Simposio internazionale sul vermentino

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ALBERESE (GR) – Si è svolto il 26-27 maggio scorsi nella Azienda Agricola Regionale di Alberese in provincia di Grosseto il primo Simposio internazionale sul vermentino organizzato dalla Regione Toscana e dall’Arsia (l’agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione nel settore agricolo e forestale) con la collaborazione della Regione Sardegna e interventi dalla Francia  dall’Australia e dalla California.

Nella due giorni, perfettamente organizzata dall’ Agenzia Regionale, si sono affrontati i temi principali della coltivazione della trasformazione del vermentino con l’esposizione di lavori da numerose università italiane e straniere e contributi di istituti di ricerca e relazioni da varie parti del mondo.

Il simposio è stato organizzato in due sezioni: “Il vitigno e i terroir del Vermentino” e “Strategie produttive e peculiarità dei vini”. Diversi i contributi interessanti e le esperienze riportate anche sotto forma di poster presentati da gruppi di ricerca nazionali e internazionali. Di particolare interesse, tra le relazioni straniere quelle relative al vermentino in Australia, l’esperienza californiana dell’enologo Jim Moore e la ricerca effettuata dalla regione Corsica sulla zonizzazione e il profilo aromatico dei vini.

Ma andiamo con ordine.

Il contributo australiano è venuto dalla azienda Yalumba Wine Company la quale ha sperimentato la coltivazione del vermentino nella zona del Riverland, nel sud australiano. La ricerca è nata per motivi di ordine tecnico e commerciale: si era insoddisfatti dei vini già prodotti nella zona e si vedeva nel vermentino un vitigno in grado di meglio adattarsi ai mutamenti di climatici in corso per dare vini aromatici e freschi.

Il tipo di coltivazione finora applicato nella zona era totalmente meccanico con filari di lunghezza variabile da 500 a 1000 m. e impostati a contro-spalliera alta senza sostegni laterali. In tali condizioni la chioma prodotta dal vermentino, vitigno assai vigoroso, risultava piuttosto compatta e poco gestibile, dando delle uve scarsamente tipicizzate e a maturità insufficiente. Con l’introduzione di una selezione dei germogli manuale e un più corretto posizionamento dei tralci, il contenimento della vigoria con più oculati turni di irrigazione i risultati sono notevolmente migliorati tanto da far ritenere allo staff tecnico che il vermentino in Australia possa avere un suo spazio di mercato per quella fascia di consumatori che sono alla ricerca di qualcosa di diverso dal Sauvignon Blanc e dallo Chardonnay.

Altro interessante contributo è stato appunto quello di Jim Moore, enologo e titolare dell’azienda L’Uvaggio di Giacomo, il quale sperimenta il vermentino da alcuni anni in California dato che nella sua azienda si coltivano solo cultivar italiane. Le difficoltà incontrate da Moore sono relative sia alla forma di allevamento sia alle tecniche di fermentazione (utilizza una macerazione pellicolare a freddo), ma sopratutto all’approccio al mercato americano per una varietà che non è conosciuta ed identificata negli USA. E’ comunque a sua avviso un potenziale concorrente dei riesling e dei pinot grigio, così di moda a Napa Valley.

L’esperienza della regione corsa sulla zonizzazione nella zona della Balagne (relatore Lionel Le Duc), condotta su due annate, ha consentito tramite mappature territoriali e climatiche di evidenziare uno stretto legame tra natura dei terreni (in quelle zone di origine granitica), condizioni climatiche (in particolare le notevoli escursioni termiche) e la caratterizzazione varietale dei vini.

Non poteva mancare, e qui passiamo alle relazioni nostrane, un lavoro sulla diatriba in corso tra lieviti industriali e lieviti autoctoni o meglio indigeni. Condotta dal Di. P.R.A. Microbiologia Agraria e Tecnologie Alimentari dell’Università di Torino la ricerca ha evidenziato come seppur esitano lievi indigeni sulla buccia degli acini e possano essere identificati, non sono essi a condurre le vinificazioni ma quelli presenti nelle cantine che non sembrano però essere specifici per il vitigno quanto per la cantina stessa. Tanto che si è riusciti ad isolare ceppi diversificati rispetto ai ceppi commerciali in alcune cantine e a riprodurli, ma si è anche visto che questi conducono la quasi totalità delle fermentazioni in quella specifica cantina.

Per la parte genetica si è affermata ormai, anche attraverso i lavori esposti in questo convegno dal prof. D’Onofrio della Università di Pisa, l’appartenenza del Vermentino alla cosiddetta proles orientalis della vite che quindi colloca l’origine del vitigno nel medio oriente e nelle zone est delle coste del Mediterraneo.

Al termine della manifestazione si sono tenuti due momenti di particolare interesse per il pubblico: la Tavola rotonda relativa a “Il futuro e le prospettive del Vermentino: aspetti di mercato e comunicazione” Coordinata da Giancarlo Gariglio di Slow Food, e una degustazione guidata da Andrea Gori e Rosmary George di dieci Vermentini provenienti dalle varie zone di produzione mondiali.

Lamberto Tosi

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