Colline Albelle: primi passi verso un (radioso) futuro

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Riparbella è un borgo della provincia di Pisa proteso verso il mare che gli fu “tolto” più o meno un secolo fa: per intenderci, quello livornese di Cecina. Il suo nome sembra riecheggiare la parola più famosa della lingua italiana, soprattutto all’estero, quella che sta nella “grande bellezza”, nel “bel canto”, eccetera. E invece no, perché la sua origine è un’altra, ed è importante perché ad essa si ispira il nome di questa giovane azienda. È infatti, in italiano antico, “ripa albella”, oggi diremmo “collina chiara”. Chiara perché oltre all’argilla, onnipresente in queste terre, c’è anche una componente di tufo che schiarisce i colori del suolo donando ad esso peculiarità cromatiche e non solo. Ed ecco dunque il perché di Colline Albelle.

A questo territorio, che non rientra fra quelli di antica tradizione, hanno creduto anni fa i fondatori della ormai celebre Caiarossa, e da allora ha attratto l’attenzione di molti che qui hanno investito. Della squadra di Caiarossa faceva parte l’enologo Julian Reneaud, arrivato nel 2014 da San Francisco dopo aver lavorato, fra l’altro, a Opus Wine. E a Riparbella Julian ha scelto di restare (anche se, confessa, ha affittato anche un appartamento a Firenze) decidendo poi di mettersi in gioco, insieme a due coppie di coniugi di nazionalità bulgara già impegnate nella produzione di vino e conosciute nel 2016 in occasione di una degustazione in Toscana. È entrato quindi a far parte di un investimento importante,  100 ettari di tenuta, metà dei quali coperta da boschi che abbracciano le vigne: un dato fondamentale, come tiene a specificare Julian vicino ad un filare di sangiovese dagli acini piccoli e dalla buccia spessa grazie anche alla luce che a 300 metri di altitudine è più intensa: per avere una viticoltura equilibrata è necessario avere un “polmone” di biodiversità che “fornisca” fiori e insetti.

I suoli sono miscele variabili di argilla e di tufo che, come si diceva, sono all’origine dalle tonalità in chiaroscuro della terra. Ma la caratteristica forse più interessante è lo strato di sabbia in profondità che ne limita la ricchezza e, indirettamente, tende a contenere l’opulenza caratteristica dei bolgheresi (anche) perché la sabbia lì non c’è. E questo è un bell’aiuto per definire lo stile dei vini che piace qui a Colline Albelle: da singolo vitigno e asciutti, poco alcolici, essenziali. Un’idea di vino come arte, integrato in una Natura armonica e perturbata al minimo da pratiche invasive. Il che viene tradotto in vigna seguendo le prescrizioni della biodinamica (la certificazione biologica arriverà l’anno prossimo) cercando di declinarle però in una versione, diciamo così, pragmatica. Ci sono i preparati, certo, ma c’è soprattutto una minimizzazione delle pratiche che in campagna significa spesso tanta fatica in più. Quindi, allergia per i fertilizzanti (che sono sali e aumentano il bisogno idrico, rendono più intenso l’attacco dei parassiti e richiedono trattamenti, insomma un circolo vizioso e perverso) e tanto uso del sovescio per fissare il prezioso azoto; concimazione con il letame ma solo a “spot”, dove magari si vede una pianta sofferente. E poi accorgimenti intelligenti e originali quali tagliare i grappoli di un tralcio facendoli ricrescere “in ritardo” per avere al momento della vendemmia una minor maturità complessiva e un pH più basso, ossia più acidità. Oppure spruzzare miele nebulizzato per stimolare in anticipo le difese naturali della pianta all’arrivo della peronospora, che Julian prevede in un suo laboratorio casalingo mettendo foglie di vite in un ambiente umido.

E insomma il punto, lo stato dell’arte di Colline Albelle è questo: la cantina è in fase di progettazione, e un grande casolare è in ristrutturazione in vista di realizzare una struttura ricettiva. E poi i vini: quelli che hanno già visto la luce nella prima (favorevole) vendemmia 2020 sono il Colline Albelle Inbianco, da uve vermentino, e il Colline Albelle Inrosso, da uve merlot. Ma il bello deve ancora venire, con le etichette in gestazione: il sangiovese Serto (uscirà nel 2022), l’Altenubi (un ciliegiolo che si vorrà “profondo”) e l’Halis (nel 2023) che è forse il progetto più ambizioso, quello di creare un grande bianco toscano da uve canaiolo bianco scovate nelle vigne e faticosamente moltiplicate. Infine il Nebe, un passito da uve petit manseng.

Insomma, una avventura tutta da seguire: ma ecco intanto qualche primo assaggio.

Colline Albelle Inbianco 2020
A Julian piace dare efficaci descrizioni visive e un po’ visionarie del carattere dei propri vini: questo vermentino (quindi “di costa”) lo descrive come quelle persone a cui piace viaggiare e vivere la vita con leggerezza. Ma la caratteristica che salta subito agli occhi è un grado alcolico (10.2%!) che raramente leggiamo sulle nostre etichette: un risultato fortemente voluto anche grazie ad una raccolta anticipata (il 14 agosto), frutto di una ricerca dell’essenzialità, di un nerbo “tedesco”. E infatti questo vino è affascinante nella sua linearità ed eleganza al naso, nelle sue note acute ed agrumate, affiancate da suadenti fiori gialli.

Colline Albelle Inrosso 2020
Una anteprima per questo merlot ancora in affinamento. Quasi austero nel carattere olfattivo, entra vellutato al palato mostrando qualche giovanile spigolo nel finale, in cui si avverte un legno ancora da assorbire.

Serto, campione di botte
Anche qui, una descrizione efficace: “è come quell’amico che nel gruppo sta sempre un passo indietro, ma quando non c’è se ne sente la mancanza”. Un sangiovese già sorprendentemente “addomesticato”, ampio ed aereo, e leggero sul palato.

Colline Albelle
Loc. il Palazzo, Strada Terenzana 5 – Riparbella (PI)
facebook.com/collinealbelle

Riccardo Farchioni

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