Monte del Frà: fra tradizione e sostenibilità, i valori della famiglia Bonomo dal 1958

0
2817

Premetto, sono un grande estimatore dei vitigni autoctoni vinificati in purezza, sia italiani che esteri. Da questa tipologia di vini mi aspetto sempre tanto, soprattutto se prodotti da aziende valide e con la testa sulle spalle (come si suol dire), in grado di conservare un attaccamento viscerale al proprio territorio d’origine. E’ altresì vero, scherzo del destino, che alcune tra le più grandi sorprese mi sono arrivate da etichette diametralmente opposte dal punto di vista costitutivo, ovvero prodotte con l’utilizzo di svariate cultivar, dunque lo stupore indubbiamente si è moltiplicato.

Monte del Frà, dal 1958 proprietà della famiglia Bonomo di Sommacampagna (VR), è una di quelle aziende – situate nelle colline moreniche che circondano il Lago di Garda – che negli anni è riuscita ad offrire al consumatore una gamma di vini di apprezzabile regolarità qualitativa tanto nel primo caso quanto nel secondo. Il motivo è presto detto: la zona di appartenenza è quella del Bianco di Custoza o Custoza, DOC dal 1971, nota ai più per il fatto che il disciplinare di produzione prevede l’utilizzo di svariati vitigni tra cui bianca fernanda, garganega, trebbiano toscano e tocai friulano (ognuna di queste non può superare il 45%) da soli o congiuntamente per un minimo del 70%; per la restante parte malvasia, riesling (italico e/o renano), pinot bianco, chardonnay e incrocio manzoni 6.013.

La denominazione quindi offre una miriade di possibilità, ma a mio avviso è l’esperienza della cantina l’arma vincente, quasi a comporre un cocktail dove ogni ingrediente gioca un ruolo funzionale ai fini del risultato. Un vino attuale, considerando soprattutto i capricci della natura che negli ultimi anni stanno preoccupando non poco i viticoltori, e non solo: avere la possibilità di “giocare” cone le proporzioni riguardo le uve, gli appezzamenti, la selezione clonale o la vendemmia selettiva – modificando di anno in anno la “formula” – rappresenta una soluzione più che valida per proporre al mercato un vino equilibrato e godibile.  Questa tesi tra l’altro è oggetto di discussione, più volte ho affrontato il tema con diversi colleghi, tuttavia la verità si cela solo ed esclusivamente dentro al bicchiere (pieno), staremo a vedere.

Tornando a Monte del Frà, come già anticipato la storia ha inizio nel 1958 per volere del capostipite Massimo. L’azienda, nata nel cuore della DOC Custoza, attualmente possiede vigneti anche nell’area della Valpolicella classica, tuttavia il motore trainante della cantina gira a mille nel territorio d’origine: il Cà del Magro Custoza Superiore – di cui più avanti parleremo– è la punta di diamante della gamma.

In definitiva è un’altra storia di famiglia ma anche di valori, di tradizione, di sensibilità, di sostenibilità, di attenzione per l’ambiente. A tal riguardo è giusto segnalare che Monte del Frà ha recentemente ottenuto la certificazione SQNPI (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata) e RRR (Riduci, Risparmia, Rispetta), ennesima riprova di quanto i Bonomo credano fermamente nei principi che regolano la salvaguardia ambientale, vero patrimonio da difendere e impegno costante applicato fin dagli anni Ottanta, e che oggigiorno diventa condizione imprescindibile -e ancor più essenziale- in ogni fase del ciclo produttivo.

L’obiettivo è l’azzeramento progressivo dei prodotti di chimica e di sintesi (solforosa), grazie all’ampio parco vigneti dislocato in diverse aree del veronese e l’idea di non forzare mai la pianta, ma allevarla eticamente per valorizzarne natura e carattere. La storia ha inizio ormai più di 64 anni fa: Massimo Bonomo affitta alcuni terreni situati proprio in località Monte del Frà, frazione di Sommacampagna, e inizia a lavorarli allevando non solo la vite, ma anche grano, fragole e pesche. La produzione di vino a quei tempi era orientata alla rivendita di sfuso nella frasca di famiglia, ovvero la classica osteria di paese; ancor oggi è presente un ramo di frasca all’inizio della strada che testimonia le origini.

Il territorio ha una tradizione vitivinicola ben più antica, basti pensare che già nel 1492 i Frati (Frà in dialetto veneto, da cui il nome dell’azienda) dell’Ordine di Santa Maria della Scala di Verona si dedicavano alla lavorazione dei vigneti. Al timone oggi troviamo i figli di Massimo, Eligio e Claudio, affiancati dai nipoti Marica, Silvia e Massimo. L’azienda conta attualmente 137 ettari di proprietà e 65 in affitto in tutte le principali denominazioni veronesi. Il cuore è il Custoza a Sommacampagna, luogo di origine, tuttavia le proprietà attraversano concretamente l’area del Lugana e si spingono fino alla Valpolicella Classica, con il brand Tenuta Lena di Mezzo, acquisita nel 2006 e situata ad est di Fumane (VR).

Acquistata pochi anni fa, nel 2019, la struttura di San Pietro in Cariano (VR) è il fulcro di diverse attività quali vinificazione, appassimento e stoccaggio della produzione dei rossi importanti veronesi. La sede storica è a Sommacampagna, dov’è collocato il corpo produttivo della maggior parte delle etichette proposte e dove avviene l’affinamento in legno di gran parte dei vini appartenenti alla DOC Valpolicella.

Monte del Frà produce annualmente circa 1.500.000 bottiglie, di cui il 60% destinato all’estero; ben 300.000 sono le bottiglie di Custoza Doc, di cui 80.000 di Custoza Cà del Magro. Di seguito il mio punto di vista su quest’ultimo vino, ottenuto dall’unione di più vitigni; per fare un confronto illustrerò anche il Colombara Veronese Garganega IGT da monovitigno.

Cà del Magro Custoza Superiore DOC 2020

Il Cà Del Magro è da sempre il vino più rappresentativo di Monte del Frà perché nasce nel cuore del Custoza, precisamente da un vigneto allevato a guyot di oltre cinquant’anni ubicato a Sommacampagna, a sud-est del Lago di Garda. Le colline si trovano a 100/150 s.l.m., con terreni di origine morenica ricchi di calcare, argilla e ghiaia.

I vitigni impiegati, in proporzione variabile a seconda dell’annata, sono da sempre garganega, trebbiano toscano, cortese e incrocio manzoni. In cantina si parte da una criomacerazione pre-fermentativa, pressatura soffice e fermentazione/affinamento sur lies in tini di acciaio e cemento (per l’uva garganega nel periodo che va da ottobre a maggio); segue ulteriore riposo di 6 mesi in bottiglia prima della vendita.

Irradia il calice grazie a una tinta giallo paglierino acceso, vivace, intensa, dalle nuances dorate. Il respiro è di buona intensità, già a pochi minuti dalla mescita rivela un profilo tutt’altro che semplice: la croccantezza del frutto è sempre in primo piano, accompagnata da un quadro floreale dipinto con cura e attorniato di rimandi speziati e una lieve nota di smalto. In sequenza: ginestra, camomilla, mela Golden, nespola e pesca nettarina, oltre a un mix di agrumi dolci quali mandarino e kumquat.

In bocca il sorso è energico, slanciato, ricco di sapidità tuttavia in linea con una spalla acida onnipresente in grado di aumentare la sensazione di piacevolezza; alcol ben fuso alla materia, tuttavia ancora leggermente in esubero sul finale, ma è giusto ricordare che è un vino ancora giovane, a cui l’affinamento sicuramente gioverà. In abbinamento ad un piatto di crespelle al forno con besciamella, ripiene di carciofi e formaggio Monte Veronese DOP, fa la sua bella figura.

 Colombara Veronese Garganega IGT 2017

Veniamo ora ad un vino diametralmente opposto, non solo per quanto concerne l’utilizzo dell’uva garganega (qui in purezza), ma anche per il moderato affinamento che Monte del Frà propone: ben 5 anni dalla vendemmia, con a protagonista un millesimo di cui si è tanto parlato per ragioni legate al caldo e alla siccità.

Il vigneto, questa volta allevato a pergola, è situato in località Oliosi, piccola frazione del comune di Castelnuovo del Garda, a sud est dell’omonimo lago. Breve macerazione a contatto con le bucce, decantazione statica del mosto e fermentazione a temperatura controllata; dopo l’affinamento segue ulteriore riposo di 10 mesi in bottiglia prima della vendita. Dorato solare, luminoso, buon estratto. Al naso il timbro è importante e il bouquet piuttosto articolato: sbuffi balsamici e di liquirizia, frutta esotica leggermente matura (tra cui ananas e mango), yogurt alla vaniglia, smalto e pepe bianco; in chiusura timo limone e pietra focaia.

Al palato si avverte una certa struttura, ben supportata dalla vena acida, elemento che non manca mai nei vini di Monte del Frà, mentre la lunga scia sapida svela il reale potenziale del vigneto; il vino non manca certo di coerenza, il finale è tutto virato su frutto esotico/agrume, il potenziale evolutivo a mio avviso notevole. Attualmente è indicato in abbinamento con un coniglio alla ligure.

___§___

Contributi fotografici gentilmente concessi dall’azienda.

Foto bottiglie: credits Danila Atzeni

 

 

 

Andrea Li Calzi

Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

Previous article“лучший Букмекер В Азербайджане
Next articleDi rilassata armonia. Brunello di Montalcino 2018. L’annata, i vini, le riflessioni, la TOP 40
Nasce a Novara, ma non di Sicilia, nonostante le sue origini lo leghino visceralmente alla bella trinacria. Cuoco mancato, ama la purezza delle materie prime, è proprio l’attività tra i fornelli che l’ha fatto avvicinare al mondo del vino attorno al 2000. Dopo anni di visite in cantina e serate dedicate all’enogastronomia. frequenta i corsi Ais e diventa sommelier assieme alla sua compagna, Danila Atzeni, che oggigiorno firma gli scatti dei suoi articoli. Successivamente prende parte a master di approfondimento tra cui École de Champagne, vino che da sempre l’affascina oltremodo. La passione per la scrittura a 360° l’ha portato, nel 2013, ad aprire il blog Fresco e Sapido; dal 2017 inizia la collaborazione con la rivista Lavinium e dal 2020 quella con Intralcio. Nel 2021 vince il 33° Premio Giornalistico del Roero. Scorre il nebbiolo nelle sue vene, vitigno che ha approfondito in maniera maniacale, ma ciò che ama di più in assoluto è scardinare i luoghi comuni che gravitano attorno al mondo del vino.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here