Alberto Rigon (azienda agricola MaterVi): l’avvenire che vorrei

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Esiste una generazione di giovani che punta diritto e non si ferma nonostante le difficoltà, gli insuccessi o le piccole gratificazioni; una generazione che custodisce la terra per impararne il linguaggio; una generazione che ama i luoghi d’origine, piccoli microcosmi da proteggere e valorizzare.

Alberto Rigon (mai cognome è più veneto) appartiene a una famiglia contadina che oltre ad amministrare il latifondo lavorava in fabbrica. Gente che non si tirava mai indietro quando c’era da sgobbare, o magari lavorare fino a buio, dopo aver già vissuto le quattro mura della fabbrica. Figlio del periodo storico forse più ricco che abbiamo mai vissuto, l’inizio degli anni Novanta, catapultato, come tutto il decennio, verso un’accelerazione produttiva enorme e una mancanza altrettanto grande di silenzio e ascolto, inconsciamente, o guidato da una bussola interiore, si è affezionato alla terra e ne ascolta i dialoghi. Lo incontro nel quartier generale delle Particelle, enclave di giovani produttori biodinamici presso Tenuta L’Armonia. Ero incuriosito e desideroso di misurarmi con il futuro.

-Alberto, cosa avvicina un giovane all’agricoltura e perché questa scelta?

Alberto: a me è sempre piaciuto stare all’ aperto. Mi piace sentire l’aria,  il freddo, il caldo, i colori del giorno che passa. Il mio cuore e la mia testa funzionano meglio fra filari, botti e trattore. A 16 anni ho cominciato a lavorare in una cantina delle mie zone (Maculan), per pagarmi gli studi, e mi sono innamorato della vita da vignaiolo.

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-Cosa hai avuto in eredità dalla tua famiglia e cosa hai imparato a tue spese?

Dalla mia famiglia ho avuto in eredità quella di saper fare lavori manuali, lavorare la terra manualmente. L’esperienza del nonno, di papà, degli anziani della zona di sapersi arrangiare mi hanno formato, sia professionalmente che umanamente.

Ho due versioni da darti su quello che ho imparato a mie spese: quella positiva è stata accettare i tempi della natura. Di mio non l’avrei di sicuro come dote, anche perché ho 29 anni e scalpito tanto per arrivare dove vorrei. Quella negativa, ma che poi è di per sé positiva anch’essa, è che noi dipendiamo dal tempo. Devi accettare che sei sotto il suo capriccio. Puoi lavorare un anno intero e poi il giorno prima della vendemmia grandina e perdi tutto, come è successo. Oppure puoi essere premiato da una grande annata. E’ il tempo a decidere.

-Essere figlio “d’arte” aiuta?

Si, sotto vari aspetti. Quello economico, perché tanti lavori te li fai te. È più facile non demordere, nel senso che acquisisci una tenacia “ genetica “, se così vogliamo dire, una tenacia tipicamente contadina che ti aiuta a prendere le cose con più filosofia.

-La più grande lezione che hai imparato dalla terra

Che non si smette mai di imparare. La terra, la natura ti insegna cose nuove tutti i giorni, sia che tu abbia 20 anni che 80. L’ altro insegnamento è che se hai fame di imparare questo è il mestiere per te.

-Cosa significa essere un vignaiolo “sostenibile”?

Innanzitutto noi non creiamo niente, andiamo solo a raccogliere un frutto. Nel mio lavoro cerco di accompagnare un qualcosa che in natura funziona perfettamente, il mio compito è seguire la vite in tutto il suo percorso intervenendo il minimo possibile, devo solo capire cosa l’annata mi può dare e metterlo in bottiglia. Ti dico una cosa che ti farà sorridere: le bottiglie sono come dei figli per me, io accompagno qualcosa a crescere. Ogni anno è diverso ed è come se tu diventassi padre ogni volta. E’ bellissimo!

-Vinifichi vitigni quasi dimenticati: vespaiola antica, groppella, Pinot Vanderville: un modo di appartenere al territorio o una necessità di rivendicazione?

Entrambe le cose. Ho avuto in eredità da mio padre e da mio nonno vigne di vespaiola  del ’63, del ’72 e del ’97. Mi sento responsabile, molto responsabile. Ho il dovere di preservare questo patrimonio per il futuro ma è anche una forma di rispetto verso le generazioni precedenti che mi hanno lasciato tutto questo. Rispetto per la loro passione e la loro fatica.

-La visione di un giovane enologo e la concezione di un enologo navigato. Quali sono le differenze a tuo parere?

Quello di un esperto vinificatore a mio avviso è un patrimonio spesso statico. Molti enologi navigati continuano a fare le solite cose e vedono nel nuovo una sorta di “ nebuloso pericolo “, che comunque compromette il loro status. Un po’ la solita storia all’italiana, l’enologo famoso che prende il suo bello stipendio, non è più stimolato e non ha più voglia di scoprire. Io sono ancora nei debiti ed è questo che mi fare i salti alla mattina. In questo periodo storico devi essere dinamico e pronto al cambiamento. Facciamo delle cose nuove -mi dico- e se sbagliamo chissenefrega, tanto stiamo creando qualcosa di diverso.

-Qual è la benzina che alimenta il tuo entusiasmo?

La mia terra, a Fara Vicentino. E’ una zona “ degradata “, ma che dico degradata, di più. A una mezz’ora da qui c’è il territorio di Breganze, che è famoso ovunque. Io sto in mezzo al niente invece, dove abitano 7 famiglie con 3 stalle. Ma per me, le mie colline , la campagna attorno al mio paese è la cosa più bella e può dare tanto, capisci? A volte guardo a quello che stiamo facendo assieme ad altri vignaioli ed è favolos,o perché finalmente ci si riconosce.

-Infatti a 29 anni, con le sole vigne in eredità e senza un’azienda già bell’ecche avviata esporti in California, Svezia, Singapore. Addirittura in Francia. Vivi tutto questo come una forma di successo o di riscatto?

Entrambe le cose, il riscatto senza dubbio, per tutta la fatica, l’impegno che ci metto . Il successo invece è merito della collaborazione e della programmazione con Andrea Pendin di Tenuta L’Armonia. Andrea è il volano di questo movimento di agricoltori naturali di queste parti. Oltre a lavorare insieme, ci aiuta ad utilizzare gli stessi canali social ed eventi, così ho trovato gli importatori . Nel 2020 l’estero mi ha aiutato tanto. Sono molto contento che i miei vini siano apprezzati in Francia, a volte penso sia un sogno.

-Qual è la fonte di ispirazione per il tuo lavoro?

La musica. Fare il vino è arte, come la musica. Nella vita di un contadino non c’è mai niente di sicuro, come nella musica. In campagna spesso si improvvisa e si seguono strade nuove, come quando nella musica si cerca la nota perfetta per quel brano o le parole giuste che fanno diventare il tutto un capolavoro. Coltivi la terra e suoni per passione, non per soldi.

– A chi ti senti di dire grazie?

Ad Andrea Pendin di Tenuta L’Armonia che ci lascia vinificare nella sua cantina , ci spinge e ci sprona per andare avanti. Da lui posso utilizzare gli spazi e intervenire sui miei vini quando decido io. Un grazie lo devo alla mia famiglia che mi ha sempre lasciato libero di sperimentare e mi ha dato in eredità il sapere contadino. Ma soprattutto un grazie lo devo a me stesso. Quante volte, demoralizzato, mi dicevo “dai tirati su”. Quante feste, quanti rapporti sociali, quanta roba ho messo da parte per investire su questo progetto che adesso sta avviandosi. Sì, direi soprattutto un grazie a me.

-Cosa diresti ai giovani come te che si apprestano a fare della campagna una scelta professionale e di vita?

Dovete girare per conoscere e imparare. Fare esperienze, vedere come gira il mercato, qualche collaborazione , magari tre o quattro anni in zone diverse, soprattutto all’estero. Se resti a casa e non metti il naso fuori vivi come in una bolla. Quando esci allo “scoperto sbagli, ti danni,  vieni rimproverato, ma è da lì che impari.

-Tre desideri?

Ricavare più tempo al di fuori dell’ambito lavorativo; migliorare il mio stile nella vinificazione, così sarò più tranquillo; mandare a un regime di autosufficienza la mia azienda.

Le righe si dipanano veloci sul foglio bianco, mosse dall’entusiasmo dello scrivere. L’incertezza del futuro si dissolve, mentre la voce e l’entusiasmo della giovinezza mi trasportano nel futuro che vorrei.

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Note di degustazione

Vesplicito 2020 (vespaiola antica 100%). Vigne provenienti da suolo vulcanico e tufo. Quattro giorni di macerazione in acciaio per quella che ritengo costituisca l’anima liquida di Alberto Rigon. Fresco, snello, sapido, con una tensione gustativa sempre presente e stimolante. Un vino che mi fa sentire forte la terra da cui proviene, la cornice stilistica ne chiude il cerchio.

Anonimo 2019 (groppella, merlot, pinot vanderville in percentuali che variano a seconda dell’annata). Vigne provenienti da suolo vulcanico e tufo. Cinque giorni di macerazione per un vino rosso che mi ricorda lo Jura, e spero che il nostro giovane agricoltore non se ne dispiaccia. E’ che riconosco una mano d’Oltralpe che, sicuramente, sfugge alla comprensione mentale dell’autore perché posseduta all’interno del suo animo.

Azienda agricola MaterVi – Via Farneda – 36030 Fara Vicentino (VI)  info@matervi.com

Marco Bonanni

Sono cresciuto con i Clash, Bach e Coltrane, quello che so del vino lo devo a loro.

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