Saccomani: il nuovo e l’antico sulla strada dei rifermentati in bottiglia

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Colli piacentini, sabato mattina d’inizio giugno. Avrei voluto lasciare la macchina giù in pianura e arrivare sulle colline di Diolo in bicicletta, ma quando imbocco l’uscita Fiorenzuola mi rendo conto di essere al pelo con i tempi. Pazienza, per stavolta dovrò rinunciare a pedalare, anche se queste colline farebbero gola a chiunque ami le due ruote. Supero Castell’Arquato, giro alla base delle colline fino a Vigolo Marchese, poi la strada inizia a salire, e il paesaggio fiorisce di vigne e si fa sempre più scolpito dalle linee dei torrenti. Su, verso Diolo Croce, la strada si fa stretta e più ripida. In bici sarebbe stata dura, ma sarebbe stato il modo migliore per apprezzare il silenzio di questi colli, specie oggi che il cielo è di un azzurro perfetto e l’aria è fresca.

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Luca Saccomani mi viene incontro, appena fuori della cantina. Mi colpisce la sua timidezza: parla poco, ma traspare subito nei suoi gesti la fierezza nel presentarmi la vigna: ci siamo appena stretti la mano, e già si volta ad indicare i filari verdi delle viti sotto: «Ecco le nostre vigne, arrivano fino al bosco là, vedi? E poi quella in fondo laggiù…».

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L’azienda Saccomani è gestita dal padre Giuseppe e dalla nuova generazione, composta da Luca e dalla sorella Claudia. Le vigne (12 etteri in tutto, 10 di proprietà e 2 in affitto) sono ad un’altitudine compresa tra 260 e 300 metri, esposte prevalentemente a sud-sudest.
«Quest’anno è difficile, con tutte queste piogge…. Guarda le vigne: hanno getti lunghissimi, quasi si toccano da un filare all’altro, non si riesce a entrare col trattore… e abbiamo fatto già adesso più trattamenti di tutto l’anno scorso».
«Che approccio avete per le lavorazioni?»
«Diamo solo rame e zolfo. Siamo in fase di conversione al biologico, saremo certificati dal 2020»

bicchiereDalla luce abbagliante di questo cielo spettacolare entriamo nella più calma atmosfera della cantina. Per iniziare, Luca mi fa assaggiare un vino che non è stato ancora messo in commercio. A differenza della stragrande maggioranza dei loro vini, si tratta di un vino fermo, da uve bianche, trebbiano e verdea, fatte macerare con le bucce in fase di fermentazione. Il colore è paglierino intenso, con un po’ di sospensione. Ha un naso ricco, complesso, fieramente caldo e contadino, con note di scorza d’arancia, mare, mineralità, e l’inconfondibile nota agrumata dei vini macerativi. In bocca è agile, dotato di buona acidità, il corpo è medio e l’alcool è assai evidente in questa fase. «È un esperimento che stiamo mettendo a punto… ci stiamo lavorando, non è un bianco convenzionale». Decisamente no, e mi piace questa voglia di sperimentare.

Dicevamo dei rifermentati in bottiglia. Se sono capitato qui è grazie a un frizzante bianco, il loro Monterosso (il monterosso è una DOC da uvaggio di malvasia ortrugo e altri vitigni bianchi tipica dei colli attorno a Castell’Arquato), che mi aveva colpito in un assaggio casuale qualche mese fa: ci avevo trovato un sorso intrigante, tra antico e moderno, ma soprattutto sincero, pulito.
Qua nel Piacentino, come del resto in tutta Emilia, il vino è frizzante, punto. Il vino fermo è un’altra cosa, per quelli di fuori: “l’altro vino”, l’ho sentito chiamare. E mi è venuta la curiosità, proprio grazie a quel Monterosso, di capire meglio il mondo dei rifermentati in bottiglia.
Mentre assaggio, arriva un cliente locale per comprare una damigiana di sfuso. Lo imbottiglierà e lo farà rifermentare nella sua cantina, per averlo frizzante a fine estate. Qua si fa così. Ascolto le loro conversazioni impastate di dialetto, ma ho poco da pensare, in breve spunta sul tavolo un salame favoloso, del pane e una boccia di rosato.
«Assaggia questo», mi fa Luca mentre versa a me e al cliente un frizzante dal colore rosato intenso, al confine con il rosso. «È un fortana di collina
salame-3Fortana? Ma io so che il fortana si fa in pianura, nelle sabbie della bassa parmense…
«Ne abbiamo un clone anche quassù, abbiamo anche noi le sabbie marine, le sabbie del Piacenziano… e viene del tutto diverso da quello di pianura!» Se infatti il fortana della bassa è ricco di colore, quasi un lambrusco, questo è scarico, ha un naso esplosivo di fragola, frutta rossa, erbe di campo. In bocca la bolla è cremosa, ha una notevole dolcezza (qua tutti i vini hanno chi più chi meno un certo residuo zuccherino), con un finale amarognolo che lo rinfresca.
«A me i vini piacciono più secchi» – interviene il compratore di vino, che chiamerò Gianni «Sì, questo ha 30-40 grammi di residuo, gli altri nostri ne hanno circa 20», dice Luca. Li ascolto e cerco di capire com’è l’uso locale, come viene vissuto il vino quassù. «E comunque col tuo vino non c’è problema di mal di testa». «Certo! Usiamo la solforosa, in basse dosi solo in fase di vinificazione, poi niente, anche perché altrimenti non partirebbe la rifermentazione».

«Ok, ma come funziona il processo di rifermentazione?» chiedo, cercando di capire.
«I vini, dopo la prima fermentazione, restano con un certo residuo zuccherino e con un’acidità assai elevata. Questa acidità favorisce la rifermentazione nella primavera successiva. Per tradizione, imbottigliamo nella settimana di Pasqua (quest’anno dal 31 di marzo, per due settimane); con la primavera, il vino riparte a fermentare, e si creano le bollicine naturali. Poi dipende molto dalle annate – prosegue Luca – infatti nella 2017, annata calda, il vino aveva poca acidità, e la presa di spuma è stata più lenta». L’imbottigliamento si fa a luna calante, per fare in modo che la presa di spuma sia più lenta, e dia una maggiore cremosità alla bolla.

Intanto il Fortana cala vistosamente nella bottiglia: tra una fetta di salame e una spiegazione tecnica di Luca, il nostro Gianni ha preso il ruolo di mescitore e non fa mai mancare il vino nel bicchiere. Luca sorride tranquillo, qui si usa così, l’acquisto del vino è un’occasione per parlare del più e del meno, del salame fatto da tale macellaio, del come si tappano le bottiglie, dei nuovi nati e dei dipartiti nel colle a fianco.

gutturnio-2Il fatto è che questa bolla cremosa, la naturale dolcezza, l’acidità e la nota amarognola sembrano fatte apposta per godere un bel salame fatto con tutti i crismi, una fetta di coppa o di pancetta: questi vini sono l’ideale risposta alla necessità di sgrassare la bocca, sono un tutt’uno con la gastronomia storica locale. Il rifermentato in bottiglia non è un vezzo, o una trovata tecnologica: è IL vino calato nella realtà di una popolazione, è la forma di un alimento che si accompagna all’alimento, e a sua volta crea convivialità. Questa è storia e antropologia. Sarebbe bello tenerlo a mente: non sono solo bottiglie, sono pezzetti di storia complessa.

Passiamo al Rosso Diolo, sempre 2017, da uve 60% barbera e 40% croatina (vino da tavola frizzante) dal colore rubino intenso con unghia violacea. Ha un naso sanguigno, in bocca è fresco, di spiccatissima acidità, la bolla è cremosa, fine e contrasta ammorbidendo l’acidità davvero marcata. È saporito, fruttato, e… g’hè gneint de fée, come dice Gianni, è un vino assolutamente da pasto, chiede salumi, paste al sugo, chiede grasso di carni saporite.

Ma torniamo a parlare di vigna e di clima. Chiedo a Luca se l’innalzamento medio delle temperature crea problemi per i loro vini: «Sì, il problema del riscaldamento c’è, ed è soprattutto per i bianchi: si rischia di fare vini troppo dolci e alcolici. Per i rossi i rischi sono nel periodo della fermentazione, se fa caldo si può innalzare il livello della volatile. E anche i tempi di raccolta si anticipano: adesso finisci entro la fine di settembre, una volta si arrivava fino ai Morti!»

bottiglie-riotortoRio Torto 2016 (vino da tavola rosso frizzante) 12 gradi
50% barbera, 30% croatina, 10% lancellotta, 10% ciliegiolo
Rosso porpora quasi impenetrabile, schiuma violacea, al naso trasmette sentori ruspanti classici della barbera, in bocca è sgrassante, piacevole, con la bolla ben viva. Saporito e ricco, anche grazie al residuo zuccherino che però viene bilanciato da una acidità tosta. Equilibrato, perfetto bevuto fresco, insieme a un tagliere di salumi. Nota interessante: nessun solfito aggiunto dopo la fermentazione, quindi niente cerchio alla testa, e non è cosa da poco.

Rosso dei Baroni 2014 (vino da tavola rosso fermo) 13 gradi
55% barbera, 30% croatina, 15% merlot
Rubino-granato, è l’unico rosso fermo aziendale, naso molto vinoso e alcool un po’ slegato. Non eccelle in espressività, perché la vinosità e il calore non lasciano molto spazio al frutto. In bocca rivela una tannicità assai dura, che unita alla notevole acidità ne fanno un vino assai spigoloso. Ci vuole del gran grasso per abbinarlo al meglio! Rimane a mio avviso, al netto della tara che si deve concedere all’annata difficile, un vino un po’ incompiuto.

monterossoMonterosso DOC 2017 12 gradi (vino frizzante)
60% malvasia di candia aromatica, 15% marsanne, 15% ortrugo, 10% altre.
Veniamo al vino grazie al quale sono qui. A dispetto del nome, è un bianco (Monterosso è un toponimo di un colle vicino Castell’Arquato). Lo avevo assaggiato nella versione 2016 alcuni mesi prima. Di questo vino frizzante rifermentato in bottiglia (of course!) mi aveva colpito il bilanciamento splendido tra modernità e tradizione, tra pulizia e spontaneità.
In questa versione 2017, assaggiata sicuramente troppo presto, quando  la seconda fermentazione è ancora in atto, posso dire della simpatia che ispira il naso che riporta alle susine gialle, ai fiori di campo, al polline e a una inequivocabile nota marina in sottofondo. In bocca, come c’è da aspettarsi in questa fase, la dolcezza è predominante: si riequilibrerà a fine estate, quando la bolla sarà più innervata e consistente. È ampio, di buona acidità, sgrassante, ottimo per accompagnare la culaccia, il prosciutto crudo, il salame, ma anche la pizza, frittate di asparagi, fino ai calamari in tegame. Una spremuta di frutta, un sorso integro, un vino all’antica che ha tutte le carte in regola per cavarsela bene oggi e domani.

Se posso dire la mia, la strada dei rifermentati è la vocazione naturale di questa azienda (e di questa zona). Basta solo crescere in questa coscienza, fare sistema in modo di aprirsi all’esterno e farsi conoscere.

I prezzi: per farsi un’idea, tutti i rifermentati costano 4 euro più iva, mentre il rosso fermo 5 più iva e il loro passito Nebula (da uve di verdea) costa 15 euro più iva.

Alla fine degli assaggi e della chiacchierata, Luca mi accompagna nella corte. Fuori c’è la sua macchina pronta, carica di bagagli, con tanto di canotto e giochi dei bimbi: «Sai, adesso accompagno la mia fidanzata con i bimbi al mare. Ma non vedo l’ora di tornare qui.» «Ma come – gli dico – un po’ di mare…» «Sai, è come se le radici… le avessi anch’io. Non riesco a staccarmi dalla mia terra!».

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In bocca al lupo Luca e Claudia, nuova generazione dei Saccomani. L’augurio è quello che con le vostre radici, con la vostra nuova sensibilità, possiate estrarre cose antiche dando loro un’impronta che guarda al futuro. Come la vostra bellissima etichetta che fra mille mi ha colpito, con la conchiglia fossile e una grafica moderna. Il passato e il futuro non sono antitetici.

Azienda Agricola Saccomani
Loc. Diolo Croce
Lugagnano val d’Arda (Piacenza)
0523 891718
E-mail: mail.saccomani@gmail.com
www.saccomanivini.it

GALLERIA

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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