La Calabria del vino raccontata al Concours Mondial de Bruxelles

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Circa 8.000 vini in concorso, 320 giudici provenienti da tutto il mondo, un programma fitto di degustazioni e visite a cantine e alle bellezze storiche e naturalistiche della regione: per la sua XXIX edizione il Concours Mondial de Bruxelles, una delle più prestigiose rassegne enologiche internazionali, ha fatto tappa in Calabria. È stata un’occasione di crescita e confronto, come sempre, ma è stata anche un’oppurtunità preziosa per conoscere meglio una delle regioni del vino italiano meno “chiacchierate”: una terra che, nell’occasione, ha mostrato il suo lato migliore, fatto di un’accoglienza sincera e di prodotti fantastici.

Raccontare la Calabria del vino in poche righe è impresa difficile: parliamo di una terra stretta e lunga, bagnata da due mari, che si estende, da nord a sud, per oltre 300 Km, con una grande varietà geologica e climatica. I numeri dicono che la superficie vitata supera i 12mila ettari, per una produzione media annuale che si attesta intorno ai 300mila ettolitri (imbottigliati, escluso mosti): parliamo dello 0,5-0,6 per cento della produzione italiana, una regione dal punto di vista vinicolo oggettivamente “piccola”. La situazione diventa interessante quando invece si viene a sapere che la “cenerentola” Calabria vanta uno dei più alti numeri di vitigni autoctoni in assoluto, con varietà sia bianche che rosse che si trovano solo qui, arrivate ai tempi dei coloni Fenici e Greci, oltre 2.500 anni fa, e moltiplicatesi nel corso dei secoli.

Da qui, dall’antica Enotria – un nome che indicava chiaramente il forte legame con la coltivazione di uve da vino – sono partite le primissime coltivazioni di vigneti sulla nostra penisola. Lo sviluppo della vite ebbe ulteriore impulso in epoca romana, dove il vino passò da un consumo riservato alle occasioni sacre, come dono alle divinità, a bevanda più “conviviale”, anche se ovviamente sempre a pannaggio di un elite ricca e potente: non sono infrequenti, in tal senso, ritrovamenti di ville romane con vasche di vinificazione annesse e recipienti di conservazione del liquido, a testimonianza di un consumo tutt’altro che trascurabile.

Venendo ai giorni d’oggi, la Calabria è forse una delle ultime regioni ancora da scoprire dal punto di vista vinicolo. Il territorio e il clima sono più montuosi di quello che uno possa pensare: tra Pollino, Aspromonte e Sila, le propaggini più meridionali dell’Appennino si ergono ad altitutini considerevoli, regalando alla vigna zone collinari di bella esposizione e notevoli escursioni termiche, accompagnate ad una piovosità anche molto accentuata. In Calabria, inoltre, affiorano alcune delle rocce più antiche dell’intera penisola, tanto che, usando una metafora suggestiva, qualcuno l’ha definita come “una montagna calata in mezzo al mare”.

Parlando di vino, la “rinascita” calabra è un fenomeno recente, degli ultimi vent’anni, che è partito soprattutto dalla zona del Cirò, di fatto il territorio che ha sdoganato il vino locale fuori regione: nomi come Librandi, Ippolito, Calabretta, hanno fatto conoscere i grandi rossi di questa zona in tutto il mondo. Raccontare oggi il movimento del vino in Calabria è impresa assai ardua: tantissime le zone da vino, con vitigni autoctoni molto diversi tra loro, spesso oscuri agli stessi calabresi, per di più spesso chiamati con nomi diversi in territori diversi.

Ci provo, in maniera del tutto parziale e personale, sfruttando il lavoro di selezione fatto dall’amico Jacopo Cossater, che ha condotto una delle masterclass più interessanti tenutasi durante il Concours de Bruxelles. Non parlerò volutamente delle aziende (ma citerò il vino, che è stato scelto per criteri di qualità e rappresentatività), perché il focus vuole essere una rapidissima panoramica sui principali vitigni.

Greco Bianco “Micah” 2021 di Malaspina

È il vitigno a bacca bianca più diffuso in regione, ormai presente un po’ ovunque grazie ad una bella versatilità. In genere, da esso si ottengono bianchi “d’ingresso”, quelli di pronta beva, profumati e freschi. Ne è un bell’esempio questo “Micah”, che gioca su rimandi floreali e di frutta bianca, in cui l’acidità è stata preservata, come è prassi comune, da una raccolta un po’ anticipata. Ne risulta una beva facile e spensierata.

Mantonico “Autoritratto” 2021 di Antonella Lombardo

È forse l’autoctono del momento in Calabria. Vitigno a maturazione tardiva, ha il pregio di mantenere una buona acidità senza la necessità di vendemmie precoci, permettendo così alle uve di sviluppare un interessante corredo di odori e sapori. Caratteristica comune del vino che se ne ottiene è una leggera tannicità, ben avvertibile in questo campione, che ha allungo e tattilità, con un sorso coinvolgente e dal finale persistente. Davvero una bella sorpresa!

Pecorello “Neòstos” 2021 di Spiriti Ebbri

Coltivato soprattutto nella zona di Cosenza, probabilmente si tratta di una varietà di Greco modificatasi nel corso dei secoli, abbastanza vigorosa, usata in passato soprattutto come uva da taglio, a dare struttura e sapore. Questo “Neòstos” è vino più di bocca che di naso, proviene da un appezzamento sul Pollino che pur trovandosi in zona montuosa restituisce al palato un vino pieno e robusto, di apprezzabile naturalezza espressiva. Un limite? A mio avviso la mancanza di una spinta acida che avrebbe donato allungo e dinamismo alla bevuta.

Magliocco Dolce “Portapiana” 2019 di Terre del Gufo

Uva presente un po’ in tutta la regione, spesso chiamata anche Greco Nero, da in genere rossi freschi, profumati, morbidi e di buona alcolicità. Ne è un bell’esempio questo Terre di Cosenza-Donnici Doc, che si presenta al colore e al naso molto concentrato e ricco, declinato prevelentemente sul frutto: vino di potenza più che di finezza, dall’animo molto mediterraneo.

Magliocco Canino “A’ Batia” 2019 di Casa Comerci

Pur avendo lo stesso nome, e probabilmente la stessa origine genetica, è una varietà meno diffusa di Magliocco, coltivato nella zona di Vibo Valentia, la cui riscoperta è dovuta proprio alla cantina Casa Comerci, che per prima ne ha esplorato quello che forse è il principale pregio: la versatilità (da provare le versioni in rosa, sia ferme che frizzanti). Rispetto al più diffuso Magliocco Dolce, il Canino ha in genere un profilo olfattivo più selvatico e un’acidità più infiltrante, con un finale marcatamente tannico.

Cirò Classico Superiore 2018 di Calabretta

Il Gaglioppo è l’uva rossa che ha fatto scoprire le potenzialità della Calabria vinicola: da vini potenti e fini allo stesso tempo, di chiaro stampo mediterraneo e molto propensi all’invecchiamento. Cirò è la sua patria: una delle prime Doc in Italia (1969) e oggettivamente, oggi, una delle più rappresentative dell’enologia del sud. Quello di Calabretta è un vino di stampo tradizionale, che parte con un bel naso di bacche rosse, spezie e liquirizia, per lasciar posto ad una bocca fresca e spontanea, senza “scalini”, molto coinvolgente e gustosa.

Zibibbo Orange 2021 di Cantine Benvenuto

Questo settimo vino non era alla masterclass, ma lo aggiungo io, perché è buonissimo ed ha una bellissima storia da raccontare. Lo Zibibbo di Pizzo arriva sulla costa occidentale della Calabria al tempo dei Fenici: è lo stesso della Sicilia, ma qui trova un microclima e un terreno diversi, che lo hanno portato a perdere i classici zuccheri residui. Parliamo quindi di un vino assolumente secco, per di più vinificato in questo caso con una lunga macerazione sulle bucce. A produrlo, in maniera appassionata e attenta, colui che lo ha recuperato dall’oblio e lo ha fatto diventare Presidio Slow Food dopo una trafila di più di 10 anni: Giovanni Benvenuto, oggi a capo di un piccolo movimento sulla Costa degli Dei. Provatelo e poi mi direte!

Franco Santini

Franco Santini (santini@acquabuona.it), abruzzese, ingegnere per mestiere, giornalista per passione, ha iniziato a scrivere nel 1998 per L’Ente Editoriale dell’Arma dei Carabinieri. Pian piano, da argomenti tecnico-scientifici è passato al vino e all’enogastronomia, e ora non vuol sentire parlare d’altro! Grande conoscitore della realtà vitivinicola abruzzese, sta allargando sempre più i suoi “confini” al resto dell’Italia enoica. Sceglie le sue mète di viaggio a partire dalla superficie vitata del luogo, e costringe la sua povera compagna ad aiutarlo nella missione di tenere alto il consumo medio di vino pro-capite del paese!

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