorni all’origine, fra ideologie natural & g-local (che fanno tanto tendenza) e sacrosanti retaggi veronelliani, fra omaggi a vignaioli veri (Lino Maga docet) e svolazzi onirici, ci troverai tanta, tanta concretezza. E voglia di comunicare. Insomma, “c’è che ci fa e c’è chi ci è”, ma l’aria che respiri sotto quel capannone non sa di tappo. Una strana alchimia, mi ripeto, nutre e nutrirà i racconti di chi è stato lì. Lì dove non comprenderai fino in fondo le ragioni del legante, o cosa avranno mai in comune tante storie e tanti percorsi diversi. Lì dove non comprenderai il contorno, ecco. Che poi è solo superficie. Ma forse il bello sta proprio in questo: diversità, condivisione nella diversità. Un modo nuovo e affatto ideologico di ritrovarsi e contarsi, un bussare alla porta insistito e garbato. Come a dire, tutti insieme eppure indipendentemente: “uhei, siamo qua, siamo la terra che viviamo. Rispettateci, rispettiamoci: right between the eyes”. Appunto.

Le foto sono di Paolo Rossi. Altre foto dell’evento, di Leonardo Mazzanti, sono visibili nel nostro account Instagram

 

 

 

FERNANDO PARDINI

2 COMMENTS

  1. Grazie Fernando a nome di tutta la Fivi, belle parole!
    In effetti il contenitore non era vuoto come sembra; nel 2003 Veronelli scelse proprio la fiera di Piacenza per un suo grande evento sulle DeCo. Durante la riunione preliminare invece mandò al diavolo alcune personalità che a suo avviso non erano degni dei suoi sforzi e tutto rimase là, fermo, in attesa che altra sostanza colmasse quel temporaneo vuoto. L’abbiamo scoperto solo quest’anno ma come tu sai io sono convinto che le energie non si coagulano proprio a caso, non mi sono troppo stupito. Adesso la parte più difficile: mantenere questo livello e possiamo riuscirci solo con l’aiuto di tutti i Vignaioli. Buon Natale

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