Quaderni chiantigiani/3 – Castello dei Rampolla, Il Palagio di Panzano

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CASTELLO DEI RAMPOLLA

A Santa Lucia in Faulle la terra non si tocca né si lavora, ci si accerta semmai che respiri. Il tempo, le aggiornate consapevolezze e l’osservazione attenta gli hanno creato una pelle, e creare una pelle alla terra, stimolandone l’attitudine a reagire, significa foderare il futuro di una certezza in più, e il futuro qui significa “agricoltura in sottrazione“.

Nei vigneti vecchi e nuovi di Rampolla la vegetazione non cresce granché, le piante restano leggere, fanno il loro senza esagerare. I grappoli sono quelli e basta. Senza forzature, diradamenti o cimature (che non servono).

Dietro l’approccio al contempo olistico e pragmatico di Luca Di Napoli Rampolla si cela un pensiero critico inarginabile e fuori dal coro, e una filosofia di vita “obliqua” abbracciata con trasporto e devozione. Luca non è un guru ma i suoi pensieri pungolano le coscienze. Nei gesti e nei modi della sorella Maurizia, invece, c’è la gioia di vivere la propria terra con affetto e con un cuore grande così.

Intanto, però, il tannino nei vini di Rampolla ha un sapore che non scordi: unico, inimitabile. E’ una compressione di sale che aspira a diventare salgemma. Più puro del puro. Tu mastichi e lui scava in profondità.

Ad esempio, per scorgere quanto sia profondo un vino come Sammarco 2016 ti ci vuole il binocolo. E’ un rimbombo, un’eco. Facile immaginare per lui un futuro all’altezza. D’Alceo 2017 invece, per uscire com’è uscito da una annata del genere, scomoda il miracolo.

Della linea dei vini senza solfiti aggiunti, invece, nei ricordi si imprime Liù 2019 (merlot), la cui compostezza si riassume in un passo elegante e in un amplissimo respiro balsamico e minerale.

Sì, è così, dai Rampolla convivono apparenti anomalie, da che il sangiovese non sempre è il protagonista. Quantitativamente parlando, ad esempio, in vigna a dominare è il cabernet sauvignon. Eppure il sentimento che esprimono questi vini è chiantigiano fin nel midollo. In più hanno il passo del maratoneta, sono saporiti, vibranti, strutturati, longevi. Il frutto rilascia croccantezza, a volte veracità, e quel sottotraccia minerale è come una pulsazione continua che li lega e li accomuna tutti, un per l’altro. Pulsazione viva.

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IL PALAGIO DI PANZANO

Il Palagio di Panzano è una delle magioni più antiche di tutto il comprensorio. Al suo pozzo, fino a qualche decennio fa, vi si approvvigionava la gente di Panzano per prendere l’acqua. Quella era la fonte. Il Palagio sta nel cuore di tutti. O così mi immagino io.

Qui è dove le cose riacquistano il giusto peso, e i gesti e i modi li misuri in passi, uno alla volta, per quello che si può e si deve. Ed è anche dove il fatalismo di matrice contadina si veste di pragmatismo, com’è giusto che sia.

Io amo luoghi così. Perché non ci sono compagnie cantanti alle spalle, né finanziatori occulti o nobili casate, solo figli e nipoti di agricoltori che semplicemente, ma sentitamente, hanno deciso di intraprendere un percorso diverso pur restando nel solco indelebile degli affetti e delle tradizioni di famiglia: fare vino, il loro vino, con le loro etichette, che sia specchio fedele della loro terra. E la terra qui ha un nome: Conca d’Oro.

E’ il piccolo mondo di Monia Piccini, autoctona panzanese, un tipo che si chiede sempre perché in un miscuglio emozionale fatto di determinazione e tenerezza. E di Franco Guarducci, suo marito, che da quando han deciso di percorrere quella strada vive in vigna e non lo trovi mai.

Nella testa e nel cuore un solo vitigno, il sangiovese, declinato in tre versioni di Chianti Classico da cui è possibile estrapolare un paio di considerazioni: che fare vini non troppo alcolici a Panzano si può, e che certe versioni splendidamente stilizzate sono sale in bocca e non si dimenticano. D’altronde sono suoli di pietraforte, disposti in giusto declivio a 500 metri di altitudine.

Al Palagio nel frattempo hanno fatto l’investimento degli investimenti: l’acquisizione di qualche ettaro di terra nei pressi della loro casa, con l’obiettivo di ricreare un unicum di vigna tutt’attorno alla proprietà. Fra non molto pianteranno le prime barbatelle. Un passo enorme, tale da obbligare una vita. Ma è pur vero che se i piedi restano ben piantati a terra, alla testa non è mai impedito di volare.

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Contributi fotografici dell’autore

FERNANDO PARDINI

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