Piccola full immersion nei distillati: 56 gradi all’ombra…

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Una serata che si può definire davvero ad alta gradazione è stata organizzata dal Single Malt Club di Livorno – rappresentato da Emilio Bellatalla – in collaborazione con la Fisar Versilia e il ristorante Ulisse di Seravezza, in provincia di Lucca il quale, oltre all’ospitalità, ha offerto un piacevole intermezzo a base di burro e acciughe seguito da aringhe al latte con uvetta e pinoli, un abbinamento davvero centrato.

La distillazione del Whisky merita un breve accenno ad alcuni aspetti che possono sembrare banali o scontati ma comunque basilari e non sempre conosciuti: orzo, acqua e lieviti sono i componenti fondamentali per produrlo, poi intervengono altri fattori per determinarne le peculiarità che distinguono ogni distilleria e i propri prodotti come la torba, il microclima, le botti usate in affinamento e persino la forma degli alambicchi. In poche parole l’orzo distico – è la tipologia usata – viene “ammollato” nell’acqua affinché inizi il processo di germogliazione che trasforma gli amidi insolubili in solubili, ovvero in zuccheri idonei alla fermentazione. Dopo qualche giorno, giunti alla trasformazione ottimale, l’orzo viene  maltato essiccandolo in forni con o senza l’utilizzo di torba, successsivamente viene triturato e messo in infusione in acqua calda dentro cisterne con l’aggiunta di lieviti ottenendo il mosto per la fermentazione. Terminata questa fase si procede alla prima distillazione raggiungendo una bassa gradazione alcolica e per questo viene effettuata una seconda distillazione che porta il whisky a 65/70 gradi. Come per altri superalcolici viene tagliata la “testa” e la “coda”, il corpo, a seconda della gradazione desiderata, viene diluito con acqua fino a raggiungere circa 64 gradi ed essere così pronto alla maturazione nelle tipologie di botte selezionate.

Il fattore “T” ovvero la famigerata torbatura, viene deciso dalle singole distillerie in base alla percentuale di malto torbato da impiegare; tant’è che praticamente tutti i whisky sono torbati, solo che in alcuni le parti per milione sono talmente basse da risultare impercettibili. L’acqua può essere già apportatrice di sentori torbati difatti alcuni fiumi, scorrendo su letti di torba, ne estraggono gli aromi tipici. L’acqua è una componente fondamentale e viene rigorosamente usata quella del fiume o sorgente dove è sita la distilleria; viene usata per tutto il ciclo fino alla degustazione che andrebbe effettuata versando qualche goccia dell’acqua originale nel bicchiere per sprigionare meglio gli aromi. Un servizio corretto infatti prevedrebbe, oltre al whisky, una piccola bottiglietta di acqua usata nel processo e fornita dalla stessa distilleria. Sui lieviti c’è poco da dire, sono necessari per la fermentazione ma poco o nulla influiscono sui sentori.

Alcune curiosità: il colore è dato dal caramello, tant’è che solo nei whisky da intenditori (o perlomeno per facoltosi) non viene aggiunto apparendo di un colore piuttosto scarico anche se la permanenza per decadi in botte lo ravviva un po’; nel processo si effettuano due distillazioni, una volta ne erano necessarie quattro, e attualmente solo la distilleria Auchentoshan ne effettua ancora tre; Springbank è la sola che utilizza esclusivamente il proprio orzo maltato in casa; il maggior produttore di single malt dopo la Scozia è il Giappone! Bando le ciance passiamo ai protagonisti:

AUCHENTOSHAN 12, gr. 40°: come premesso è rimasta l’unica a distillare tre volte, non per necessità ma per scelta, per rendere il suo whisky tra i più morbidi ed eleganti della Scozia. La distilleria risalente al 1823, oggigiorno integrata nella città di Glasgow – e quindi siamo nelle Lowlands – è passata di proprietà ai giapponesi della Suntory. Avvicino il bicchiere mantenendo una giusta distanza dal naso (4 o 5 dita per non “bruciarmi” le narici con i vapori alcolici) e subito vengo pervaso da note fruttate, molto di agrumi ma anche un bel tocco di pera matura, tra gli altri sentori vanigliati e di liquerizia dolce. Un naso sinuoso, dolce ed avvolgente che trova una buona conferma al palato dove esprime tutta la sua morbidezza ed eleganza, finisce dolcemente su ricordi di legno. In conclusione un whisky che sicuramente annovera tra i fan una bella percentuale femminile.

GLEN GARIOCH 15, gr. 43°: ci spostiamo nelle Highlands, nelle Eastern Highlands per l’esattezza, per incontrare un’altra distilleria storica (1797) passata di proprietà ai nipponici della Suntory ma conservando una produzione tradizionale. Cambiano decisamente le sensazioni olfattive e, specialmente, gustative: al naso ritroviamo una bella frutta, anche matura, anche tropicale, per poi spaziare su leggere percezione di frutta secca e di torba; in bocca l’attacco è potente, piuttosto minerale inganna in parte la morbidezza olfattiva giocando più su note terziare di rovere e tabacco, i gradi si fanno sentire ed il calore permane per la discreta lunghezza.

ABERFELDY 21, gr. 40°: rimaniamo nelle Highlands ma quasi al confine tra le Eastern e le Lowlands, la città di Aberfeldy è famosa per essere la terra natale di Rob Roy, l’eroe scozzese le cui gesta dei primi del XVIII secolo sono state oggetto di vari libri e film. Affascinante, un naso ricco di profumi eterogenei, dagli agrumi alla frutta secca di uvetta, noci e fichi passando per frutta matura di pera e mela, da sottili note floreali ad una leggera speziatura peposa e vagamente affumicata. Il palato fa onore ai 21 anni di invecchiamento rispecchiando la notevole complessità, inizia su sentori dolci per chiudere piacevolmente salmastroso. Davvero un bel prodotto, il mio preferito della serata.

THE GLENROTHES VINTAGE 1991, gr. 43°: una delle più importanti distillerie della culla del whisky scozzese, la Speyside. Nata nel 1879 viene molto apprezzata per l’uso nei blend così nei primi anni novanta viene deciso anche l’imbottigliamento con propria etichetta di annate particolarmente interessanti; la bottiglia in degustazione vanta 16 anni di invecchiamento. Il naso colpisce con sentori piuttosto pungenti di esteri e di piccola frutta di bosco sotto spirito, in deciso contrasto con una bocca opulenta, morbida e rotonda che regala note di vaniglia, di caramello, di frutta secca e media torbatura.

THE GLENLIVET NADURRA, gr. 56°: ancora nello Speyside la distilleria dei primi dell’ottocento ha acquisito una fama notevole nel tempo risultando uno dei whisky più conosciuto al mondo. “Nadurra” – uno dei prodotti più recenti e finora appannaggio dei soli mercati esteri – significa “natura” in gaelico e quindi ci pone di fronte ad un natural cask strenght, ovvero un whisky che mantiene l’originaria gradazione alcolica del barile senza diluzione con acqua risultando così piuttosto alta. E l’alcol ovviamente si fa sentire decisamente al naso obbligando ad una maggiore attenzione alla distanza dal bicchiere per poter meglio percepire i sentori piuttosto dolci che emergono inizialmente. Sicuramente frutta tropicale come la banana e poi vaniglia e note maltate di caramella mou; in bocca percezioni citrine concorrono con l’alcol ad una buona pulizia del palato lasciando comunque spazio ad un bel mix di frutta secca.

LAPHROAIG QUARTER CASK, gr. 46°: chi ama i whisky torbati non può non conoscere questa famosa distilleria di Port Ellen nelle Islay; dal 1815 vengono prodotti whisky dai sentori unici e particolari la cui tipicità è riconducibile all’insieme del microclima, della vicinanza al mare, della torba necessaria all’essiccazione del malto e all’acqua utilizzata del Kilbridge Dam, anch’essa già torbata di suo. Queste sensazioni di affumicato e iodio attanagliando decisamente il naso stabilisce subito una divisone tra il pubblico: è un whisky senza mezzi termini – o si odia o si ama. Sollevata questa “coperta” emergono note di dolci alla frutta e anche natalizi che trovano supporto al tatto morbido, caldo e vellutato. La persistenza è da record.

Per concludere degnamente la bella serata un po’ di cioccolata Amedei servita come “companatico” per un abbinamento tanto goloso quanto felice.

Leonardo Mazzanti

Leonardo Mazzanti (mazzanti@acquabuona.it): viareggino…”di scoglio”, poiché cresciuto a Livorno. Da quando in giovane età gli fecero assaggiare vini qualitativamente interessanti si è fatto prendere da una insanabile/insaziabile voglia di esplorare quanto più possibile del “bevibile enologico”. Questa grande passione è ovviamente sfociata in un diploma di sommelier e nella guida per diversi anni di un Club Go Wine a Livorno. Riposti nel cassetto i sogni di sportivo professionista, continua nella attività agonistica per bilanciare le forti “pressioni” enogastronomiche.

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