I due Santa Maddalena di Georg e Florian Ramoser. Racconto di una verticale

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A nord-est di Bolzano, all’imbocco della Valle Isarco, visibile anche dall’autostrada, sorge ai piedi dell’altopiano del Renon, alla cui cima si accede con la funivia cittadina, la collina di Santa Maddalena, epicentro dell’omonima denominazione (in tedesco St. Magdalener) e regno, insieme alla Doc Lago di Caldaro, che genera un vino più esile, della schiava altoatesina, o Vernatsch, la quale non ha nulla a che spartire, se non un’assonanza, con la Vernaccia diffusa in diverse fogge in varie altre parti dello Stivale.

La radice etimologica del nome deriva infatti dal latino vernaculus, letteralmente “relativo agli schiavi nati in casa” (il femminile vernacula significa addirittura “schiava nata in casa”) e dunque per traslato “paesano, del paese, domestico” (leggo dal Dizionario latino italiano di Ferruccio Calonghi che usavo al liceo), ovvero quello che oggi intendiamo come autoctono.

Questa collina è la zona d’origine del Santa Maddalena e la zona classica, che la comprende, è stata in seguito estesa alle frazioni limitrofe di Santa Giustina, Rencio, San Pietro e Coste, mentre l’area della Doc è stata ulteriormente allargata a Settequerce, San Maurizio, Guncina, San Giorgio e Sabbia, Signato, Laste Basse, Cornedo, Cardano, Campiglio, Campegno, Virgolo e Aslago.

Ai piedi della collina, e dunque nel cuore del territorio d’origine, in via Santa Maddalena di Sotto, si trova il Weingut Untermoserhof, in cui si produce vino dal 1630 e che oggi è di proprietà della famiglia Ramoser, giunta alla sesta generazione con il giovane Florian, il figlio di Georg Ramoser e Margareth Unterhofer, i cui cognomi combinati hanno generato il nome della tenuta. I Ramoser – famiglia accogliente, genuina, sorridente (nel maso, che fino al 1939 era una trattoria, ci sono anche delle camere) – sono vignaioli che producono una delle più affascinanti e compiute versioni di Santa Maddalena Classico, e dall’annata 2016 anche di un cru chiamato Hub, vigna storica già presente nell’antico catasto austriaco del XIX secolo.

La parte dei Ramoser è situata sulla cresta della collina, accanto a un mandorlo centenario: poco più di un ettaro quasi interamente coltivato a schiava, a 360 metri di quota, con esposizione solatia e terreni calcarei di origine glaciale, sciolti e drenanti, ideali per la schiava, che, a differenza del lagrein, suo partner di minoranza all’interno della denominazione (non potrebbero esistere due vitigni più dissimili), predilige i terreni leggeri e non ama particolarmente l’acqua.

Le sue vecchie pergole, tra i quaranta e i sessant’anni d’età (all’ingresso del maso ci sono alcune viti risalenti addirittura ai primi del Novecento), sono alimentate a sovescio da un paio d’anni e beneficiano di forti escursioni termiche anche d’estate. In mezzo alla collina c’è il gabbiotto di una vecchia funivia abbandonata che serviva per trasportare le uve. La vigna apparteneva a un austriaco ed è stata acquistata nel 2008 dopo sedici anni d’affitto. Da quassù si ammira da un lato la città di Bolzano, dall’altro la frazione di Santa Giustina con le creste del Catinaccio sullo sfondo, mentre più in basso si scorge il villaggio di Rencio.

La chiesa di St. Magdalena in Prazöll è poco distante. Documentata dal 1295, è composta da un’unica navata con abside quadrangolare e all’interno è affrescata: le pitture più antiche, risalenti al 1300-1310, sono quelle dell’abside e dell’arco trionfale, mentre sulla volta (Maiestas Domini) e nella navata (Storie della Maddalena, scene della Passione di Cristo) le opere a fresco sono del 1370-1380 circa. La centralità del culto della Maddalena, visibile anche nella sua presenza ai piedi della Crocifissione al posto della Vergine, ha fatto addirittura supporre un legame con la leggenda del Sacro Graal, il calice che avrebbe contenuto il sangue di Cristo e che sarebbe transitato anche da queste montagne. Il 22 luglio si celebra il Kirchtag, dedicato alla stessa Maddalena, una festa religiosa tra le più antiche della valle che attrae una moltitudine di persone provenienti da tutta la provincia. Dopo la messa delle otto del mattino, ci si raduna nel pomeriggio sotto il pergolato dell’adiacente Maso Trogerhof per la classica Marende sudtirolese a base di pane, speck, salame, formaggi, cetrioli e pomodori per poi brindare con il St. Magdalener dei viticoltori della zona fino a notte fonda.

Poco oltre la chiesa, seguendo l’ansa dell’anfiteatro, sono visibili le vigne terrazzate di schiava dei Ramoser, pendii montani dai terreni porfirici che entrano insieme alle vigne più giovani dell’Hub nel Santa Maddalena Classico. Gli ettari complessivi di schiava dell’azienda sono due e la percentuale di lagrein (con i due ettari e duemila metri quadri di quest’ultimo vengono prodotti il Lagrein e il Lagrein Riserva) non supera il 3% in ambedue le versioni (il disciplinare arriva fino al 15%): il Classico fa sei mesi di botte grande, l’Hub nove.

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch 2019 ha colore rubino intenso e un naso arioso-fragrante di rose e chiodi di garofano, un portato quasi aromatico a metà tra un Lacrima di Morro d’Alba e un Ruché di Castagnole Monferrato dal frutto screziato e invitante. Il sorso del palato, succoso e pepato (pepe rosa), ha frutto selvatico e tannino aereo, note speziate, sensazioni di agrume rosso (chinotto), finale ritmato e contrastato.

«È stata un’annata molto felice con un autunno particolarmente bello: basse rese, bucce sane, vini di grande struttura». Georg Ramoser, classe 1961, volto e fisico da vignaiolo, dopo le scuole medie ha frequentato l’Istituto di San Michele all’Adige. «Mio padre conosceva il cantiniere della scuola, che al tempo non era ancora così nota, anche se era già più famosa dell’istituto di Laimburg. Con il mio italiano al primo anno ho capito poco. In quegli anni non si usava andare all’estero dopo la scuola, così dopo il militare ho cominciato a lavorare con mio padre Josef: avevo 19 anni, al tempo si vendeva ancora vino sfuso, con la metà della produzione che fino al 1982 andava in Svizzera. Erano anni pieni d’entusiasmo. Abbiamo cominciato a diradare e nel 1987 a imbottigliare. Nel 1992 ho cominciato a prendere in mano le redini dell’azienda».

«Il 2019 è un’annata paragonabile al 2016 per la qualità del tannino». Florian Ramoser, il figlio, classe 1996, studi di agraria con indirizzo viticolo ed enologico a Ora, poi enotecnico a San Michele all’Adige, ha trascorso tre mesi da Luciano Sandrone nella Langa del Barolo durante la vendemmia del 2005, prima di andare nel Württemberg e tornare a casa nel 2017, affiancando il padre nel lavoro.

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch 2016 ha colore rubino vivido, profumi di spezie (chiodi di garofano), di fiori aulenti, di erbe officinali, balsamiche, medicinali, di timo, lavanda, rosmarino, sembra di essere in un campo fiorito. Il palato è un tripudio di rose, freschezza, pepe. Il finale è dritto, dinamico, persistente.

«Un’annata fantastica, dalla fine di agosto sempre un cielo senza nuvole, un’uva bellissima, sana, perfettamente matura, dalla buccia più spessa del normale. Una vendemmia facile e memorabile» (Florian).

«Non abbiamo mai conosciuto i problemi di riduzione che spesso la schiava ha in gioventù. La nuova diraspatrice, che ci lascia acini interi perfetti, fa la differenza e anche il sovescio porta il suo contributo cambiando la fermentazione, l’azoto è più vivo e i problemi di riduzione si sono ridotti quasi a zero» (Georg).

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch 2012 ha tinta rubino con riflessi granato, un olfatto cangiante e irresistibile di frutto balsamico, bacche selvatiche, frescura di sottobosco, erbe officinali (rosmarino), soffio di menta piperita. La bocca è succosa, delineata, tonica, con note finale di tamarindo e rabarbaro.

«Un’annata tardiva, qui non particolarmente calda, con tanta frutta. Ho fatto le prime quattrocento magnum dell’Hub, era così fruttato che gli amici mi chiedevano se dentro c’era del pinot nero, e io nemmeno ce l’ho il pinot nero. Un’annata in cui nessuno era contento perché le uve non erano mature a sufficienza, ma i vini hanno avuto un’ottima evoluzione» (Georg).

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch 2006 è granato intenso alla vista, con un naso pieno di sottobosco, di foglie di castagno e di miele di sulla. Palato maturo, senso d’autunno e caramella d’orzo. L’impressione è che sia arrivato al plateau di maturazione.

«È stata un’annata più debole rispetto a quelle successive, un’annata standard come il 2004» (Georg).

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch 2000 si presenta con un colore granato chiaro e classico, e un naso struggente: fragranze balsamiche, terriccio fresco, sottobosco. Che espressione! La bocca non è da meno: un sorso ampio e succoso, spazioso ed evoluto, menta, fieno, ancora sottobosco, dove si rifrange qualcosa di balsamico. Che sapore, che carattere! Il tannino è un soffio vigoroso, vivo, lungo. Il finale spinge, persiste, e fa capolino un che di affumicato.

«Un’annata calda ma non troppo. Se fa troppo caldo la vite della schiava si ferma, anche per due settimane, e rimane verde in invaiatura, mentre il lagrein corre e diventa blu» (Georg).

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch 1999, «un’annata non grande come il 2000 ma molto equilibrata (Georg)», ha veste granato classico, un naso fresco, spazioso, terroso-balsamico, pieno di erbe e di fieno, un palato dritto, acido, contrastato, con finale di erbe, genziane e chinotti.

Chi dice che la schiava va bevuta solo in gioventù?

«Mio padre, che era del 1926, ha sempre messo via delle bottiglie. Ha fatto la guerra a diciassette anni, in prigione dagli inglesi. La sua era una generazione che vedeva lontano e che vedeva ogni giorno come un giorno guadagnato. Erano viticoltori al cento per cento e in zona andavano tutti d’accordo, condividevano le esperienze» (Georg).

Vinificare l’Hub in purezza è stata un’idea di Florian.

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch Hub 2019, assaggiato in anteprima, ha colore intenso e vivo, un frutto pieno, spiccato, profondo al naso. Il palato è conseguente: frutto centralizzato, frutto di bosco schiacciato, frutto selvatico, tanta polpa e tanto succo, tannino calibrato e rifinito, con finale che rilascia quote di sapore e sensazioni incisive. Più strutturato del Classico, ma non meno elegante nel fraseggio.

«Abbiamo vinificato il 10% di uva intera. Quando hai il raspo maturo è interessante farlo, nel 2020 non l’abbiamo fatto» (Florian).

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch Hub 2018, «annata calda, frutta matura» (Florian), ha colore rubino intenso, un naso meno arioso del 2019, più caldo e maturo, e un palato più cospicuo, con frutto di bosco in confettura, molto cremoso ma senza disperdere personalità o finezza: il tannino rimane sempre sottile.

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch Hub 2017, «annata meno matura del 2018, diversa, più difficile, con una nota tipica di buccia d’arancia» (Florian), ha colore rubino dai riflessi lievemente granato, naso di bella espansione olfattiva, frutto selvatico e arancia sanguinella, agrume rosso sprimaccino, sottobosco e freschezza mentolata, spezie naturali e fiori. Che bouquet! Il palato è pieno di succo, ha un tannino serrato, uno sviluppo asciutto, saporito, contrastato, di bell’espressione e continuità gustativa, con gran ritorno finale dell’arancia sanguinella.

Il Südtirol St. Magdalener Klassisch Hub 2016, prima annata prodotta, ha veste rubino-granato, profumi d’incenso e profondità fruttata, spiccato senso di amarena. La bocca è piena, matura, fresco-acida, continua, selvatica, pimpante.

«Oggi la schiava è poco sotto i 650 ettari vitati, ma nel 2008 erano 1250». Dallo scorso anno non è più il vitigno più coltivato in Alto Adige: al suo posto c’è il pinot grigio con 663 ettari. «Ed è la varietà peggio pagata in regione». Quasi si stenta a crederci. «Al di là di questo, penso si possa fare ancora qualcosa in più dal punto di vista tecnico per valorizzare il suo frutto» (Georg).

Fotografie dell’autore

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Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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