Cembra, in odor di montagna

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Una cantina sociale che nasce, cresce e si sviluppa in un contesto di montagna è ancora più sociale. Recuperare “a rigor di logica” una naturale frammentazione, dargli voce, e rendere altresì coscienti i tanti piccoli (quando non piccolissimi) conferitori circa il reale potenziale di un territorio altrimenti inesprimibile, è un’opera di indubbia valenza sociale. Cembra Cantina di Montagna lo fa, e già questo sarebbe di per sé bastevole al rispetto e alla riconoscenza.

La visibilità e la credibilità in campo enoico, per questo lembo di territorio fra i più affascinanti ed estremi del Trentino, passa anche dai suoi vini, in grado di coniugare territorialità e governo tecnico senza risultare particolarmente oppressi dalla confezione, lasciando il giusto agio alle sfumature di sapore e a una innata propensione alla verticalità, che è essenza stessa di una vocazione.

Il vigneto delle Forche, forte dei suoi 900 metri di quota e dei suoli sabbiosi e porfirici, è uno degli appezzamenti simbolo della val di Cembra, ed è culla prediletta per il Müller Thurgau. Il Vigneto delle Forche 2020, inteso come vino, è preciso e dettagliato, l’acidità è portante ma come smussata da una percezione zuccherina che ha lo scopo di bilanciarne la durezza ma che qui rende al sorso una rilassatezza fin troppo accomodante. L’armonia dei sapori resta, ed è conforto pur ‘essa.

Il pinot nero, pensato su questi declivi d’altura, rappresenterebbe una forte tentazione per chiunque. Il pregio del Pinot Nero 2020 di Cembra è quello di non cadere nella “trappola” di tanti suoi fratelli trentini o altoatesini, ovvero di stringersi a imbuto sul tannino e su una vegetalità un po’ cruda, spesso veicolo di amaritudini o di irrisolvibili asprezze. Qui hai un sorso generoso, ampio, finanche largo, dai tannini morbidi e dal tatto setoso, con un varietale che primeggia e un carattere che va ben oltre la didascalia.

Infine il Metodo Classico, una tipologia che in questi luoghi può avvantaggiarsi di una naturale struttura acida e fare così la differenza. L’Oro Rosso Dosage Zero ne incarna appieno lo spirito muovendosi su direttrici organolettiche che portano di per sè alla distinzione, indipendentemente dal tasso di profondità: qui non è il gioco complesso dei lieviti ad emergere, ma una spigliatezza dinamica, e una levità che concorre alla agilità e alla lena, supportata da una carbonica vivace senza risultare tagliente. E’ a base di uve chardonnay, le giaciture stanno fra i 600 i i 750 metri di altitudine, e lui è teso, longilineo, e il suo finale salino richiama la montagna, anzi la roccia, e se non significa senso di appartenenza questa “roba” qua, ditemi voi cos’é.

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FERNANDO PARDINI

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