Vini atlantici. A Lanzarote, nelle isole Canarie, in mezzo ai lapilli

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Un viaggio alla scoperta di un luogo unico per il tipo di territorio e di viticoltura eroica. Quando parliamo di unicità ci riferiamo a qualcosa che non ha eguali in tutto il mondo. Alcuni dati possono chiarire perché invece, utilizziamo il termine viticoltura eroica per definire quella di cui parleremo:

·         una superficie di 845 km quadrati in mezzo all’Atlantico (il solo comune di Roma ne conta 1285 di km quadrati);

·         140 coni vulcanici;

·         totale assenza di fonti di acqua locali;

·         quasi nessun percorso formativo per le professionalità della viticoltura, oggi unicamente basata su una tradizione che si rinnova di generazione in generazione.

·         una collocazione davanti al deserto del Sahara, distando appena 140 km dalla costa marocchina;

·         forti e costanti venti Alisei dall’Atlantico.

Ebbene, anche in queste condizioni estreme si può coltivare la vite e produrre ottimo vino. Precisamente ci stiamo riferendo a Lanzarote. Sull’isola dell’arcipelago delle Canarie vive e lavora una connazionale, enologa ed esperta della cultura del vino dell’Isola, la dott.ssa Anna Cataldo, che ci farà da guida nel nostro viaggio virtuale. Se vi abbiamo incuriositi, iniziamo quindi il nostro itinerario fra le viti sommerse da lapilli.

Una lucana a Lanzarote

La storia di Anna Cataldo è davvero particolare e parte integrante e imprescindibile del nostro racconto. Potremmo definirla come una delle tante professionalità in fuga dall’Italia, dove un mix di casualità e determinazione ha fatto in modo che dalla Basilicata si trovi ora in mezzo all’oceano Atlantico.

Dopo una formazione accademica italiana specifica per il settore viticolo, Anna inserisce nel proprio curriculum le prime esperienze presso aziende vinicole valdostane e senesi. Decide poi di partire alla volta dell’Inghilterra, dove approfondisce le competenze in marketing del vino. Proprio durante l’esperienza lavorativa nel settore ricettivo in Valle D’Aosta viene a conoscenza della “strana” viticoltura di Lanzarote, e nel giugno 2018 parte per l’isola.

Qui le difficoltà non sono poche e da subito inizia a lavorare nell’ambito delle strutture ricettive perché per l’ambito vitivinicolo serve lo spagnolo, non l’inglese. Anna non demorde, si fa conoscere nella realtà locale e nel 2019 ha il primo ingaggio per seguire la campionatura delle uve durante la vendemmia per la cantina Los Bermejos. Arriva però la pandemia, e l’enologa lucana resta senza il lavoro stagionale in ambito alberghiero che costituiva comunque la sola fonte di sostentamento. Mettendo mano a risparmi personali, riesce a rimanere sull’Isola e nel aprile 2021 arriva la svolta: viene chiamata nel maggio 2021 a svolgere un lavoro come cantiniera, assistente dell’enologo della Bodega Puro Rofe, un progetto giovane di cantina dove si producono vini naturali tramite fermentazioni con lieviti indigeni. È però la vita del campo ad affascinare Anna, ed è in quest’ambito che vorrebbe creare il suo futuro.  Eccoci quindi arrivati ad oggi, con Anna che ci spiega come si può produrre vino in condizioni tanto estreme.

Questa sì che è resilienza!

Secondo l’enologa lucana Lanzarote è l’esempio di come da una tragedia ci si possa risollevare e, trovando soluzioni inedite, sopravvivere.

Anna Cataldo: “Fra il 1730 e il 1736 si verifica a Lanzarote una spaventosa eruzione vulcanica senza soluzione di continuità. La devastazione provocata dall’evento è tale da cambiare completamente la morfologia dell’Isola. Furono sepolti ben 11 villaggi. Prima del 1730 pare si coltivassero cereali, ma con una terra nera di lapilli non era più possibile. In questa condizione desolante il pietrisco lavico da simbolo del disastro diventa risorsa. I lapilli svolgono infatti una funzione termoregolatrice e riescono ad assorbire e a trattenere l’umidità dell’acqua piovana, della rugiada e dei venti che soffiano costantemente sull’Isola”.

Qual è la particolarità della viticoltura di Lanzarote e perché non si coltiva normalmente la vite?

“In nessun altra isola delle Canarie, né in nessun’altra parte al mondo, si alleva la vite in questo modo. Essendo un importante crocevia commerciale, nell’Arcipelago sono giunte diverse varietà di vite, un vero paradiso della biodiversità viticola. Va detto che alle Canarie non è mai giunta la fillossera che ha devastato i vigneti europei nel XIX secolo. Quindi parliamo di viti a piede franco (piantate senza portinnesto, direttamente nel terreno) e alcune centenarie, che si sono adattate a situazioni estreme come Lanzarote.

Per piantare la vite occorre scavare in profondità sotto la parte di pietrisco lavico detto “rofe” fino a trovare la terra fertile. A questo punto si ricopre parzialmente la pianta con i lapilli, necessari per proteggere la terra fertile; sulla semicirconferenza del bordo della buca si costruisce, inoltre, un muretto a secco detto “soco”, a protezione dei venti.

In pratica, per le operazioni di manutenzione, potatura e vendemmia bisogna scendere nella buca, detta “hoyo”, lungo un camminamento che deve esser sempre il medesimo (in questo modo non si fanno rovinare verso il basso le pietre laviche che prima o poi andrebbero a colmare il fossato). Per quanto riguarda la profondità delle buche bisogna differenziare da zona a zona: la primissima zona dedicata alla viticoltura fu quella de La Gerìa, dove per trovare terreno fertile in cui piantare la vite occorre scavare fino a 3 metri.

Poco distante troviamo la zona di Masdache, dove la terra fertile è a circa 50 cm di profondità sotto il nero manto. A Tinajo invece lo strato di origine vulcanica è stato riprodotto artificialmente ed è profondo circa 20 cm; qui le viti si coltivano con un tipo di allevamento diverso chiamato “Zanja”: le viti sono disposte linearmente all’interno di lunghi fossati e troviamo un muro a secco lineare e continuo invece che a semicerchio attorno ad ogni vite. I filari sono disposti lungo un perimetro quadrato e al centro di questa superficie si coltivano altre colture come patate, cipolle, pomodori, ecc. . Infine c’è la zona di Ye-Larajes nella parte Nord dell’isola, più soggetta al fenomeno dell’abbandono. Ecco però il perché si coltiva in questo strano modo. È un esempio concreto di aridocoltura.

Altra peculiarità è la vendemmia assai anticipata rispetto alle classiche tempistiche continentali. A luglio, grazie al clima, si può iniziare. Infine una peculiarità della viticoltura locale è la manualità. Ogni tipo di meccanizzazione è impossibile: nemmeno un trattore può addentrarsi nei terreni con gli hoyos. Questo fa lievitare notevolmente il prezzo delle uve, arrivando anche a 3 euro al kg per quelle biologiche. “

È sostenibile un tipo di viticoltura così?

“Sicuramente, più del turismo di massa che purtroppo sta invadendo anche Lanzarote. Molti terreni in passato sono stati abbandonati perché si tratta di un lavoro duro, totalmente manuale. Ora ci sono diversi piani di recupero con sovvenzioni. Capita spesso, però, che il proprietario del terreno tenga le sovvenzioni, salvo poi “ appaltare” i lavori agricoli a terzi, che si occupano della gestione del vigneto. Il compenso di questi ultimi è unicamente il ricavato dalla vendita delle uve. Il lavoro in cantina e la parte enologica sono più sviluppati, mentre c’è ancora pochissima conoscenza e formazione per la parte agronomica. Pensiamo poi che non vengono usati tanti trattamenti chimici antiparassitari grazie al clima mite che non permette a tante fitopatologie di attecchire. Quindi è una forma di coltura a basso impatto ambientale, fatte salve alcune eccezioni.”

Quali sono i vitigni e i vini prodotti?

“La varietà più conosciuta e più presente, anche per esigenze commerciali del passato, è la Malvasia Volcanica. Sempre a bacca bianca troviamo la Listán blanca, Diego e Moscatel de Alejandria. A bacca rossa, invece, abbiamo unicamente la Listán negra. Sono stati fatti dei tentativi di introdurre il Syrah, ma con scarsi risultati.

Avvicinarsi ai vini di Lanzarote, senza conoscere alcune di queste informazioni, rende difficile giustificare le loro caratteristiche e il loro prezzo elevato. Con riferimento al terroir di Lanzarote, sono vini molto minerali, con una buona acidità e molte volte con note saline che richiamano sicuramente l’influenza delle correnti marine. Sono vini che si adattano a lavorazioni che permettono interessanti invecchiamenti, così come essere di pronta beva nella stessa annata. Parliamo sicuramente di produzioni molto limitate, che molte volte non riescono a soddisfare le esigenze del mercato.”

Quale sarà il futuro della viticoltura dell’Isola?

“Lanzarote potrebbe essere considerata come un grande laboratorio sperimentale per rispondere a situazioni climatiche come la carenza di acqua, circostanza che si sta verificando in tante altre parti del mondo. Inoltre si tratta di una viticoltura che ha necessità di percorsi formativi specifici per migliorarne la efficienza, per recuperare tutto quello che è abbandonato e perché sia attrattiva come lavoro per le nuove generazioni, affinché tutto non vada perso e dimenticato.

Infine c’è molto da fare anche sul piano del marketing, perché il prezzo di questo vino non sia basso e di conseguenza che la viticultura diventi una fonte di reddito, e non solo passione e romanticismo di chi ha fatto questo lavoro da una vita.”

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Elena Pravato

Se fossi un vino fermo sarei un Moscato giallo Castel Beseno. perché adoro i dolci (prepararli e mangiarli ) e resto fedele alla regola non scritta dei sommelier “dolce con dolce” . Inoltre è trentino come la terra che mi ha adottato. Se fossi uno spumante sceglierei un Oltrepò Pavese perché ricorda la mia Lombardia, dove sono nata e cresciuta. Se fossi un bicchiere sarei un bicchierino da shot o cicchetto, data la mia statura tutt’altro che imponente.

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