Rete Valpantena, o della volontà di fare sistema

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ValpaNel ripercorrere le mie esperienze bicchiere alla mano di un concitato 2022, mi accorgo di aver avuto a che fare con un unicum quanto mai agognato nel mondo del vino del nostro Bel Paese: “fare sistema”. Fare sistema è un mantra invocato con allarmante frequenza da direttori di consorzi, addetti commerciali e chi più ne ha più ne metta. Ebbene, ho visitato una ridente vallata che sta attivamente superando invidie e campanilismi per “fare sistema”.

Ma perché questa circostanza è così rara e importante? L’estrema frammentazione del vino italiano rappresenta un asset potenzialmente di grande valore in un mondo globalizzato, per varietà di vitigni, comprensori, caratteristiche dei vini, al punto che qualsivoglia categoria di appassionati può certamente individuare una tipologia di prodotto di cui affascinarsi: purché sia a conoscenza che esista. Poiché, al contempo, quella medesims conturbante varietà è confondente, e nel raccontarla si rischia di spaccare il capello in quattro sulla più minuta e speciosa particolarità territoriale e/o aziendale, difettando così della massa critica necessaria per imporla all’attenzione del potenziale consumatore.

Intendiamoci, amiamo tutti la bucolica immagine del piccolo vignaiolo che recupera un sapere antico e valorizza il potenziale della vigna ricevuta in eredità dal passato familiare, ma poiché difficilmente trattasi di un miliardario ritiratosi in Arcadia Felix, e per mettere insieme il pranzo con la cena il vino occorre pure venderlo, corre l’obbligo di trovare un modo di raccontarsi al mondo. E meno male che nell’era dei social ciò è diventato più facile ed economico, dove però il messaggio rischia semmai di perdersi in una miriade di altri messaggi analoghi.

E’ anche, brutalmente, una questione di risorse da investire in una pianificazione mirata: finalizzare il messaggio, diffondere il “verbo” affinché il bene crei il bisogno (e per oggi con il marketing siamo a posto). E ciò è INFINITAMENTE più agevole e più efficace da conseguire se le energie dei molti si uniscono per un obiettivo condiviso, per delle finalità che, nel giovare a una comunità, altrettanto possano fare per i singoli che la compongono. “Fare sistema”, per l’appunto. In Italia? Il paese degli “-ismi” e dei campanili? Auguri sentiti!

Eppure qualcosa si sta muovendo: inizia a succedere, qua e là, che di necessità si faccia finalmente virtù. Ad esempio ho avuto occasione di godermi le attrattive “sistemiche”, non solo vinose, della Valpantena. Situata nelle immediate vicinanze di Verona, non registra forse ancora l’attenzione che meriterebbe, sia per l’intrinseco suo fascino, sia come valida alternativa alla città congestionata dai melomani e dai portatori di pegni d’amore alla casa di Romeo e Giulietta. La Valpantena, una ventina di minuti di tangenziale dal centro di Verona, è un paradiso naturalistico a portata di mano, dove la vita scorre ad un ritmo più rilassato, con buona pace di tutti gli spritz trangugiati nella pur bellissima piazza delle Erbe.

Di tutto questo chi percorre la Valpantena a spron battuto, diretto ai campi da sci più vicini alla città, niente sa. Ed è un peccato, perché nel fondovalle i paesi sono puliti e ordinati, e non mancano siti archeologici romani da visitare, per gli amanti del genere. Ma soprattutto, basta salire un poco per strade tortuose ma poco trafficate perché la vista si apra su una prospettiva di verde ordinato, scandita dalla geometria dei filari delle vigne, con sullo sfondo le cime innevate. L’aria si fa fresca e limpida. C’è una rete di sentieri che invita a godere del fresco estivo, e bastano due passi per comprendere come Verona possa essere bellissima, sì, ma vada presa a piccole dosi.

Qui si possono praticare l’equitazione e la mountain bike, e tutti gli sport che un contesto di mezza montagna suggerisce. Una cooperativa di guide turistiche è a disposizione per insegnare a riconoscere i segni di una presenza dell’uomo plurisecolare, incluse alcune architetture militari ben conservate, che fortunatamente sono state interessate solo marginalmente dalle vicende belliche della I Guerra Mondiale. Inoltre, per chi non intende rinunciare a una ruspante movida, a fine agosto, su un verde pianoro in quota nell’alta valle, la festa della Madonna della Cintola riunisce migliaia di aficionados per un’occasione che coniuga il tema sacro a un casto -ma non dietetico- baccanale profano.

Non da meno come attrattiva turistica, poi, c’è il vino, che può fregiarsi di un’omonima indicazione di sottozona nell’ambito della denominazione Valpolicella, giustificata dal clima fresco causa l’incombente ma amica presenza dei primi contrafforti alpini. Tutte le etichette, a qualunque livello di complessità e ambizione, ne guadagnano un plus di freschezza. I “Valpolicellino” esaltano la loro acidità guizzante e la fragranza floreale e delicatamente erbacea. Particolarmente riusciti i Superiore e i Ripasso, dove la morbidezza, diretta conseguenza delle scelte vendemmiali e delle tecniche di vinificazione, si stempera in una deliziosa bevibilità e in un equilibrio sapientemente calibrato. Gli stessi Amarone conseguono una rara leggerezza di disegno, senza rinunciare a quella opulenza assertiva che resta pur sempre la loro cifra identitaria. Le bottiglie, anche le più impegnative, in Valpantena si svuotano a grande velocità.

Inoltre, questa tendenza stilistica è trasversale alla tipologia di cantine che qui vi lavorano. Nella valle si contano un caposaldo della storia della Valpolicella come Bertani, forse il primo a commercializzare vini da tavola imbottigliati in zona, la solida affidabilità senza fronzoli della filiazione agricola di una compagnia assicurativa (Costa Arènte), la nuova avventura produttiva (Ripa della Volta) di due professionisti del vino veneto provenienti da aziende di consolidata tradizione già distintasi per la scelta (e la capacità) di creare etichette non “dimostrative” bensì eleganti e, dulcis in fundo, un sontuoso investimento (La Collina dei Ciliegi) di un imprenditore (Massimo Gianolli) “fulminato” dalla passione per il vino, valorizzato da un clamoroso resort di lusso (il Cà del Moro Wine Retreat).

Ma non si tratta solo di “chiacchiere e distintivo”: a monte c’è un progetto di zonazione operato da la crème de la crème dei terroiriste d’Oltralpe, da esplorare scorazzando per le vigne con un quad; ci sono impianti con scelte di cloni e portainnesti lungamente ponderate; ci sono pozzi scavati per più di cento metri per risolvere in modo sostenibile il problema della disponibilità idrica. E potremmo continuare.

Metti quindi dei vini che raccontano qualcosa di più e di diverso dai confratelli delle vallate limitrofe; metti un ambiente che invoglia ad un turismo che non sia “mordi e fuggi” (per quello, persistono sin troppe occasioni), il che ha stimolato lo sviluppo di un’accoglienza di charme (Villa Balis Crema), di una ristorazione già stellata (Ristorante La Cru) che sapientemente ricomprende prodotti che fanno poca strada per arrivare alla tavola in un’interpretazione mai banale della tradizione, E mettiamoci pure produzioni artigianali, ma “su piccola scala industriale”, di erbe officinali ed essenze (Pernigo), che stimolano la fantasia degli chef e degli artisti della miscelazione agli esperimenti e alla creazione di nuove pietanze e cocktails.

Tutto questo funziona in quanto nessuna di queste realtà altamente professionali opera fine a se stessa. Il piccolo e il grande, la tradizione e l’innovazione, si sono imposti un manifesto programmatico in 6 punti che costituisce l’anima della piccola ma agguerrita Rete Valpantena: valorizzazione dell’identità territoriale; individuazione e promozione di percorsi turistici in senso lato, non solo enogastronomici; creazione di sinergie tra tutti i soggetti coinvolti; incentivazione di nuove realtà imprenditoriali per amplificare l’effetto moltiplicatore; tutela della bellezza della valle e delle sue caratteristiche paesaggistiche.

In pratica, il visitatore può contare sul fatto che ogni sua attività ne richiamerà un’altra, e creerà ulteriori occasioni di gratificanti esperienze identitarie. Come vini per i quali l’espressione del terroir non è una frase fatta, bensì un’occasione di scoperta che non si esaurisce nell’assaggio. E scusate se è poco. E quand’anche fosse poco, certo è disgraziatamente più raro di quanto sarebbe lecito sperare. Eppure “fare sistema” è possibile, e la Valpantena lo dimostra.

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Riccardo Margheri

Sono oramai una ventina d’anni che sto con il bicchiere in mano, per i motivi più disparati, tra i quali per fortuna non manca mai il piacere personale. Ogni calice mi pone una domanda, e anche se non riesco a rispondere di certo imparo qualcosa. Così quel calice cerco di raccontarlo, insegnando ai corsi sommelier Fisar, conducendo escursioni enoturistiche, nelle master class che ho l’onore di tenere per il Consorzio del Chianti Classico; per tacere delle mie riflessioni assai logorroiche che infestano le pagine web e cartacee, come quelle della Guida Vini Buoni d’Italia per la quale sono co-responsabile per la Toscana. Amo il Sangiovese, Il Riesling della Mosella, il Porto, ma non perdo mai occasione per accostarmi a tutto ciò che viene dall’altrove enoico. Vivo da solo e a casa non bevo vino, poiché per me il vino è condivisione: per fortuna mangio spesso fuori, in compagnia.

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