I poco noti ma gustosi vini del Vaud

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Molto tempo fa, nei primi anni come cronista del vino, commisi l’errore di non documentarmi a sufficienza sulla storia del vino svizzero in un articolo per il Gambero Rosso dove parlavo di “nazione enologicamente giovane” o qualcosa di simile. Un lettore mi indirizzò una garbatissima lettera in cui mi faceva presente che la Svizzera ha una tradizione plurisecolare nella produzione enologica. Una bella figura.

Ma sono indulgente con il me stesso del 1995, sia per l’ingenuità degli esordi, sia perché si tratta di un errore che ripeto anche oggi. Occorre infatti capirsi sul significato di “a sufficienza”. Se lo intendiamo come lo intendeva un rigoroso studioso ottocentesco, vuol dire passare mesi e anni ad approfondire un soggetto dato. Se restiamo all’approssimazione moderna, le coordinate spazio-temporali sono molto diverse. Mutatis mutandis, è quello che ad esempio accade nel mondo della conduzione orchestrale: decenni fa un direttore aveva – spesso pretendeva – molte settimane per provare con una filarmonica; oggi, se va di lusso, fa due o tre giorni di prove, e via al concerto.

Ma torniamo al vino svizzero. Il mese scorso sono stato a visitare alcuni vigneti del Vaud, cantone che guarda il massiccio del Jura e confina con l’omonima regione francese. Nonostante la prossimità, nei fatti i due versanti non condividono un panorama vitivinicolo strettamente imparentabile. Nel Vaud non c’è una tradizione di vini secchi ossidativi, per dire la prima cosa che verrebbe in mente.

Ed è un’evidenza ovvia il fatto che, mentre i vini del Jura costituiscono una moda scintillante e a tratti selvaggia (negli stessi giorni ho visto orde di ragazzi e ragazze sotto i trent’anni alla manifestazione jurassica Le vin dans le vert, manco fosse un concerto dei Måneskin), i vini del Vaud non se li fili quasi nessuno.

Un vero peccato, dal momento che qui si fanno vini sempre più ampi, armoniosi, succosi. Complice, verosimilmente, il famigerato cambio climatico, anche se la zona gode da sempre di un microclima favorevole alla vite e ha tradizioni vitivinicole antiche.

Sulle alture che dominano il lago Lemano, una delle aziende più felici nell’interpretare i caratteri del vino locale è senza dubbio il domaine Henri Cruchon, che negli ultimi trent’anni è stato apripista nella diversificazione dell’encepagement, ovvero del parco di varietà coltivate. In conduzione biodinamica, le vigne ospitano infatti numerosi vitigni, dalla coppia di ascendenza borgognona chardonnay/pinot nero all’uva principessa della regione, lo chasselas.

Lo stile dei vini è un po’ sorvegliato nel comparto bianchista (in altre parole i bianchi sono ottimi, ma piuttosto tecnici nell’espressione), mentre appare più sciolto e convincente in quello dei rossi.
I costi delle bottiglie risultano molto competitivi: certo, da un lato siamo in Svizzera, dove un cappuccino costa 290 euro, ma dall’altro siamo in una terra del vino poco “mediatizzata” e quindi dai prezzi non gonfiati dalla speculazione.
Di seguito alcune sintetiche note di assaggio della variegata gamma produttiva.

Bianchi

Chasselas Le Morget 2022

Molto semplice sul piano aromatico, lineare, poco rilievo, finale elementare, si fa bere

Chasselas Grand Cru Champanel 2022

“Tecnico”, più polpa del precedente, poca originalità ma buon equilibrio delle parti

Chasselas Grand Cru Le Chapitre 2022

Un po’ più saporito e slanciato dei primi due Chasselas, si esprime sempre un po’ irrigidito nello schema di base “pulizia/aromi primari/gusto bilanciato”, ma ha una certa incisività conclusiva

L’initié Chasselas Nature 2022

Più sulla nespola, un po’ astringente, non molla la camicia tecnica, poca rilassatezza; comunque di buona presa al palato

Altesse 2022

Sulla stessa linea, ben fatto, poco eccitante, ma un valore tranquillo a tavola

Noblesse de Chardonnay 2014

Buon colore, luminoso, timbro boisé un po’ semplice, buon attacco, buona spinta, finale non molto rilevato

Altesse Nature 2021

Punta di riduzione, che svanisce subito, bella energia, spinge abbastanza, ha carattere. Il migliore finora

Rossi

Melodine 2022

Da uve pinot nero. Ciliegia affumicata (che non esiste), fresco, davvero gustoso, bella polpa: non complesso ma bevibilissimo

Expressis 2022

Da uve garanoir e pinot nero. Intrigante all’olfatto, abbozza una certa complessità, nota vegetale controllata, lato fumé, non profondo (meglio) ma gustoso

Servagnin Grand Cru Pinot Noir 2021

Tipicamente scarico nel colore, piacevole nello sviluppo aromatico, bel tatto, leggero ma succoso, molto gustoso

Raissennaz Grand Cru Pinot Noir 2022

Più tannico del precedente, tannini comunque di buona grana, ha una sua dinamica e il finale è in crescendo di focalizzazione

Champanel Grand Cru Pinot Noir 2022

Succoso, polposo, molto belli i tannini, saporiti, si sente poco l’elevage, nel complesso ottimo

Les Lugrines Grand Cru Pinot Noir 2020

Leggermente vegetale al naso, ma non crudo; buona progressione al palato, un poco vuoto a centro bocca, comunque ben eseguito

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Fabio Rizzari

Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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Giornalista professionista. Si è dedicato dalla fine degli anni Ottanta ad approfondire i temi della degustazione e della critica enologica professionale. Ha collaborato con Luigi Veronelli Editore, casa specializzata in critica enologica e gastronomica, e dal 1996 ha lavorato, come redattore ed editorialista, presso il Gambero Rosso Editore. È stato collaboratore e redattore per la Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso Editore e Slow Food. È stato per diversi anni curatore dell’Almanacco del Berebene del Gambero Rosso Editore. È stato titolare, in qualità di esperto di vino, di diverse rubriche televisive del canale tematico Gambero Rosso Channel. È stato relatore per l’AIS, Associazione Italiana Sommelier. È stato membro del Grand Jury Européen. Dal 2003 al 2015 è stato curatore, insieme a Ernesto Gentili, della Guida I Vini d’Italia pubblicata dal gruppo editoriale L’Espresso. Del 2015 è il suo libro “Le parole del vino”, pubblicato dalla Giunti, casa editrice per la quale ha firmato anche – insieme ad Armando Castagno e Giampaolo Gravina – “Vini da scoprire” (2017 e 2018). Con gli stessi due colleghi è autore del recente “Vini artigianali italiani”, per i tipi di Paolo Bartolomeo Buongiorno. Scrive per diverse testate specializzate, tra le quali Vitae, il periodico ufficiale dell’AIS.

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