Le interviste possibili. Terenzio Medri, IL Sommelier

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terenzio-medri-008-smallLa partenza è sempre difficile quando mi approccio ad un articolo. E lo è ancora di più quando incontro persone e luoghi che smuovono qualche cosa, energia, emozioni, riflessioni. Tutto dentro di me si aggroviglia in maniera inconsulta. Allora faccio una cosa, lascio che il mio ribollire interiore si acquieti. E aspetto. Aspetto fino a che le parole non spingono per uscire. Voglio che sbattano con violenza alla porta della mia mente, e che reclamino il loro spazio sulla carta.

Stavolta è stata più lunga del solito, perché tante sono le storie che appartengono a questo personaggio ed ancora di più ne è venuto durante il nostro incontro. Ogni volta che mi costringevo a scriverne non riuscivo a mettere in luce tutti i suoi lati per fonderli in un racconto coeso. E dire che mi ero preparato bene. Avevo studiato più del solito le domande da porgli, in maniera maniacale e per una settimana. Le avevo sistemate ed organizzate puntigliosamente, ma non è stato sufficiente. Quando ti trovi a contatto con una personalità di così tanta esperienza e cultura, che ha calcato i palcoscenici enoici di tutto il mondo, le ambasciate italiane all’estero, che è stata intervistata da critici e giornalisti in tutte le lingue, non puoi pensare di dirigere tu l’intervista e fare il Gianni Minà della situazione. Una personalità del genere, anche inconsciamente, ti centrifuga; parti guidando e in breve ti ritrovi passeggero. Con il senno di poi non ne è stato proprio un male, e leggendo capirete perché.

terenzio-medri-011-smallFeci tutti i corsi A.I.S (Associazione Italiana Sommelier) sotto il suo mandato ed ebbi diverse occasioni di incontrarlo, di osservarlo, di cogliere aldilà delle parole il suo lato più autentico. Sul palco era un catalizzatore, una colonna portante dell’Associazione, magistralmente capace di tenere a freno quell’impeto romagnolo che gli scorreva dentro e che ha sempre cercato di valorizzare, e al tempo stesso di esprimerlo coinvolgendo le platee senza mai atteggiarsi a “Ministro di Culto”.

Quando poi lo incontravi in ambiti più informali si dimostrava sempre attento e disponibile, lo vedevi ascoltare i vari colleghi ed uscirne sempre con una proposta o un “ vediamo cosa possiamo fare ”. Oggi lo ritrovo un po’ affaticato, alcuni pensieri di troppo, qualche anno in più sulle spalle e il titolo di nonno appuntato sul petto, un titolo di cui va molto fiero peraltro, forse più di quello di presidente AIS ad honorem. Però, non appena gli fornisci lo spunto per dire la sua si trasforma in un leone, e d’improvviso ringiovanisce di molte primavere calcando un palcoscenico immaginario che evidentemente gli appartiene per natura.

terenzio-medriLascio il flusso della conversazione nelle mani di Terenzio e me ne sto ad ascoltare. E’ un’intervista che parte dai titoli di coda, non me lo aspetto. “Sono partito da appassionato, come molti altri. E il merito del mio successo lo devo a personaggi che mi hanno prima insegnato, poi supportato. Devo dire grazie a Gianfranco Bolognesi, Nerio Raccagni, Luigi Veronelli, Paolo Teverini, Franco Tommaso Marchi.”

-E’ partito da appassionato sì, ma poi la strada è andata da tutt’altra parte.

“Questo lavoro qui, la ristorazione, mi ha sempre affascinato e ha sempre rappresentato ciò che avrei voluto fare. I miei genitori mi volevano mandare all’università ma io sentivo dentro questo lavoro. E’ stata una scelta di vita, era scritto nel mio DNA. Ho fatto tutti i passi dovuti, scuola alberghiera, esperienze all’estero. In Svizzera feci un apprendistato fondamentale al Baur au Lac di Zurigo, dove mi sono costruito le basi per comprendere l’alta ristorazione. Se un italiano aveva l’occasione di lavorare lì, era un passepartout che ti apriva tutte le porte. Facevo tanti concorsi e andavano tutti bene, era una dote che mi sono subito riconosciuto. E’ come quando uno nasce pittore, o cantante, ognuno di noi ha dentro un qualcosa che lo guida.

I miei genitori comunque mi hanno appoggiato ed aiutato. Ho aperto il mio primo locale a Pinarella di Cervia. Nutrivo questa passione per i vini ed avevo molti amici a Cesena dove, invece, c’erano bar frequentati solo da uomini, le donne erano escluse. Una donna che andava al bar non era vista bene. C’era una cultura che io mi rifiutavo di accettare, e cercai di cambiarla. Divenni subito amico di Gianfranco Bolognesi, storico proprietario della Frasca di Castrocaro Terme, già allora ristorante stellato. Fu il primo a vincere il titolo italiano di sommelier e il primo fiduciario dell’Emilia-Romagna. Uomo di grande classe, eleganza e stile, doti innate che riuscì a trasmettermi.

In seguito conobbi Nerio Raccagni (recentemente scomparso ), anch’egli ristoratore. E’ stato l’inventore della didattica A.I.S., un ricercatore che ha fatto grande l’associazione italiana sommelier. Aveva un orto con tutte le spezie possibili e immaginabili, per imparare a riconoscere i profumi. In seguito portai a termine i corsi e divenni sommelier professionista. Di lì l’incontro con un altro grande maestro che mi ha sempre seguito da vicino ed incoraggiato, Luigi Veronelli, una persona umile e straordinaria per cultura e umanità. Ci si frequentava spesso e la nostra amicizia durò fino alla sua scomparsa. Tutti questi amici mi hanno trasmesso una grande cultura. Quando frequenti quel mondo e ti confronti con certe persone, è una cosa bellissima”.

Il sorriso si allarga e diventa leggero, solare, con una punta di malinconia. Forse il ricordo di una cena dove tutti sedettero a tavola assieme, per un’ultima volta.

“Conoscevo un ragazzo amico del gruppo musicale dei Nomadi, che mi portò a vedere le prove nell’osteria di Guccini, a Bologna, frequentatissima anche da ristoratori e addetti ai lavori. Vidi Guccini che suonava e contemporaneamente intratteneva i clienti, con l’immancabile fiasco del vino sempre accanto. Allora cominciai a pensare a un idea del genere anche per Cesena, che non vantava allora realtà alternative, c’erano soltanto osterie e ristoranti. Le osterie erano frequentate da prostitute, “poco di buono” ed ubriaconi, mentre i ristoranti erano tutti uguali, con lo stesso menù. La gente trangugiava a quei tempi là, non è che degustasse.

La mia fidanzata di allora, oggi mia moglie, lavorava in centro e c’era un’osteria vecchio stampo lì vicino, Il Lampione: la rilevai, la trasformai, mi documentai. Volevo farne un locale per i cesenati, allora città ricca. Non volevo dargli quello che mangiavano di già, così studiai piatti classici ma che provenivano da fuori, da altre regioni d’Italia: piatti veneti, toscani, ecc. Andavo a scegliere quei prodotti che non erano romagnoli, in più mi ero fatto una bella cantina all’avanguardia. Andavo a prendere il pane ad Altopascio, in Toscana, oppure quello ferrarese. Il successo fu notevole. Tanti personaggi famosi passarono da lì. Bruno Pizzul, che diventò mio amico, Franco Nero, la Nicoletta Braschi con Benigni, e poi cominciarono ad arrivare da fuori, Rimini, Riccione, Ferrara. Fu un trionfo della Romagna. Poi mi hanno preso nel consiglio Ais dell’Emilia-Romagna, con Gianfranco Bolognesi che è sempre stato la persona che mi ha trascinato. In seguito mi proposero di fare il fiduciario per la Romagna e finì che diventai il presidente nazionale.”

 -Sotto il suo mandato l’Ais ha fatto un salto di merito.

“ Vedevo che all’estero, nei ristoranti degli alberghi, c’era tanta qualità. Soprattutto negli hotel a 4 e 5 stelle. Avevano nel menù piatti provenienti da cucine straniere. In Italia questo era scarsamente considerato, anche ad alti livelli. Così abbiamo sensibilizzato i vertici della categoria albergatori per collaborare al miglioramento e alla promozione. Ho cercato di far sì che chi faceva questo lavoro si potesse distinguere da chi questo lavoro non lo faceva, altrimenti si perdevano di vista gli sforzi fatti, e quindi l’associazione. Durante il mio incarico abbiamo cercato di fidelizzare i corsisti creando entusiasmo attraverso lezioni e seminari. Questo ha portato l’Ais, durante il mio mandato, a 35.000 iscritti. Inoltre acquistammo un immobile a Milano per farci la sede nazionale.”

-Un’altra cosa le va dato atto, la figura del sommelier uscì dall’anonimato.

“Ho portato avanti una battaglia affinché la figura del sommelier fosse riconosciuta professionalmente. Mi sono battuto a Roma perché oltre a figure gia ufficializzate quali cameriere, chef, chef de rang, maitre, vi fosse anche la nostra.”

-Qual’era il suo progetto di base?

“L’obiettivo era quello di aumentare la professionalità, valorizzare al massimo la figura del sommelier all’interno della ristorazione e di alzare il livello di qualità nelle cucine degli alberghi. Questo fu fatto coinvolgendo un co-protagonista che era Federalberghi. La promozione di questo progetto, in Romagna, durò quindici anni. Tant’è vero che ottenne grandi risultati. In seguito abbiamo creato un’associazione internazionale, la W.S.A (Worldwine Sommelier Association ), l’associazione dei Sommelier nel mondo. E’ nata con lo scopo dichiarato di contribuire a migliorare la diffusione della cultura del vino e del cibo, riunendo in questo progetto le più prestigiose associazioni mondiali coinvolte nel settore, non solo quello del vino, ma anche tutti i prodotti tipici. Ho sempre cercato di unire le persone, mai la disgregazione o l’autocelebrazione. Tanto più che lottai per far entrare la FISAR, tramite Roberto Rabachino -presidente della stessa nonché di ASA, l’associazione giornalisti dell’agro-alimentare – all’interno della W.S.A., cosa che avvenne fino alla fine del mio mandato.”

-Non era così naturale svolgere due mandati consecutivi da presidente (2002-2010), ma mi sembra di ricordare che il secondo mandato fu decretato per acclamazione, visti i successi conseguiti.

“Sì, ma non fu solo merito mio ma di tutto lo staff e dei ragazzi sparsi per il mondo. Grazie al loro metodico ed appassionato lavoro tutte le denominazioni del vino italiano hanno fatto la conoscenza dei mercati esteri. E l’associazione si è consolidata professionalmente. Ho sempre ascoltato molto senza essere mai critico, portando avanti nel migliore dei modi idee che fossero proficue per l’avvenire della associazione”.

  -Come vede l’ AIS da fuori, ora che è un presidente ad “honorem”?

“L’AIS la vedo sempre bene perché ce l’ho nel cuore, ce l’ho nel sangue. Ovviamente i vertici di adesso bisogna che adottino uno stile diverso e che pensino meno a se stessi.”

-C’è voglia di primeggiare e di mettersi in mostra?

“Io ci ho messo il cuore e la passione, ma forse hanno ragione loro. Capisci?”

Mi guarda e con fare diplomatico sorride. Messaggio ricevuto, presidente.

-Adesso cosa le piace fare?

“Gli anni passano, sono nonno, comincio ad avere qualche problemino di anagrafe però sono sempre attivo. Mantengo i contatti importanti e seguo attentamente il mondo del vino. Mi invitano a convegni di altre categorie di “sommellerie” ( FISAR, ONAV, ecc ) a cui non vado ma poi mi aggiorno su quello che è stato detto e sulle decisioni prese. Non vedo però la mia associazione mantenere i rapporti con queste categorie. E’ grave. Dopo la mia partenza vi è stata la spaccatura a Roma fra l’AIS  e la fondazione FIS. E’ stato un errore madornale, perché non è stato fatto il bene dell’associazione. E’ stato anche un grande errore nei confronti del mondo del vino. Molti produttori si trovano in difficoltà se aderire a questa o quell’altra manifestazione. L’AIS, che non molto tempo fa era quasi dappertutto, nelle trasmissioni, sui giornali, adesso è un po’ sparita. La divisione fra l’AIS e la fondazione ha fatto del male al mondo del vino. Tutto questo mi dispiace. Se fossero intelligenti si rimetterebbero assieme.”

-Il momento più bello del suo mandato.

“Eravamo stati ricevuti dall’allora ambasciatore italiano a Washington Giovanni Castellaneta, per un riconoscimento. Mi trovai di fronte ad una platea selezionatissima di trecento persone provenienti da tutto il mondo ed appartenenti a svariate categorie: funzionari governativi, ricercatori, capitani d’industria, politici, giornalisti. Tutti appassionati di vino ed organizzammo un piccolo corso di degustazione. Ero in difficoltà, la maggior parte di loro poteva vantare tre/quattro lauree e io mi sentivo uno sprovveduto; in fondo mi sono sempre sentito un’oste. Gli raccontai chi ero, un semplice ragazzo di provincia che tramite una passione era riuscito ad arrivare fino a qui, e cominciammo la lezione. Fu un successo enorme. Mi ringraziarono per la capacità comunicativa e gli insegnamenti, loro a me. Ancora rimane il mio ricordo più bello.”

Il momento piu’ difficile del suo mandato.

“Quando ho intrapreso quell’avventura ero ben consapevole delle difficoltà. Prima di diventare presidente il mio ruolo fu quello di tenere i rapporti con le regioni, quindi conoscevo il mondo dei personaggi che erano all’interno della associazione, ma anche quello dei personaggi che vi ruotavano attorno. Nonostante tutto, la difficoltà maggiore è sempre stata quella di mantenere unità di intenti e rapporti. Ricordiamoci che questa è un’associazione con oltre 40.000 iscritti.”

-Mi capita spesso di vedere il giovane consumatore nutrire un timore riverenziale nei confronti del vino, perché secondo lei?

“Forse manca la motivazione del sapere, se tu non senti un’esigenza non ti avvicini e rimani un consumatore e basta.”

-Cosa ne pensa di queste gare in TV, i vari masterchef ecc?

“Penso che non ne possiamo più. Ci sono più cuochi in televisione che in cucina. Quella non è più cucina, quelli sono attori, ed imprenditori. Ovviamente fanno bene, però sono personaggi televisivi, non si muovono più fra pentole e fornelli. L’altro giorno ho letto una intervista al grande Cipriani che diceva che lui in cucina non voleva più chef, voleva i cuochi.”

-Com’è il suo rapporto con il vino, oggi?

“Al momento è un rapporto difficile. Purtroppo la mia salute non me lo permette. E’ come avere una bella donna di fianco, la desideri ma non puoi perché te lo dice il dottore. E’ dura.” E una risata fragorosa scaturisce involontaria e generosa da parte di entrambi.

Un affetto e un attaccamento infinito verso la “sua” associazione. Due mandati portati a termine con serietà, competenza e passione. Nessun rimorso né rimpianto. Nelle sue parole solo il cruccio degli anni che passano e i malanni che a volte ti costringono a ripiegare nelle retrovie. La conversazione sfuma e i riflettori di questo palco immaginario si spengono. Ora lo vedo stanco, pensieroso ma saldo. Orgoglio romagnolo? Oppure la forza che ti viene dal sapere di aver dato tutto per un’idea?

Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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