Jonquille e le altre (come si cambia)

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La prima volta fu 18 anni fa, in un fazzoletto di terra a Gevrey-Chambertin (vedi foto). Rimasi sorpreso e ammirato per come si muoveva quel possente ed elegantissimo cavallo da tiro, nel mentre arava la vigna fra gli interfilari in compagnia di un omino che lo guidava. Lui, il cavallo -in realtà una femmina- di nome faceva Jonquille. “Ma copine”, la definì l’omino.

Mi intrattenni per due chiacchiere, fra curiosità e rispetto. C’eravamo solo noi in quel luogo. Jonquille, ferma e impassibile, soffiava vapori dalle nari nell’aria fredda di marzo muovendo a scatti dolci la coda, lui gentile e alla mano, aveva un tono di voce flebile e garbato.
Intravvidi all’impronta la possibilità di fissare un appuntamento in cantina con quell’omino sconosciuto, da quando mi rivelò che produceva vino in zona. Tentai l’approccio.
Lui fece due conti con gli occhi, squadrando l’appezzamento: calcolò che per finire il lavoro con il cavallo ci sarebbero volute ancora tre ore, dopodiché ok per l’appuntamento in cantina!
Che poi non era una cantina, era una chiesa.

Non ho dimenticato Jonquille, e non ho dimenticato quell’uomo. Ah, il suo nome era Claude Dugat (nota a margine: uno dei vignaioli più celebri dell’orbe terracqueo).

Oggi, sui quotidiani che contano del mio paese, si parla della riscoperta dei cavalli in vigna. Non si parla di un Claude Dugat et similia, no, ma di “aziendone” e di “imprenditoroni”.
Nell’articolo vi è riportata la frase di un tizio che ci vede lungo, o che intenderebbe vederci lungo: “Se non si guarda all’ambiente si perdono i mercati”.

Così mi sono ritornati in mente Jonquille e il suo mondo. E pensare che allora tutto ciò non mi era sembrato affatto esibizione!

FERNANDO PARDINI

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