Le bottiglie perdute: fenomeni ossidativi nei vini e temperatura

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immagine tratta da https://www.chateau-brown.com/le-batonnage-des-lies/

La conservazione e l’evoluzione del vino dipende dall’ossigeno, dalla temperatura e, indirettamente, dall’umidità dell’ambiente. Ancora di più se il vino è in bottiglia. Di questo si erano accorti gli antichi, scegliendo di trasportare i vini in anfore con tappi di sughero il più possibile ermetiche, rese tali con pece, resine, pozzolana, calce e gesso (maggiori info qui).

Quando venne introdotto l’uso dei fusti e delle barrique la conservazione divenne più semplice, complici anche i tannini estratti dal legno che in parte fungono da antiossidanti naturali. Ma fino all’introduzione sistematica dell’uso della anidride solforosa in enologia le possibilità di controllo dell’ossigeno disciolto erano soprattutto legate alle chiusure dei contenitori, alla presenza di anidride carbonica disciolta (spumanti o frizzanti) e alla presenza di lieviti morti nel vino.

Era infatti noto a livello empirico che i vini conservati in presenza di fecce fini o trattate avevano una conservabilità migliore, soprattutto in piccoli fusti dove era possibile tenere in sospensione tali fecce. Era infatti pratica nota in alcuni comprensori della Francia enoica estrarre le fecce dal primo travaso dei vini (in particolare bianchi), ossigenarle con frequenti batonnage per una quindicina di giorni in barrique aperte e successivamente reintrodurle nei vini di origine e mantenerli in contatto con essi fino al momento dell’imbottigliamento.

Nei vini contemporanei la presenza di fondo sta ritornando di moda in alcune categorie specifiche di vini frizzanti, ma in generale non è pratica universale per problemi legati alle possibili deviazioni organolettiche e alla possibilità di organismi inquinanti. Se dunque nelle bottiglie “finite” escludiamo la presenza di lieviti morti o di altri batteri consumatori di ossigeno, dobbiamo concentrarci, se vogliamo cercare di comprendere le cause delle ossidazioni, sui componenti presenti e sugli attori diretti di questi fenomeni, che sono di origine enzimatica e non.

L’ossigeno è, come diceva Pasteur, “il peggior nemico del vino, ma è l’ossigeno che fa un vino buono”. Esso è dunque indispensabile per la produzione e l’evoluzione del vino, ma è anche un fattore determinante per l’insorgere di alcuni fenomeni chimico-fisici che portano a difetti visivi, olfattivi e gustativi. La presenza dell’ossigeno è ubiquitaria nella produzione del vino, e di esso dovremmo sempre tener conto in qualsiasi fase della produzione vitivinicola. Il 20% dell’aria che respiriamo è composta di ossigeno, e dunque il suo contatto con l’uva prima, e con il vino poi, risulta inevitabile. Ma l’ossigeno (O2) è molecola poco o niente polare, quindi con una solubilità nel vino relativamente bassa. Il vino a saturazione può contenere 8,3 mg/l di O2 disciolto. Naturalmente è presente un gradiente di dissoluzione dell’ossigeno all’interno del vino con concentrazioni massime nella superficie di contatto e via via inferiori allontanandosi da essa. E siccome la dissoluzione dipende dalla superficie esposta all’ossigeno, minore è il rapporto tra superficie di contatto e volume del contenitore e minore sarà la quantità di ossigeno disciolto all’interno del contenitore stesso, sempre che il liquido sia in quiete.

Prendiamo in considerazione una bottiglia appena chiusa. Il contenuto di ossigeno all’interno della bottiglia deriverà da tre fattori principali: l’O2 disciolto nel vino prima della chiusura, la composizione del gas nello spazio di testa, la permeabilità e il tipo di chiusura utilizzata.
Il contenuto dell’ossigeno disciolto nel vino in fase di imbottigliamento dipende moltissimo dalle attrezzature utilizzate per le operazioni di imbottigliamento. E’ noto infatti che il pompaggio del vino discioglie circa 2 mg/l di O2 nel vino e altrettanti ne sono disciolti se si riempiono bottiglie con metodi non protetti da azoto, portando così la dissoluzione all’interno del vino in bottiglia a valori prossimi ai 3-4 mg/l.

La composizione dello spazio di testa è anch’essa fonte di contatto tra vino e ossigeno se si lascia che sia l’aria il gas che la compone: degli 8- 10 ml circa di volume di cui si compone lo spazio di testa almeno 2 sono di ossigeno che andrà a diffondersi nel vino nel tempo. Considerando che il consumo di ossigeno dipende dalla composizione del vino, vi è una notevole differenza tra vini rossi e bianchi. Dopo la saturazione di un vino rosso con ossigeno ci vogliono almeno dieci giorni perché il vino ritorni all’ equilibrio ossidoriduttivo che aveva prima del contatto; oltre venti per il vino bianco.

Per quanto concerne le chiusure, che siano tappi di sughero, tappi tecnici, polimeri o tappi a vite, molto dipende dalla tipologia di prodotto e, per i tappi a vite o a corona, dalla membrana che va a contatto con il vetro.  In questo senso il tappo di sughero e il polimero estruso apportano una certa quantità di ossigeno al momento della tappatura, dato che gli alveoli di cui sono composti contengono aria che verrà insufflata nel vino in chiusura. I tappi poi sono permeabili all’ossigeno in maniera naturalmente diversa a seconda del materiale utilizzato. Riportiamo a titolo esemplificativo un confronto tra permeabilità all’ossigeno e tipologia di tappature.

TAZ = sughero aziendale, TSM = sughero monopezzo, TTC = tappo tecnico birondellato, TPL, = Tappo plastica, TVR = tappo vetro Tratto da Tappi a Confronto – una indagine conoscitiva – Laboratorio Chimico merceologico delle Calabria- Camera di Commercio- anno2012

I processi di ossidazione nel vino

Se, come abbiamo appurato, il vino in bottiglia viene a contatto con l’ossigeno e lo rimane anche nel tempo della vita in bottiglia (data la permeabilità dei tappi), è chiaro che i processi ossidativi procederanno di pari passo alla quantità di ossigeno disciolta in primo luogo ma anche alla tipologia di vino, alla presenza di co-fattori ed enzimi e alla temperatura di conservazione, dato che la velocità di reazione enzimatica dipende anche dalla temperatura.

Essa agisce in genere con una velocizzazione della reazione a causa dell’aumento delle collisioni efficaci tra le molecole; tale effetto è in molti casi diretto fino ai 40°C, dopodiché si assiste a una progressiva denaturazione delle molecole enzimatiche con progressiva riduzione della attività enzimatica fino ai 60°C, dove si ha praticamente l’arresto.

Ma di questi processi parleremo nella seconda parte dell’articolo…..

 

Lamberto Tosi

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