Taccuino francese/3: tre giorni in Champagne

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Mercoledì 2 settembre

Sono a Cramant, un paesino di novecento anime della Côte des Blancs, dipartimento della Marna. Al mattino mi sveglio con i rumori della vendemmia: trattori, automezzi, l’acqua che scorre sui marciapiedi (per produrre vino ci vuole molta acqua), gente che va avanti e indietro dalle cantine, le quali occupano ogni angolo del villaggio. Ci sono dei cartelli segnaletici di avviso per gli improvvidi naviganti: “Attention Vendanges”. Le prime luci del mattino accarezzano le vigne dei Grand Cru, le uve di chardonnay, i vignaioli di una luce dorata. Scatto qualche foto e vado in boulangerie a comprare croissant e baguette. Perfino troppo facile dire baguette. Il panificio di un villaggio che non arriva a mille anime ha un repertorio superiore a quelli di Parigi: Baguette, Ficelle, Céréales, Petite Boule, Grosse Boule, Tradition, Gros Pain, Moulée

Sul muro del crocevia antistante c’è una targa che recita:

Cramant trop haut perché, se plaignit à Jupin:
Rome a les eaux du Tibre et Paris a la Seine
Anvers a son Escaut, le Danube est pour Vienne.
Moi je n’ai rien du tout, pas le moindre ravin.
Aussi le Créateur mit fin à sa misère.
Ne gémis plus, dir-il, tu veux une rivière?
Tu seras désormais sur un “Fleuve de Vin”.

Che possiamo tradurre:

Cramant, situata troppo in alto, si lamentò con Giove:
Roma ha le acque del Tevere e Parigi la Senna
Anversa il suo Escaut, il Danubio è per Vienna.
Io non ho niente, nemmeno il più esiguo rivolo.
Allora il Creatore mise fine alla sua miseria.
Non gemere più, disse, tu vuoi un fiume?
Sarai d’ora in poi su un “Torrente di vino”.

Dopo colazione vado più giù a Vertus, mi fermo accanto al casolare di Duval-Leroy e spizzico qualche acino di chardonnay: succoso, acido, minerale. A Le Mesnil-sur-Oger visito il leggendario Clos du Mesnil, superando il cordone di sicurezza giusto perché dopo due giorni ho un appuntamento in azienda. Il vigneto, cinto dalle mura del centro del paese fin dal 1698, misura 1,84 ettari con vigne che dai venti arrivano ai settantacinque anni di età. Le case di Mesnil-sur-Oger si dispongono lungo il suo perimetro, la luce del cielo è tersa, luminose nubi avanzano sospinte da una leggera brezza.

Giovedì 3 settembre

Mi sveglio sul presto, prendo l’auto e vado ad Avize dalla Boulangerie Walle Julien in rue Léon Bourgeois. Ci sono dei piccoli croissant a forma di cornetto (finalmente!) appena sfornati che sono una delizia: croccanti, dolci-salati come piacciono a me.

Dopo colazione sono in viaggio per Reims e alle 10 sono da Ruinart. Fondata nel 1729 da Nicolas Ruinart, commerciante tessile, è la più antica Maison de Champagne. Una quarantina di anni dopo, Nicolas acquista le antiche cave di gesso sotterranee di epoca gallo-romana, chiamate Les Crayères, Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2015, che si riveleranno un luogo ideale per far riposare e affinare le bottiglie della casa. Per vederle si scende per una scalinata a trentotto metri sottoterra e ci si aggira lungo sei spettacolari chilometri di gallerie che scorrono nella pancia della città. Hanno forme piramidali, organiche, maestose, verticali. Effetti di luce, rampe di scale che si susseguono, installazioni artistiche, pupitres e il bianco dominante del gesso in ogni dove. È un luogo magico, di raro incanto. Sulle pavimentazioni è disegnato un lungo nastro, un filo di Arianna che aiuta il visitatore a non perdersi nel dedalo dei cunicoli e delle gallerie.

Leo Kermorgant mi racconta che le prime bottiglie prodotte da Nicolas Ruinart sono state distribuite gratuitamente. I primi ettari, forse dieci, furono acquistati tra il 1825 e il 1830. Oggi sono una ventina, ma gli ettari condivisi dalle cantine che fanno parte del gruppo Möet Hennessy – Möet & Chandon, Dom Pérignon, Veuve Clicquot, Krug, oltre allo stesso Ruinart – sono circa 1650 e la quota maggiore spetta al colosso Möet & Chandon, i cui cippi sono sparsi ovunque in Champagne. Il formato delle bottiglie, spesso criticato per la forma troppo bassa e panciuta, richiama quello originario della maison che a sua volta si ispirava alle bottiglie del tempo per come sono ritratte in un quadro del 1735 esposto al castello di Chantilly. Forse Luigi XV ha assaggiato lo Champagne di Ruinart, di sicuro lo ha fatto Luigi XV. Dal 2006 lo chef de cave è Frédéric Panaïotis.

Lo Champagne Ruinart R Brut (annata base 2017, 45% chardonnay, 45% pinot noir, 15% pinot meunier, unica presenza in una cuvée della casa) ha colore paglierino brillante, una bella freschezza floreale-minerale, un palato avvolgente di succo e sapore, dal brillante taglio acido, asciutto e salivare, con sottofondo ammandorlato. Una cuvée “base” davvero convincente. Lo Champagne Ruinart Brut 2011 (sboccatura febbraio 2019, 51% chardonnay, 49% pinot noir, distribuito solo in Francia) ha colore paglierino brillante, profumi di freschezza erbacea, palato pieno ma frenato da note un po’ vegetali, sviluppo nervoso, fresco e asciutto. Lo Champagne Ruinart Blanc de Blancs Brut (annata base 2017, 100% chardonnay con l’80% di uve che arrivano dalla Côte des Blancs e il restante dalla Montagne de Reims, dallo Sézannais e dalla Vallée de la Vesle) è brillante al colore, ha un bel tono olfattivo calcareo-gessoso con sfumature minerali e input d’agrume. Palato pieno e piacevole, fresco e contrastato, di lietezza minerale, acidità ficcante e sale finale.

La texture soyeuse di Ruinart spicca con evidenza nei due millesimati dedicati al monaco benedettino Dom Thierry Ruinart, figura chiave nella storia della maison. Lo Champagne Dom Ruinart Blanc de Blancs Brut 2007 (sboccatura novembre 2018) proviene dal 100% di uve chardonnay Grand Cru, con il 60% della Côte des Blancs di Chouilly, Le Mesnil e Avize e il 40% del versante settentrionale della Montagne de Reims di Sillery e Puisieulx. Ha colore paglierino intenso e brillante, un naso dal côté calcareo-gessoso, di bella polpa e sale minerale, tessuto saporito, incedere rigoroso e contrastato, allungo modulare, con gran finale ostrico-iodato. La prima annata prodotta è stata quella del 1959, uscita nel 1966, anno che coincide con il primo millesimo del Dom Ruinart Rosé, uscito nel 1973. Lo Champagne Dom Ruinart Rosé 2007 (sboccatura febbraio 2018) proviene per l’81% dallo chardonnay della Côte des Blancs di Avize, Le Mesnil-sur-Oger, Oger, Chouilly e della Montagne de Reims di Sillery e Verzenay, e per il 19% dal pinot noir di Aÿ. Conduce la florealità e il lampone del Ruinart Rosé a una dimensione ulteriore. Colore buccia di cipolla, olfatto fresco-balsamico, riflessi mentolati, sentori di rose ed eucalipti, nuance d’incenso, palato bello succoso, aghi di pino, spezie naturali e freschi frutti di bosco, carbonica sottilissima, finale lungo, saporito, contrastato.

Venerdì 4 settembre

Dopo la consueta colazione con croissant e baguette imburrata, torno a Reims per recarmi da Krug, la Maison fondata dal tedesco Joseph Krug nel 1843 (Olivier Krug, attuale direttore, rappresenta la sesta generazione della famiglia), dove nulla viene lasciato al caso, tutto (ambiente, accoglienza, produzione, immagine) è curato nei minimi dettagli nel nome dell’eleganza, della distinzione, del prestigio. Il perfezionismo della casa, che mira a creare ogni volta qualcosa al contempo di unico (i millesimati) e di ripetibile (la Grande Cuvée), è tutto nel metodo: le cantine ospitano, oltre alla batteria delle pièce champenoise da 205 litri, dove il vino sosta per circa tre mesi, un totale di 400 vasche d’acciaio inox per altrettanti vini individuali: 250 dell’annata in corso, provenienti dai 250 appezzamenti in cui è suddiviso il patrimonio vitato (21 ettari di proprietà più 73 in affitto, con contratti a lunga scadenza, il più antico dei quali è stato stipulato nel 1875), più i 150 dei vins de réserve di dodici annate. Ogni sei mesi viene effettuata la degustazione di ogni singola vasca per comprendere lo stato evolutivo del vino. Il panel degli assaggiatori è composto, oltre che da Rémi e Olivier Krug, da Eric Lebel, chef de cave; Julie Cavil, direttore del reparto enologico; Laurent Halbin, responsabile della vinificazione; Jerome Jacoillot, responsabile della qualità; Margaret Henriquez, CEO di Krug. Che qui non ci siano compromessi, lo testimonia il fatto – me lo racconta Lauren Gatley – che il 1999 del Clos du Mesnil alla fine non venne commercializzato perché l’ultima degustazione non lo giudicò all’altezza del suo rango.

L’arte dell’assemblaggio è al centro della produzione Krug e, in una prospettiva che non vuole essere gerarchica per le vigne e i vini dell’azienda, grandi attenzioni vengono dedicate all’elaborazione della Grande Cuvée, che assembla vini di oltre dieci diverse annate, alcuni dei quali invecchiati quindici anni, che matura per almeno sette anni in cantina e che incarna lo stile maison nel mondo. La Grande Cuvée 168ème édition (52% pinot noir, 35% chardonnay, 13% pinot meunier) proviene principalmente dall’annata 2012, che qui non è stata delle più facili: durante l’inverno e la primavera i vigneti hanno sofferto per il gelo e le piogge, mentre in estate il meteo si è aperto a una stagione così asciutta come non la si vedeva dal 1974. Il risultato è in un bicchiere dal colore paglierino intenso, dai profumi di pan brioche e pan d’épices, di spezie e torrone, di panpepato e agrumi canditi, mentre la bocca, accarezzata da una carbonica leggera, spazia dalle note di brioche alla zesta candita dell’arancia, con chiusura fresco-sapida.

Passando al millesimo 2006 (annata dagli Chardonnay corposi, frutto di un andamento climatico dall’inverno freddo e dall’estate calda ma interrotta da alcune piogge, con un settembre soleggiato), la fiducia nella Grande Cuvée è talmente alta, e naturalmente ben riposta, che la proposta di degustazione, inaspettata, è di assaggiare prima il Vintage.

Lo Champagne Krug Brut Vintage 2006 (48% pinot noir, 35% chardonnay, 17% pinot meunier; sboccatura estate 2008) ha colore paglierino intenso e vellutato, un naso di champignon e scorza d’agrume (bergamotto), con accenno di pan brioche. Al palato l’acidità è brillante, lo sviluppo tonico ed elegante, la carbonica è sottilissima, un soffio, il finale si ammanta di deliziose sfumature gustative e di un allungo di notevole sapore.

Lo Champagne Krug 162ème édition (44% pinot noir, 35% chardonnay, 21% pinot meunier; sboccatura autunno 2016) ha un colore paglierino brillante lievemente dorato, un olfatto che evolve verso le spezie orientali, le note mature di un frutto esotico, i sentori balsamici. Il palato è pieno, succoso, di bella concordanza tra chardonnay e pinot noir, con dinamica gustativa tesa, profonda, e una carbonica lievissima, epidermica, che si stempera in un finale dal tratto sapido, incalzante. Ogni bottiglia di Krug ha nella retroetichetta un codice numero, chiamato Krud ID, che permette di risalire, tramite il sito dell’azienda, ai dati principali della bottiglia.

Nel pomeriggio sono davanti alla Cathédrale de Notre-Dame, capolavoro del gotico francese. Sorge sulla centrale place du cardinal Luçon e ha la stessa imponenza di quella parigina. La facciata è slanciata, pura. Due torre laterali e una moltitudine di rilievi. Celebri e magnifiche le sculture dei tre portali, tra cui l’Angelo del Sorriso, diventato il simbolo della cattedrale. L’interno, a tre navate, si alza in verticale per 38 metri. Lo sguardo rimane sempre rivolto all’insù, la bocca semiaperta, quando non addirittura spalancata, per la meraviglia. I capitelli, tra cui uno dedicato alla vendemmia (sesto pilastro destro della navata mediana), poi le finestre, gli arazzi, i rosoni, e le vetrate multicolori, da quelle del XIII secolo a quelle firmate da Marc Chagall (1974) nella cappella centrale del deambulatorio.

Torno a Cramant. Prima di svoltare in rue Pasteur, dove c’è l’appartamento, mi fermo da Lilibert-Fils, propriétaire-récoltant. Entro nel cortile (nei giorni di vendemmia i cortili delle aziende sono sempre aperti) e suono il campanello al crepuscolo. Mi accoglie Bertrand Lilibert, il titolare, giusto il tempo per un saluto e per comprare una bottiglia del suo Champagne Grand Cru Brut Blanc de Blancs. È un piacevolissimo assemblage alla pari tra l’annata 2016 e vins de réserve. Da uve chardonnay di Cramant, Chouilly e Oiry; sboccato nella primavera del 2020 con un dosaggio di 3 g/l (di fatto un Extra Brut). Non potevo congedarmi senza stappare un vino del territorio.

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Contributi fotografici dell’autore

Massimo Zanichelli

Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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Milanese di nascita, apolide per formazione, voleva diventare uno storico dell’arte (si è laureato con una tesi sull’anticlassicismo pittorico rinascimentale), ma il virus del vino contratto più di una ventina d’anni fa tra Piemonte e Toscana lo ha convertito ad un’altra causa, quella del wine writer, del degustatore professionista e del documentarista del vino. Ha firmato la guida I Vini d’Italia dell’Espresso fin dalla sua nascita (2002-2016) e la rubrica sul vino del settimanale l’Espresso per molti anni. Ha curato le pubblicazioni di Go Wine, ha scritto per le riviste «Ex Vinis», «Grand Gourmet» e «Mood», redatto il Nuovo repertorio Veronelli dei vini italiani (2005) e I grandi cru del Soave (2008). Di recente ha pubblicato “Effervescenze. Storie e interpreti di vini vivi” (Bietti, 2017) e ” Il grande libro dei vini dolci italiani” (Giunti, 2018). Tra i suoi documentari: Sinfonia tra cielo e terra. Un viaggio tra i vini del Veneto (2013), F for Franciacorta (2015), Generazione Barolo – Oddero Story (2016), Il volto di Milano (2016), Nel nome del Dogliani (2017).

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