Modigliana Stella dell’Appennino 2022: “This is fine wine!”

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L’esclamazione nel titolo è presa a prestito dalle parole del giornalista inglese Walter Speller durante la seguitissima masterclass che ha ripercorso 30 anni di vino in Romagna, evento-clou della sesta edizione di Stella dell’Appennino tenutasi il 10 e 11 settembre scorsi a Modigliana.

Sì perché il termine “fine wine” non è casuale: per chi conosce la zona, fa parte di un percorso di avvicinamento a un’ottica internazionale, una volontà di staccarsi da un’idea di vino da fascia medio-bassa per il sangiovese di Romagna per inquadrare un obiettivo ambizioso: collocare il proprio territorio nel gruppo di quelli capaci di produrre vini di alta gamma in senso globale.

Piccoli, determinati, organizzati
Come possano aver fatto undici piccoli produttori di un comune dell’Appennino romagnolo a organizzare una manifestazione tanto focalizzata e ben organizzata come Stella dell’Appennino ’22 potrebbe sembrare sorprendente nel contesto italiano del coltivare ciascuno il proprio orto. Proprio per questo Stella ’22 ha rappresentato una svolta, tanto da far scrivere alla giornalista angloamericana Carla Capalbo (Decanter): “Qui sta succedendo qualcosa d’importante”.

Il borgo di Modigliana con alle spalle gli affioramenti rocciosi marnosi e la Rocca dei Conti Guidi

Un pizzico di storia
Facciamo un passo indietro. Cos’è Modigliana? È terroir romagnolo specifico di un comune a ridosso dell’Appennino Toscoemiliano, è 350 ettari vitati a storica vocazione sangiovesista, è matrice omogenea di suoli d’impronta marnosa-arenaria, è quote altimetriche interessanti, è forte presenza di boschi, speziature e verticalità.

La storia del vino nelle vallate di Modigliana ha un percorso fortemente influenzato, nell’800, dall’industria del baco da seta: in questa zona si allevavano i bachi e le donne erano specializzate nella raccolta e nella prima lavorazione del filo di seta, che poi veniva venduto alle industrie di Como. Poter fare affidamento su un reddito sicuro dato dalla seta voleva dire lavorare la terra con maggiore libertà, senza l’assillo della fame, quindi significava lo sviluppo di una buona agricoltura di orto e di vigna.

L’avvento della filiera cooperativa cambia poi l’approccio: quando i criteri fondamentali divengono il grado alcolico e i quintali a ettaro, la viticoltura appenninica non regge più. Si iniziano a spiantare le vigne in alto, nessuno imbottiglia più. Per dare un termine della questione, quando Castelluccio imbottiglia la sua prima annata nel 1979, nella Romagna collinare erano rimaste soltanto 4-5 realtà in totale. Il fatto che a Modigliana siano rimasti 450 ettari vitati (nella vallata a sud, quella di Meldola, sono solo 22) è dovuto alla matrice del terreno che apporta molta acidità: grazie a questa caratteristica la locale cantina sociale Intesa produceva spumanti, e questo ha permesso di mantenere una certa quantità di superficie vitata.

Ma veniamo a oggi. Oltre al territorio fortemente caratterizzato, ciò che ha permesso al gruppo di vignaioli di Modigliana di rivendicare con forza la menzione della sottozona Modigliana sulle etichette dei loro vini è stata l’interazione assai peculiare di tre fattori: una capacità di comunicazione verso l’esterno autorevole e esperta, portata dal giornalista Giorgio Melandri (a sua volta produttore con il progetto Mutiliana); una visione di vino territoriale coerente e riconoscibile data dall’enologo Francesco Bordini (Villa Papiano), e una preparata sponda legale capace di portare avanti le istanze della sottozona in seno al Consorzio data da Renzo Maria Morresi (Casetta dei Frati). Tre figure di produttori dotati di competenze specifiche in grado di fare da polo attrattivo per altri vignaioli e innescare un virtuoso gioco di squadra. Sì, qui sta proprio succedendo qualcosa d’importante.

Presentazione di Stella 2022: Francesco Bordini, Giorgio Melandri, Renzo Maria Morresi, Manuela Rontini, Alessandro Mureddu

Un discorso di riconoscibilità
Due giornate fitte di appuntamenti, a partire dal pomeriggio del sabato 10 con la conferenza di accoglienza e la presentazione del territorio di Modigliana, in cui il presidente dell’associazione Renzo Maria Morresi ha sintetizzato il percorso dell’associazione Stella dell’appennino:
“Stiamo facendo un discorso di riconoscibilità: i nostri vini hanno più cose in comune di quante li dividano. È un percorso a tappe, e quest’anno cerchiamo di ricostruire il filo logico delle annate. Proprio qui, alla Casetta dei Frati, c’è stato il primo imbottigliamento negli anni ’70 con Romano Maglioni; e poi dobbiamo ricordare un evento successo nel 1989: in quell’anno, poco prima della caduta del Muro di Berlino, Gorbacev fu ricevuto al Quirinale da Francesco Cossiga. Nella cena di gala venne servito un vino di Modigliana, il Ronco del Re di Castelluccio, pensate che onore. È stata una meteora, ma soprattutto un segno per noi oggi. Si trattava di un Sauvignon, ma soprattutto di un grande vino di territorio”.

Il premio Stella dell’Appennino 2022 ricavato da un blocco di arenaria

Il Modigliana bianco e la rivendicazione della sottozona
E poi la novità di questa edizione, ovvero la nascita del Romagna Bianco Modigliana, a partire dalla vendemmia 2021, un vino a base trebbiano (minimo 60%) con saldo di sauvignon e chardonnay. Non è al momento possibile la presenza dell’albana, in quanto esiste la DOCG Romagna Albana, ma l’associazione sta lavorando per poter avere maggiore libertà varietale, in un ottica dove è il territorio a prevalere sul vitigno.

“Noi siamo convinti che l’originalità ce l’abbiano anche i nostri bianchi – è Giorgio Melandri a proseguire -. “È stato importante che la sottozona Modigliana abbia avuto questa possibilità, è stato difficile e ci sono state molte battaglie. L’idea di un vino indipendente dai vitigni è stata molto osteggiata da altre sottozone”.

Si tratta infatti di una visione di rottura che ha preso in contropiede coloro che un progetto analogo non lo avevano. Ma quello di Modigliana è un percorso da apripista, e una volta individuata la strada c’è da scommettere che altri esploreranno questa possibilità. C’è da dire che – tornando a parlare del Romagna Sangiovese – la rivendicazione delle sottozone (ad oggi sono 16 le MGA) è ancora un discorso limitato: su un totale di 6 milioni di bottiglie di Romagna Sangiovese DOC, solo 400.000 rivendicano la sottozona, e tra queste il grosso si gioca tra Modigliana (circa 80.000) e Predappio (120.000).

Francesco Bordini

La Carta delle annate
A Francesco Bordini spetta il compito di presentare la Carta delle annate, un lavoro di ricostruzione dal 1990 al 2021 al fine di fornire uno strumento di comprensione in più per i vini di Modigliana: “Il vino è l’unico prodotto agricolo che vince il tempo, e un territorio come Modigliana ha le caratteristiche ottimali per vincere il tempo. La nostra storia è ancora molto breve, l’unico modo per crescere velocemente è la condivisione, intesa sia come condivisione tra noi produttori sia con il mondo del giornalismo. Abbiamo l’ambizione del fine wine, ma sappiamo che siamo gli ultimi arrivati, dobbiamo scoprire appieno il valore della territorialità”.

Un discorso di prezzo
Guardando ai numeri del Romagna Sangiovese DOC (6500 ettari e 6 milioni di bottiglie) si nota che il prezzo si attesta su valori assai bassi sul mercato, attorno ai 3 auro franco cantina; le 400.000 bottiglie che rivendicano la sottozona ottengono prezzi maggiori, sui 7 euro, e non potrebbe essere altrimenti: in Appennino le rese sono attorno ai 50 quintali a ettaro, puntare sulla quantità è una sfida persa in partenza.

Quello a cui puntano i produttori di Stella dell’Appennino è lavorare in parallelo sulla qualità, sulla comunicazione e sul prezzo in modo da ricollocare i vini di Modigliana in un segmento superiore. Il percorso è però molto lungo e pieno di insidie, prima fra tutte la tentazione di inseguire i Sangiovese toscani: il Chianti Classico e il Brunello sono realtà totalmente differenti, cercare di emularli sarebbe insensato.

Alle presentazioni è seguita la cena con l’assaggio dei vini bianchi e dei Sangiovese, serviti dai sommelier AIS della delegazione romagnola. Anche qui un segno che racconta lo spirito di collaborazione tra i produttori di Stella: i piatti serviti sono stati cucinati dagli agriturismi di due produttori, Luca Monduzzi (Il Teatro) e Emilio Placci (Il Pratello). Un dettaglio bellissimo, da non sottovalutare.

La giuria professionale in blind tasting per il premio Stella dell’Appennino 2022

L’annata 2019
La domenica mattina è stata dedicata al Sangiovese annata 2019: annata iniziata con un germogliamento precoce rispetto alla media, a fine marzo, senza problemi di gelate, ma con un’anomala ondata di freddo e pioggia nella seconda metà di maggio che ha comportato un ritardo della fioritura di 10 giorni sulla media storica. La fase vegetativa è stata dunque assai complessa, con la parte finale da metà agosto alla vendemmia caratterizzata dal caldo. La piena maturazione è stata raggiunta gli ultimi giorni di settembre, in anticipo rispetto alle medie (va detto che il riferimento delle medie sta rapidamente cambiando e quindi è difficile avere termini di paragone indicativi). Il finale di stagione caldo ha accelerato la maturazione, lasciando in alcuni casi una certa ruvidità nei tannini.

Il premio e i campioni svelati

Il premio Stella dell’Appennino
Una volta inquadrata l’annata è stato il momento del premio Stella dell’Appennino, in cui sono stati degustati alla cieca nove sangiovese annata 2019 dei produttori dell’associazione, giudicati dai giornalisti e dai professionisti presenti. Un’occasione interessante per rintracciare alcuni filoni del Sangiovese delle tre vallate modiglianesi, Ibola, Tramazzo, Acerreta: vini giocati su due linee-guida, quella della verticalità speziata (la speziatura è un tratto caratteristico dei sangiovese modiglianesi, indipendentemente dal tipo di affinamento) e quella di una maggiore impronta fruttata. Bella la matrice comune romagnola di un Sangiovese sanguigno, a tratti nervoso e mai scontato o seduto. Pochi i segnali di affaticamento dal calore dell’ultima fase maturativa.

Ad aggiudicarsi il premio di Stella dell’Appennino come miglior sangiovese 2019 è stato il Romagna Sangiovese Papesse 2019 di Villa Papiano. Un sangiovese verticale, dal bel bilanciamento tra tannino e acidità e dotato di ottima lunghezza.
Nella mia personale classifica ho appuntato il Romagna Sangiovese Tramazzo di Mutiliana, elegante e complesso, fine nel tannino setoso e di splendido equilibrio tra verticalità e morbidezza, e il Romagna Sangiovese Cucco Nero di Lu.Va., dotato di finezza e profondo impianto balsamico.

Walter Speller introduce la Masterclass sui 30 anni di Sangiovese in Romagna

La Romagna in 30 annate: il gran finale con Walter Speller
Tutto esaurito da settimane, 115 degustatori, 30 annate di vini di Romagna dal 1992 al 2021, è il momento della degustazione guidata dal giornalista Walter Speller, uno dei massimi conoscitori del vino italiano e collaboratore di Decanter e Jancisrobinson.com.
Speller parte dal termine “terroir”, a suo avviso fuorviante, perché troppo vago (cento anni fa aveva una accezione negativa) e ne propone come contraltare l’alternativa tracciata da Mario Soldati in Vino al vino: Soldati ha una idea onnicomprensiva di terroir come “spirito” di un luogo, che include quindi il lato esperienziale, la tradizione.

“Non mi piacciono le commissioni di assaggio che bocciano i campioni in base a una fantomatica idea di aderenza a un canone. Preferisco non l’origine, ma l’originalità”, sintetizza Speller. “Io cerco la trasparenza nei vini, mi piace quando vedo che la mano di chi li fa è limitata al minimo. Tanto sangiovese ha rovinato la reputazione di questi territori: io voglio esser parte di questo cambiamento, perché this is fine wine!

Gli fa eco Giorgio Melandri, che si riconnette al concetto spelleriano di ‘Post-modern wines‘: un’idea di vino che ha fatto pace con la sua tradizione, che ha smesso di voler somigliare ad altro (i Sangiovese toscani sono stati da sempre un termine di paragone ineludibile, fonte di ansia da prestazione per i produttori di Sangiovese romagnolo): “Abbiamo ri-trovato la nostra storia, delineando una strada nuova”.

Ecco le venti bottiglie per trenta annate, suddivise in quattro capitoli temporali, dagli esordi ai giorni nostri. I virgolettati (ove non diversamente specificato) sono ripresi da Speller. Dove non specificato tra parentesi, i vini sono di Modigliana.

Capitolo 1 – Visionari e sognatori, le prime esperienze

1992 Castelluccio, Ronco dei Ciliegi
“Su Castelluccio ho iniziato a capire che c’è questa tipicità del verde sul sangiovese di Modigliana, un verde nobile che aggiunge complessità.”
Cuoio, cipria, tabacco, frutti rossi, agrumi, note ferrose, con uno sviluppo in bocca elegante: “A truly fine wine!”

2001 Il Pratello, Badia a Raustignolo
Emilio Placci negli anni Novanta piantò vigne a 500 metri in valle Ibòla, iniziando a fare vini che la Romagna ha iniziato a comprendere dopo molti anni. Si ritrova sia la nota territoriale (verde, boscosa), sia la mano personale di Emilio.
“All’inizio si notava una nota ossidativa, quasi marsalata, ora è stupendo in bocca, complesso e profondo, con tannini bellissimi, super elegante!”

2001 Zerbina, Pietramora (Marzeno)
Cristina Geminiani l’ho voluta conoscere perché ero incuriosito dal fatto che avesse piantato vigne ad alberello qui. Lei ha dato moltissimo al vino di Romagna di qualità. Il Pietramora ha un colore giovanissimo, nessun impatto aranciato, l’apporto del legno è in linea con la frutta. Ecco la sapidità della ciliegia e un tannino muscoloso ma fine. Potente ma non pesante.”
Cristina Geminiani è in sala, emozionata, e aggiunge il suo racconto: “Ho capito che c’era la potenzialità per l’alberello. E continuerò a piantarlo nonostante tutto. In Romagna si vive molto bene, e per questo abbiamo la tendenza a rimanere stanziali: dobbiamo smuoverci!”

2001 Calonga, Michelangiolo (Oriolo)
“Tabacco, ciliegia, scatola dei sigari. Bocca con attacco agrumato, frutta rossa coperta di tannini. Il tannino dà personalità, ha ancora tanta strada davanti.

2004 Il Pratello, Mantignano
“Naso gorgeous, cuoio vecchio e cardamomo. Elegante e fluido, ha un tannino finissimo, un palato fantastico, vellutato”.
“È uno dei vini di Romagna più buoni di sempre -interviene Melandri-, vendemmiato a inizio novembre, prese i Tre bicchieri e sconvolse il sistema.”
Concordo appieno, il migliore assaggio dell’intera degustazione; emozionante.

Capitolo 2 – La conquista dell’identità

2008 Casetta dei Frati, Framonte
Affinato in acciaio, vino ancora in vendita. Frutta, susina selvatica e mineralità, tannino superfine e presente, bell’equilibrio frutto-tannino.

2008 Costa Archi (Gabriele Succi), Assiolo (Serra)
Dalla sottozona Serra, argille rosse della prima fascia collinare tra Faenza e Imola. Succi descrive la 2008 come un’annata quasi perfetta. Speller: “Per essere un ‘vino base’ è più che vivace, con questa nota di malto, poi ciliegia e susina e un accenno di porcino.” Determinato, focalizzato e espressivo, di carattere.

2010 Paolo Francesconi, Limbecca (Marzeno)
Nelle parole di Paolo Francesconi: “Nasce su argille rosse, sottozona Marzeno, a circa 85 metri di quota. Si tratta di argille ferrose povere di calcio, affina solo in acciaio, l’ho imbottigliato nel 2011”. Ricorda Melandri: “È uno di quei vini che irruppe sulla scena romagnola: vini di qualità ma senza legno.” Ha una gran freschezza balsamica e sostanza.

2013 Villa Papiano, Modigliana I probi
Quote importanti attorno ai 500 metri, valle Ibola che accentua le speziature e richiamano all’agrume (mandarino, sanguinella). “Dal 2009 c’è stata la svolta, Francesco Bordini ha preso maggiore libertà. Al naso si segnala una nota selvatica, quasi spezia esotica. Bocca freschissima di tamarindo, lunghissima, elegante, dal tannino molto fine”. Uno degli assaggi top della degustazione.

2013 Nicolucci, Vigna del Generale (Predappio Alta)
Alessandro Nicolucci presenta questo classico di Romagna partendo dal suolo: a Predappio Alta un tempo c’erano miniere di zolfo, è un terreno particolarmente magro. “Old School, naso interessante, tannino fine e sabbioso, frutto super integro.”

Capitolo 3 – La lettura territoriale

2015 Mutiliana, Modigliana Acereta
Balsamicissimo, caramella di rabarbaro e note di idrocarburi. Mineralità e equilibrio acidità/frutto.

2016 Il Teatro, Modigliana Violano
Suggestioni di foglia autunnale, bocca di frutta croccante, eleganza e profondità, soli 12,5 gradi alcolici: “è una carta importante che il vino italiano può giocare: sono più freschi del loro tenore alcolico”.

2016 Mutiliana, Modigliana Tramazo
Spezia scura, pietra, è “teso, nervoso, super elegante”.

2016 Villa Papiano, Modigliana I Probi
“Selvatico ciliegia, purezza fruttata; lunghissimo il tannino, la bocca è sorprendente”.

2017 LU-VA, Modigliana Carbonaro
Le vigne si collocano a cavallo tra le valli Acerreta e Tramazzo. Masticabile, ricorda la ciliegia durone matura, caldo ma integro. “Bellissimo equilibrio, il tannino è forte ma non crudo, ha frutto compatto e mineralità”.

Capitolo 4 – Il futuro è artigiano

2019 Pian di Stantino, Pian
Andrea Peradotto è un ‘cacciatero di vigne abbandonate’. Il Pian nasce nell’ultima vigna del comune di Modigliana prima del confine con Tredozio, a quote rilevanti, su suoli misti di argilla e arenaria. Le macerazioni sono lunghe (90 giorni), la fermentazione è spontanea. Integrissimo, con un frutto croccante e pepe nero, sembra addirittura troppo facile da bere.

2019 Gallegati, Brisighella Corallo Nero (Brisighella)
Cesare Gallegati definisce Brisighella un terroir che apporta potenza ai vini, dà vigore; i suoli sono al confine tra diverse zone di argille grigie, bianche, rosse. A mio avviso una nota alcolica in eccesso. “Ancora chiuso, nota di pietra, tannino ‘gripping’. Però c’è talmente tanta frutta da bilanciare. Fitto, lungo”.

2020 Menta e Rosmarino, Modigliana Area 8
Vigne impiantate negli anni ’70 strappate ai rovi, tanto bosco tutto attorno. Macerazione di 8 giorni, affinamento in solo acciaio. “Naso interessante, c’è volume sul palato, sostanza senza pesantezza”.

2020 Castelluccio, Ronco della simia (anteprima)
“Succulenza di frutti rossi, tannino giovane ma finissimo, molto equilibrato, di gran livello”.

2021 Fondo San Giuseppe, Modigliana Acerreta
Nelle parole di Stefano Bariani: “ È la mia prima etichetta ‘Modigliana’ e non lo scorderò mai.”
“Freschissimo, croccante, saporito e pepato (Speller). Il tannino giovane per adesso asciuga un po’ ma aumenterà ancora in eleganza”.
Proprio sulle risonanze del Modigliana di Bariani, Speller chiude la sua masterclass con una esortazione: “No al rifiuto della complessità. Complessità è fare un vino originale”. Può calare il sipario su questa meravigliosa Stella dell’appennino 2022.


Appunti personali

Prima di tutto voglio ringraziare l’associazione Stella dell’Appennino per la bellissima ospitalità e l’organizzazione fatta col cuore. Tanta, tantissima sostanza.

Un plauso lo devo fare a Giorgio Melandri per la capacità di trascinatore discreto di questa associazione. Il suo progetto di vinificare separatamente i vini delle tre vallate è di fondamentale importanza per approcciarsi al vino di Modigliana e al vino d’Appennino in generale. Dei suoi sangiovese 2019 ho apprezzato soprattutto l’Acereta, già più aperto e espressivo rispetto al Tramazzo e Ibòla.
E poi Francesco Bordini di Villa Papiano, portatore di uno sguardo a lungo raggio sui vini del territorio, e capace di creare vini d’altura e di finezza. Degli assaggi mi sono piaciuti i Probi 2018 per compattezza e capacità di lettura dell’annata, e il Sangiovese Modigliana Vigna Beccaccia 2020, fresco, speziato, bellissimo.

Conoscere Renzo Morresi di Casetta dei Frati è fare un’esperienza di cortesia accogliente, di visione, di narrazione storica. Dei suoi vini posso dire di essere stato fortunato ad assaggiare il Fracielo 2009, uno chardonnay sbalorditivo che dopo 13 anni regala note di ostrica e idrocarburi, vivo e sfaccettato. Splendido il trebbiano Fragelso 2019 giocato tra un naso fresco di albicocca e agrumi e una bocca tesa di acidità e sapidità. Il sangiovese Framonte 2015 da vigne in Modigliana è fitto, dotato di tannino setosi, lungo e profondo.

Non posso non ringraziare per la carica empatica e la capacità di lettura del territorio Stefano Bariani di Fondo San Giuseppe, capace di incantare con la sua esplosiva albana Fiorile, l’elegantissimo e marino trebbiano Tèra, e il sangiovese dalla vallata dell’Acerreta che nella giovanissima anteprima 2021 è speziatissimo e promette grandi cose.

 

Mi preme di ricordare lo sguardo di Emilio Placci de Il Pratello, colonna storica del Modigliana, inafferrabile sperimentatore, capace di dare ai suoi vini un imprinting al tempo stesso malinconico e di gioiosa noncuranza delle mode, di calda solidità. Il Mantignano 2012 e il Badia a Raustignolo 2011 colpiscono per la dialettica tra sensazioni mature e una infiaccabile profondità salina.

Mi resta a mente il carisma determinato di custode delle sfaccettature dei terroir di Andrea Peradotto, dell’azienda Pian di Stantino: i suoi cru di sangiovese Pian 2020 (Tramazzo, vigne a 500 metri, raffinato e gastronomico) e Buscamara 2021 (vigne a 700 metri speziato, pepato, fuori dagli schemi) impressionano per personalità, espressività e capacità di racconto. Tenetelo d’occhio, Andrea è un fuoriclasse.

E poi Luca Monduzzi, vignaiolo de Il Teatro. Coinvolge la sua passione, convince molto il suo Violano 2021, da vecchie vigne sul monte Trebbio di Modigliana, austero e raffinato, dal bello sviluppo sapido-speziato, ancor meglio il Violano ’20 tinteggiato di spezia scura e lunghezza straordinaria. Semplicemente favoloso La Roncia 2020, da una vigna del 1970 a 350 metri, scuro, boscoso, fittissimo al naso e in bocca sapido e ampio.

Di Torre San Martino mi ha convinto il Vigna 1922 2018, complesso, speziato e profondamente sapido e lungo.

Di LU.VA. mi è piaciuto il Cucco nero Riserva 2019, altri vini invece li ho trovati più interlocutori, ma il terroir c’è tutto, a cavallo tra la valle Tramazzo e l’Acerreta.

Che bello poter assaggiare i vini di Ronchi di Castelluccio, l’azienda che ha di fatto iniziato la storia del vino di qualità a Modigliana. Dopo due passaggi di proprietà oggi con Aldo e Paolo Rametta e Cristiano Vitali è in grado di riprendere il filo interrotto: vini di alto livello, complessi e di fattura finissima. Colpisce la potenza tannica del Buco del Prete 2020 (sangiovese dalla valle Acerreta), e l’anteprima del Ronco della Simia 2020, ancora giovanissimo ma raffinato e potente, tannino di bellissima densità, fattura sartoriale.

Romagna pop con Francesco Vandi e Luciano Plazzi di Menta e Rosmarino: i loro sangiovese Area 8 e Area 66 (valle Ibola bassa zona San Cassiano) affascinano per la pulizia, la serenità realizzativa, la mano felice. Sangiovese puliti e profondi. Il bianco sur lie Area 18 è uno scherzo venuto su benissimo, dalla beva instancabile. Ma di loro ne riparleremo a breve!

Foto dell’autore, tranne la prima di W. Speller e il pubblico della Masterclass, fornite da Stella dell’Appennino.
Evento tenuto il 10 e 11 settembre 2022 presso il Borghetto di Brola via dei Frati 6, Modigliana.

 

 

 

 

 

 

Paolo Rossi

Paolo Rossi (p.rossi@acquabuona.it), versiliese, laureato in lettere, lavora a Milano nel campo editoriale. Nel vino e nel cibo ricerca il lato emozionale, libertario, creativo. Insegue costantemente la bottiglia perfetta, ben contento che la sua ricerca non sarà mai appagata.

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