I filosofi in cucina, di Michel Onfray

3
12494

C’entra qualcosa la filosofia con la gastronomia? Ha senso parlare di filosofia della gastronomia? Il cibo, l’alimentazione, possono contribuire alla definizione dell’individuo o addirittura alla descrizione della realtà? A queste domande cerca di dare una risposta in modo scorrevole e piacevole Michael Onfray, autore di una cinquantina di opere alcune delle quali uscite in Italia per l’editore Ponte alle Grazie, in questo libro scritto come reazione allo shock di un infarto avuto a soli 28 anni con conseguenti rigidi (e disattesi) divieti alimentari. Di successo immediato per la novità, freschezza e leggerezza nell’affrontare un tema poco battuto, fu snobbato dagli accademici e frainteso dai giornalisti.

Quello che si capisce subito è che l’importanza del cibo e della gastronomia nel pensiero filosofico diventa rilevante nel momento in cui si sceglie di negare l’annullamento del ruolo del corpo insito nel filone platonico del pensiero occidentale e gli se ne assegna al contrario uno fondamentale, quello di unica via d’accesso per la conoscenza, di “grande ragione” (Nietzsche) o di “luogo della necessità logica” (Feuerbach). E allora il cibo, la gastronomia, la tavola diventano filosoficamente rilevanti quanto la scrivania o la biblioteca, con una accelerazione impressa nel pensiero moderno da Michel Foucault, per il quale quella di un alimento è una vera e propria scelta esistenziale che dà accesso alla costruzione di sé. Per riassumere con un autore forse più familiare ai fooders come Brillat-Savarin, “dimmi ciò che mangi e ti dirò chi sei”.

Ma andiamo indietro nel tempo risalendo fino a Diogene, il “Socrate diventato matto”, che con il suo radicato rifiuto della civiltà e quindi del fuoco che cuoce a favore della naturalezza di uno stato selvaggio,  compie l’unica scelta possibile, quella  della carne cruda e sanguinolenta; fanatico del chilometro zero ante litteram, pretende che si mangi solo quello che c’è qui ed ora. Paladino di una semplicità più soft era Jean-Jacques Rousseau, critico della gastronomia in quanto elaborazione: insomma, bisogna mangiare per vivere e non viceversa, procurarsi i cibi (stagionali) solo da chi li produce, e deliziarsi di latticini, verdure e frutta seduti sull’erba accanto ad una sorgente. E purtroppo Immanuel Kant, pur essendosi occupato seriamente di dietetica ed essendo attento a ciò che mangiava e beveva (un bicchiere di vino magari del Médoc), non scrisse mai una “Critica della ragion gastronomica”: reputava olfatto e gusto sensi “inferiori”, non capaci di rappresentazioni oggettive.

Cruciali per una visione della gastronomia come metodo di conoscenza sono invece senza dubbio i pensieri di Charles Fourier e di Friedrich Wilhelm Nietszche. Il primo, utopico rivoluzionario che disegna il passaggio dalla Civiltà all’Armonia con il progetto di un mondo completamente nuovo, che include fra l’altro l’allungamento della vita media fino a 144 anni e la creazione di un terzo sesso. Con la figura del gastrosofo, che dovrà essere ultraottantenne ed agricoltore, medico, dietologo saggio ed emerito degustatore, la gola viene ufficialmente eletta a “fonte di saggezza, luce e di accordi sociali”. Non stupisce dunque la particolare attenzione che assegna all’educazione alimentare dei bambini con un allenamento del loro gusto così meticoloso da renderli a dieci anni capaci di dare lezioni ai maggiori critici gastronomici parigini.

Ma è probabilmente Nietszche ad assumere nel libro un ruolo centrale: “La lettura dell’Ecce Homo induce a considerare la nutrizione come una delle belle arti […] Al gusto viene assegnata una missione architettonica in un tentativo di risolvere i problemi del reale […] L’alimentazione, i luoghi, i climi, gli svaghi permettono di fare della propria vita un’opera d’arte” perché “vogliamo essere i poeti della nostra vita e in primo luogo nelle cose minime e quotidiane”. (La gaia scienza). La dietetica plasma il carattere di un popolo (famoso il pessimo giudizio per la cucina tedesca), bisogna limitare l’uso del pane che neutralizza il sapore degli alimenti, mentre la carne è essenziale per una natura intellettualmente produttiva ed affettivamente intensa. Tutto ciò a fronte di abitudini personali piuttosto disordonate.

L’importanza della gastronomia arriva ad una intensità deflagrante con il futurismo: “si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia” (Marinetti e Fillìa, La cucina futurista). La cucina ha il compito di favorire l’agilità e l’azione, e la “religione gastronomica della pasta” viene messa al bando perché induce alla lentezza, alla sonnolenza, all’ironia e al sentimentalismo. È una delle belle arti, che coinvolge tutti i sensi, e in questo le idee futuriste sono di innegabile modernità nel momento in cui si soffermano sul cromatismo dei piatti, sui contrasti di temperature e consistenze a tal punto da proibire la conversazione a tavola a favore della massima concentrazione sulle sensazioni provate. Con Jean-Paul Sartre, l’anti-Diogene, il cerchio si chiude: detesta il naturale e ama il pane come simbolo e sintesi dell’elaborazione dei prodotti della natura da parte dell’uomo, ed i salumi, originali trasformazioni ed architetture costruite sulla carne. Per lui, il cibo informa sulla concezione del mondo del soggetto.

Oggi, a 22 anni dalla sua uscita, questo libro appare utile anche per capire che molte posizioni spesso proposte come originali, non sono altro che il ripresentarsi di flussi di pensiero già espressi e codificati. Peccato per le frequenti imprecisioni tipografiche e per un’horchata spagnola che, lungi dall’essere “una bibita a base d’orzo” (p. 14), si ottiene dalla chufa, minuscolo tubero ricco di fibre e zuccheri naturali.

Michel Onfray
I filosofi in cucina – Critica di una ragione dietetica
Ponte alle Grazie – Ottobre 2011
158 pagine, 13 euro

Riccardo Farchioni

3 COMMENTS

  1. Complimenti, sia per aver recensito un libro che avrebbe meritato maggior visibilità, sia per l’attenta disamina.

  2. In vino veritas – L’AcquaBuona » In copertina » I filosofi in cucina, di Michel Onfray…

    Recensione di un libro che mette in evidenza con stile leggero e scorrevole il rapporto di grandi filosofi con il cibo, la cucina e la gastronomia. E si chiede se questa possa avere un ruolo nella definizione della personaità e nella descrizione della …

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here