Recensione/”Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate”, di Stefano Bocchi

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zolleL’assedio di Leningrado fu uno degli episodi più epici e terribili della seconda guerra mondiale. Il numero di morti superò il milione e i sopravvissuti si ridussero a mangiare cani, gatti, topi, erba, rilegature di libri, eccetera. E ci furono quattrordici studiosi, assistenti del professor Nicolaj Ivanovic Vavilov, che lavoravano per l’istituto pansovietico di coltivazione delle piante (oggi istituto Vavilov) come custodi della terza collezione più ricca al mondo di sementi provenienti da tutte le parti del Pianeta, circa duecentomila accessioni catalogate. Furono trovati morti di fame a pochi passi dai semi e dai tuberi che sapevano custodire una straordinaria banca di diversità genetica.

L’agricoltura può apparire come una attività tutto sommato immutabile, un ciclo di semina-cura-raccolta. E invece ha una sua storia, fatta di idee, alcune delle quali hanno costituito delle vere e proprie rivoluzioni. E se le idee rivoluzionarie (breakthrough, direbbero gli anglosassoni, qualche volta contenute in testi agronomici fondamentali come quello del citato Vavilov)  sono sempre affascinanti e importanti, quelle che hanno scandito il progresso dell’agricoltura possiedono un risvolto assai speciale: i loro effetti sono riusciti a sfamare qualche milione di persone in più, consentito un miglioramento delle condizioni di vita, ed una conseguente diversa e maggiore strutturazione della società. Vale la pena allora, per seguirli, leggere questo libro, magari sorvolando sui passaggi più tecnici che difficilmente si possono apprezzare senza una preparazione specifica, proprio perché seleziona e scandisce i momenti più salienti, le pietre miliari del percorso seguito dal genere umano in seguito alla decisione di “autoprodurre” il proprio cibo.

Una decisione, questa,  motivata forse da risultati di caccia sempre più insoddisfacenti e che vide come ideale un territorio indicato come “mezzaluna fertile” che abbraccia a nord la pianura mesopotamica e a sudovest quella del Nilo, ma anche altre regioni nel mondo, asiatiche e americane (preincaiche), dove si riscontrano impressionanti similitudini in alcune procedure agrarie fondamentali. Il primo frumento ad essere coltivato con successo fu il “piccolo farro” (triticum monococcum), ottenuto addomesticando il selvatico Triticum bocoticum e seguito dal Triticum dicoccum. Ma ben presto la dieta si differenziò bilanciando proteine e amminoacidi grazie ad una miscela dei due frumenti citati, un orzo, e quattro leguminose (pisello, lenticchia, cece e vecia). Uomo mangiatore di semi, dunque, e poi di farine, eccetera. Ma anche grande mangiatore di mangiatori di tuberi e radici, questi straordinari “tesori nascosti”, accumulatori di zuccheri e di sostanze di riserva: la patata, ovviamente ben nota, e la cassava, che sfama oltre 800 milioni di persone in giro per il mondo fornendo loro vitamine B e C, sali, carboitrati e calcio.

E se l’agricoltura partì in modo, si direbbe oggi, assai poco sostenibile per il territorio con deforestazioni violente e la procedura slash-and-burn (taglia e brucia) per guadagnare terra coltivabile, attraversò poi fasi, come si diceva prima, di vera e propria rivoluzione come quella della scoperta della rotazione della colture (inizialmente ciclo biennale di coltivazione e riposo seguito dai greci prima e poi dai romani) che si andò raffinando con l’integrazione con l’allevamento attraverso la differenziazione fra ager (terra per la coltivazione), saltus (zona dedicata agli animali), silva e hortus. Un progresso (dovuto anche alla conservazione del foraggio e all’impulso dell’allevamento) che portò ad aumenti demografici consistenti fino alle grandi epidemie del XIV che eliminirono metà della popolazione europea.

Per arrivare poi, passando attraverso la “rivoluzione verde”, all’agricoltura moderna, con la costante crescita di produttività di un ettaro di terra alla quale corrispondono i problemi legati alla dipendenza troppo stretta dalle fonti energetiche fossili, alla sostenibilità ambientale. E alla condizione di vita di chi la terra la coltiva, delle aziende famigliari, che per fortuna la FAO ha riconosciuto essere cellule fondamentali di un tessuto vitale, e che vanno coivolte, aiutate, incoraggiate.

Stefano Bocchi
Zolle. Storie di tuberi, graminacee e terre coltivate.
Raffaello Cortina Editore – Scienza e idee (aprile 2015)
197 pagg. – 19 euro

Riccardo Farchioni

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