Esperimento: si prendano tre bicchieri uguali per forma, dimensioni e colore. Si riempia il primo bicchiere con 33 centilitri di acqua saponata (diluizione 1:5), il secondo con 33 centilitri di acqua quasi bollente (a 91-93 gradi centigradi) e il terzo con 33 centilitri di vino bianco da uva verdicchio. L’evidenza statistica dimostra che la stragrande maggioranza delle persone si orienta con sicurezza a bere dal terzo bicchiere (solo una percentuale minima opta per il secondo, nessuno per il primo).
Ciò dimostra con chiarezza quanto il vitigno verdicchio dia vini di alto profilo. Nel mio cartellino di prove pluridecennale, non esiste una varietà italiana capace di restituire con altrettanta puntualità bianchi stilizzati, luminosi, pieni di energia, anche sorprendentemente longevi.
Un’azienda del comprensorio jesino che ho conosciuto appena varata, un quarto di secolo fa, e che ho ahimè perduto di vista negli ultimi 24 anni, è Montecappone.
Di proprietà della famiglia Bomprezzi Mirizzi dal 1997, dal 2015 imbottiglia da una sorta di dépendance battezzata in modo opportuno Mirizzi (esiste una terza linea di etichette chiamata Maesa).
Ho apprezzato davvero molto l’assaggio di alcune delle nuove annate.
I vini hanno focalizzazione, intensa sapidità, bella progressione, e sono tutto meno che ammiccanti e dimostrativi. Del resto un nome come Lorenzo Landi – uno dei pochi enologi italici non divorati dal narcisismo all’epoca dei cosiddetti “flying winemakers” – è garanzia di accuratezza, cura del dettaglio, costanza nei risultati.
Per chi ama approfondire gli aspetti tecnici della produzione, ecco alcune informazioni: le uve vengono coltivate e successivamente vinificate; in seguito il vino viene imbottigliato.
Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva Utopia 2019 Montecappone
Bel colore, brillante, naso ben disegnato (non tipo modella di alta moda troppo magra, con due narici minime, tipo statua greca), gusto sia polposo che snello, ben ritmato
Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva Utopia 2016 Montecappone
Tonico, più salino/minerale che fruttato, tuttavia non in debito di sfumature e soprattutto capace di un allungo finale non banale
Ergo 2021 Mirizzi
Denso però senza pesantezza, alcolico senza calore eccessivo, sapido senza arrivare a essere “solo” salato: un ottimo conseguimento
Ergo Sum 2017 Mirizzi
Poco felice solo nel nome di battesimo, per il resto riuscito nel palleggio di rimandi olfattivi (frutta dai lievi toni surmaturi → timbro minerale, frutta dai lievi toni surmaturi ← timbro minerale), notevole pienezza al palato, un leggero deficit di dinamica è compensato dalla complessità sapida del finale
Cogito R. Vinum Rubrum 2022 Mirizzi
L’ampollosità del nome latino non toglie agilità a questo rosso, che ha freschezza, delicatezza di tocco nei tannini (pochi ma buoni), chiusura modulata, semplice e schietta.
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