Veni, vidi, bibi è un motto citato da Hans Barth – scrittore teutonico nato nel 1862 e dipartito nel 1928 – nel suo imprescindibile Osteria, guida spirituale delle osterie italiane (1908). Egli lo mette in bocca agli “immortali maestri dell’assaggio”, i quali hanno e anche meglio devono avere chiarezza di analisi, sicurezza del giudizio, prontezza nella valutazione. La sentenza è ironica, certo, ma anche tranchant.
Segnala una visione cesarista del vino e del mondo.
Invidio gli immortali maestri dell’assaggio. Invidio la loro fiducia in loro stessi, la loro incrollabile fermezza nel formulare sentenze di approvazione o di condanna. Per parte mia più passa il tempo meno certezze ho nel vino (e non soltanto); non lo scrivo per civetteria ma perché è una evidenza dell’autoanalisi.
Un punto fermo però lo conservo, ed è sempre lo stesso: il vino non è un oggetto sacro e inviolabile, da idealizzare e adorare. Il vino è un soggetto che ha carattere plastico, malleabile, e non si offende anche quando viene sottoposto a trattamenti profani.
Allungarlo con l’acqua non mi scandalizza, ed è anzi mia pratica abituale se si tratta di rossi troppo alcolici e/o troppo tannici. Fare tagli tra vini diversi, o impiegare il vino nei cocktails, come si chiamavano una volta (ora si dirà qualcosa come “mixology”), non mi scandalizza.
Schiaffarlo in freezer non mi scandalizza; abbinarlo in modo eterodosso ai cibi più improbabili non mi scandalizza; conservarlo in bottiglie tenute in verticale non mi scandalizza; berlo in bicchieri “non adatti” (“che fai, bevi un Borgogna in un calice da Bordeaux?”) non mi scandalizza; eccetera eccetera.
Il suo carattere nativamente meticcio fa apparire ridicole talune posizioni degli enosnob. “Hanno trovato una percentuale di montepulciano nel Mastodonti di Calbolo Rosso, che è dichiarato 100% sangiovese, pensa che stronzi”. Segnalo di passaggio che in molti vini quali il Mastodonti Rosso ci sono uve non dichiarate, e vini da annate diverse non dichiarate. Non solo, succede lo stesso in molti vini a denominazione d’origine controllata. In Italia e all’estero. In certi casi in uno Chassagne non ci sono solo uve di Chassagne, in un Puligny non solo uve di Puligny, et similia.
Ciò che conta, al netto dei lacci e lacciuoli burocratici, è quello che si trova nel bicchiere.
Dopo molti anni mi è capitato di ribere un rosso davvero classico, l’ottimo Valpolicella 2015 Quintarelli. Un nome celebre, a giusto titolo. Un’azienda che fa del riserbo sulle pratiche enologiche una tradizionale barriera all’indagine giornalistica.
C’è una percentuale di uve sottoposte ad appassimento? non è dato di sapere. Il vino permane in botti per quanto tempo? non è dato di sapere.
Ma cosa importa? quelle solo domande da bevitori pedanti. Importa che il vino sia buono, che vada giù con gusto; che sia “genuino”, si diceva una volta. E quell’ottimo Valpolicella lo è.