Valle Isarco focus – Profondo bianco. Intro/1

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20171009_094857Questo pezzo ha l’ambizione di introdurci nella Valle Isarco del vino, ovverosia in un mondo. Inutile girarci attorno, una delle zone d’eccellenza per il bianco d’autore italiano, e forse anche più in là. In quei vini il marchio indelebile di un terroir speciale, capace di filtrare a maglia stretta i diversi accenti e le diverse espressività per restituirceli combinati secondo una fisionomia che “sa” di lui, e che nel suo nome si ricompone e si afferma. In tal senso i bianchi della Valle Isarco sono vini “contemporanei”, perché contribuiscono da par loro al cosiddetto “risveglio del terroir“, a quel passaggio epocale che dovrebbe traghettarci verso una più (r)affinata consapevolezza nell’affrontare una lettura sensoriale, e consentirci finalmente di saper distinguere i vini che posseggono il germe dell’autenticità dagli altri, più apolidi e convenzionali.

20171011_140832D’altronde, già adesso nessun altro vino ricorda un vino della Valle Isarco: questo è il reale privilegio. Forse è un’illusione, o forse un’idea soltanto mia, ma quanto più in un vino sento connaturata la nudità – e in questo caso vi concorrono le sottigliezze, l’agilità, la dinamica, la freschezza – tanto più la sfida per riconoscere in quel vino il luogo da cui nasce si fa avvincente, perché non possiede l’appiglio di un paracadute o di una scorciatoia. Il vino nudo non ha di che nascondersi, questo è. Difficile fare meglio di un vino che porta impressa la nudità nel proprio codice genetico, perché il coraggio di quella nudità avvicina e di molto l’orizzonte di una piena riconoscibilità. Ecco, sento che in Valle Isarco la strada intrapresa sta andando in quella direzione, ed è bello percorrerne un tratto per poterla raccontare.

Il corpus della trattazione, che si svilupperà secondo diversi capitoli, riguarderà i ritratti ai vignaioli, tutti quelli che ho incontrato nel corso della lunga trasferta d’autunno. E insieme ai vignaioli i vini. Una zona che seguo da anni e che ben conosco, questa, da un punto di vista stilistico e produttivo, senza mai però aver avuto l’opportunità di leggerla ed interpretarla con quella confidenzialità e quella profondità di scandaglio che solo una full immersion nel territorio può regalare.

logo-associazione-eisacktalerweinPer questo un racconto del genere non può esimersi dai ringraziamenti. E il mio ringraziamento sentito va a due “soggetti”: all’associazione locale dei vignaioli della Valle Isarco, Eisacktalwein, e alla loro instancabile “donna ufficio stampa”, Laura Sbalchiero. All’associazione per l’appoggio concreto e l’ospitalità, e per il tentativo laicamente santo di far confluire un affetto comune in un progetto condiviso di intenti e di comunicazione, capace di unire realtà piccole e grandi nella consapevolezza che una voce collettiva possa diffondere il “verbo” del territorio in maniera più potente. A Laura per la pazienza infinita di cui si è armata per scarrozzarmi in ogni dove, per la preziosa compagnia di quei giorni là e per il supplemento d’anima con cui sta svolgendo il proprio mestiere. C’è chi la chiama passione.

Quale introduzione, allora, per questa magnifica valle a prepotente vocazione bianchista? Ci ho rimuginato un po’ su, e visto che nei vari capitoli che seguiranno ci sarà modo di analizzarla ulteriormente, ho convenuto che la soluzione migliore e più indolore per la salute psico-fisica degli affezionati lettori sia quella di rilasciarla in pillole, attraverso brevi suggestioni flash, spigolature, dati. Un “Bignami” della Valle Isarco, insomma. Per farsi una idea, e per capire con chi si ha a che fare. Ecco qua la prima parte.

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LE COSE CHE NON SCORDI

20171010_131137La prima cosa che viene da pensare su di lei, quando ti trovi a percorrerla da cima a fondo, è che sia una super-valle. Ammazza, è lunghissima! E pure varia nella morfologia, nei paesaggi, nella luminosità. E poi è una valle aperta, che sbocca su altro, a sud come a nord. Apparentemente, e per costituzione, una valle di passaggio. O almeno così ti suggeriscono quei biscioni d’asfalto dell’autocamionabile e dell’autostrada del Brennero che la incidono nella sua interezza, autentica croce e delizia per un incanto che tocca andare a scovare più all’interno, nel tentativo di rifuggire al pensiero di quella presenza invasiva, tanto congeniale ai transiti quanto devastante da un punto di vista dell’impatto acustico e paesaggistico.

Insomma, le prime volte che la incontri, quella valle potrebbe indurti a pensare che sia un tramite, un passaggio obbligato verso altri obiettivi, altri luoghi. Niente di più sbagliato. Incredibile per come cambia il mondo non appena ci entri dentro e la conosci un po’ di più. Perché non ti immagineresti tutta quella bellezza solitaria. Ed è qui che dimora la prima corrispondenza euritmica fra territorio e vini: entrambi brillano per forza interiore, vibrando sotto la scorza di una esteriorità che svela solo parzialmente il di più. Entrambi quindi vanno ricercati e compresi sotto quella scorza, perché sotto quella scorza c’è ben altro: il privilegio che attiene alle cose che non scordi.

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DA SUD A NORD

20171010_124424Che poi c’è esteriorità ed esteriorità. Se la approcci da Bolzano, la valle nel suo primo tratto ti apparirà stretta, angusta, nervosa, con la severità del paesaggio che si stempera solo se poni lo sguardo all’insù, dove vigne pendenti strappate letteralmente alla montagna ti immagini possano godere del conforto di un taglio di luce più netto. Sono le prime testimonianze, in ordine di apparizione, della viticoltura dei luoghi. Ci troviamo nella zona dello Sciliar: Presule, Novale, Fié, terre vocate e world apart se comparate alla zona “classica” che ha epicentro più a nord, nella conca di Bressanone: i vitigni qui coltivati, in larga parte, non sono gli stessi coltivati a Bressanone e a Chiusa, sono la legittima conseguenza di un microclima differente che assume sfumature più temperate portate in dote dall’òra gardesana, vento tiepido per antonomasia, e da giaciture meno elevate, a connotare produzioni a metà strada fra “tentazioni” alpine e istanze mediterranee.

20171011_112725Poi progressivamente la valle si apre, a fatica fra Villandro e Chiusa, decisamente nei pressi di Bressanone. Nella zona di Chiusa i vigneti si trovano sulla destra orografica del fiume Isarco e mostrano una ripidezza a tratti impressionante. E’ da qui che il paesaggio si trasforma per presentarsi al viandante con quella caratteristica che fa tanto Valle Isarco: la lunga e suggestiva teoria di muretti a secco che sorregge le fasce vitate proteggendole dai fenomeni erosivi. Chilometri e chilometri di muri in pietra multicolore e riflettente, testimoni silenziosi dell’operosità e dell’intraprendenza umana. Da qui in poi il vigneto fa suo il contributo dei vitigni a bacca bianca risalenti alla solida tradizione teutonica e austriaca: sylvaner, grüner veltliner e, più recenti, riesling e kerner.

20170923_103458Poi, nell’ampio “estuario” settentrionale che ha epicentro a Bressanone e che termina a Varna, nell’area di Novacella, la vallata si distende per offrire un panorama mozzafiato che apre ad orizzonti più vasti e a un’idea di quiete che puoi cogliere senza sforzo. I declivi piantati a vite presentano pendenze più “umane” e appaiono più estesi in profondità. Contrariamente alla zona di Chiusa si trovano in netta prevalenza sulla sinistra orografica del fiume, esposti a ovest, al calore del pomeriggio. Ecco, appunto, il calore, ciò di cui abbisogna una conca luminosissima e poco interessata dalle piogge ma oltremodo caratterizzata da sensibili escursioni termiche giorno/notte mutuate dai freddi venti alpini e dolomitici. Perché le giaciture qui possono approdare agli 800 metri slm, mentre i vitigni di nome fanno sylvaner, grüner veltliner, riesling, kerner, müller thurgau, con un pizzico di gewürztraminer e una spruzzata di pinot grigio. Perché tutto, qui, ha una ragion d’essere.

Curiosità:

20171012_132212La denominazione d’origine Valle Isarco contempla una piccola appendice meridionale “via dalla pazza folla”: l’altopiano del Renon, proprio sopra Bolzano, dirimpetto alla maestosità dello Sciliar e delle montagne a contorno dell’Alpe di Siusi. Sì, i vini che nascono lì, se d’uopo, possono richiamare in etichetta la sottozona Valle Isarco. Ne riparleremo, ma intanto ricordatevelo. Soprattutto però andatelo a vedere quel posto, che poi è un “avamposto”: lo stordimento emotivo è assicurato.

20171010_174116Di più, l’unicità raddoppia. Per capirlo bisogno spostarsi a nord, e dalle parti di Chiusa prendere la strada che si insinua entro gole strette in Val di Funes, per poi aprirsi alla meraviglia paesaggistica. Tiso, piccolo borgo arroccato in cima ad un cocuzzolo, di fatto apparterrebbe alla Val di Funes, ma dal punto di vista della denominazione di origine va a ricadere nella doc Valle Isarco. Bene, Tiso è una culla importante per emblematici Müller Thurgau (ma non solo). Due le singolarità a favor di vocazione, esposizione a solatìo (circostanza rara in Val d’Isarco) e 900 metri di altitudine: quel che ci vuole per garantire ai vini profumi ricamati, finezza e verticalità. Provare per credere.

punti-interrogativiSpigolature:

Avrete intuito che nella valle cambiano alcune cose, procedendo da sud a nord, non ultimi i vitigni in gioco. Bene, sappiate che la denominazione d’origine Alto Adige Valle Isarco Doc consente l’impiego di diverse  uve a bacca bianca esprimibili come monovitigno, e principalmente quelle di origine “foresta” (teutonica e austriaca) più il gewürztraminer. Ma non rientrano nel disciplinare pinot bianco e sauvignon, che sono le uve caratterizzanti le produzioni della parte meridionale della Valle, peraltro con risultati altisonanti. Quindi è possibile che stiate bevendo dei vini geograficamente appartenenti alla Valle Isarco ma che non possono fregiarsi della menzione Valle Isarco in etichetta. Misteri della fede? Mica tanto, le ragioni sono diverse, a metà strada fra storicità e strategia commerciale. Forse alla fine del salmo bisognerà pur decidersi ad integrarli. O no?

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A VOLTE, VEDI UN PO’ LA STORIA…

20171008_164037La Valle Isarco era terra di rossi. L’avreste detto mai? Uhei, le sviste possono capitare a tutti, ci mancherebbe. Fatto sta che, in questo caso, solo agli albori del XX secolo i suggerimenti di autorevoli ampelografi tedeschi fecero ricredere i valligiani e diedero il la per l’importazione e la messa a dimora delle uve a bacca bianca, soprattutto dalla vicina Austria, che a distanza di oltre un secolo possono ben considerarsi radicate. Inizialmente si trattò di sylvaner e müller thurgau, più sporadicamente di veltliner, che vennero piantate nella zona classicamente intesa come Valle Isarco, fra Chiusa e Bressanone: la storia del vino, da quel momento, prende un’altra piega.

20171009_172422Quelle uve infatti andarono progressivamente a soppiantare le uve rosse, tipo la schiava o il blauer portugieser, che non sortivano risultati significativi sotto l’effetto di quei rigori climatici e stavano facendo perdere competitività alla zona. Ma la piega intrapresa, ben prima di esplodere in una qualità generalizzata, incontrò eventi drammatici. La fillossera prima, le due guerre mondiali poi, portarono ad una decisa contrazione del vigneto isarcense. I masi venivano abbandonati, la gente sceglieva altre strade. Per una timida ripresa dobbiamo attendere gli anni Sessanta, quando la nascente cooperativa vitivinicola di Chiusa (attualmente la Cantina Produttori Valle Isarco) andò ad affiancare l’unica grande realtà storicizzata del territorio, l’Abbazia di Novacella, fulcro primigenio e portavoce luminoso della produzione vinicola dei luoghi, per divenire il provvidenziale bacino di raccolta dei frazionatissimi appezzamenti gravitanti attorno ai masi, fornendo di fatto il primo impulso verso un graduale riavvio delle colture viticole.

20170923_121128Tutti in Valle Isarco divennero conferitori presso la “sociale di Chiusa” o presso l’Abbazia, ed affiancarono il vigneto alla tradizionale coltivazione delle mele e alla produzione di latte. L’affrancamento è storia assai recente, avvenuta per gradi: dalla famiglia Huber (Pacherhof), già imbottigliatrice in proprio a partire dagli anni Settanta, a Peter Pliger del maso Kuenhof negli anni Ottanta, seguiti a ruota da Konrad Augschöll di Röckhof. Fra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila l’esplosione della “indipendenza”, fino ad arrivare alla ventina di realtà attuali, caratterizzate da una dimensione d’impresa piccola, quando non piccolissima. Ed è grazie alla discesa in campo di questo stuolo affiatato di vignaioli-artigiani che la proposta si è arricchita di estri e potenzialità, innalzando sensibilmente il tasso di personalità nei vini e guadagnando consensi e riconoscimento da parte della critica enologica e dei consumatori. Nel frattempo altri vitigni  – altre vocazioni – andavano contribuendo alla elevazione di una nomea: prima il riesling, infine il kerner, le chiavi di volta di un successo crescente e ormai inarrestabile.

SECONDA PARTE LEGGI QUA

Contributi fotografici dell’autore

In ordine di apparizione: vigneto Manni Nossing presso il maso Hoandlhof (Bressanone); vigneti maso Kuenhof ( Chiusa); il vecchio maso Wassererhof (Novale allo Sciliar); vigneti del maso Gump Hof (Presule allo Sciliar); vigneti presso il maso Taschlerhof (Chiusa), panorama dal fiume Isarco sui vigneti di Novacella (Varna); l’altopiano del Renon nei pressi del Rielingerhof (Collalbo/Renon); vista su Tiso e le sue vigne; scatto sui vigneti di Bressanone direttamente dal Kirstenweg, il sentiero delle castagne; panorama su Novacella dai vigneti di Pacherhof; vigna e muretti all’Abbazia di Novacella.

 

FERNANDO PARDINI

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