La Georgia del vino: la storia millenaria, l’anfora, le autoctonie. E un crescente interesse da parte dei mercati del mondo

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“Tutti pazzi per i vini georgiani”. Avremmo potuto intitolare così questo articolo, ma ci sembrava un po’ riduttivo. Già, perché le cantine georgiane, poche ma di entità ragguardevoli, puntano ad essere qualcosa di più di una moda del momento: l’obiettivo è quello di poter affermare stabilmente la propria posizione nel panorama enologico internazionale, e di non rappresentare solo una meteora grazie all’ultima tendenza.

Infatti la Georgia ha alle spalle una storia enologica millenaria e pertanto, grazie a un’operazione di modernizzazione della produzione, si punta all’eccellenza e ad un mercato medio-alto. Per conoscere il perché di questo crescente interesse nei confronti dei vini georgiani, confermato anche nell’ultimo Merano Wine Festival, abbiamo interpellato una voce esperta ed autorevole, quella dell’enologo Alessandro Bellotto della Giotto Consulting.

Giotto Consulting è attiva a livello mondiale con diversi progetti di consulenza, dall’India alla Romania, sino alla Georgia. Gli esperti della società veneta sono richiesti da molte realtà vitivinicole estere per il loro supporto tecnico che va dall’impianto del vigneto sino all’imbottigliamento. Proprio per questa attività Alessadro, circa 5 volte all’anno, si reca personalmente in Georgia presso la Cantina Tbilvino. Dapprima è d’obbligo una breve introduzione del dott. Bellotto per comprendere la situazione enologica attuale del Paese ex-URSS.

Alessandro Bellotto (a sx) con il direttore tecnico Zviad Loladze della Cantina Tbilvino

In Georgia le realtà produttive principali sono 4 o 5,  fra cui appunto la Tbilvino, che seguiamo sia dal punto di vista agronomico (grazie all’esperienza del dott. Fabio Sorgiacomo) che enologico. Tbilvino produce circa 6 milioni di bottiglie all’anno e rappresenta un esempio di quanto le realtà medio-grandi stiano investendo in qualità, dalla vigna alla cantina. I riconoscimenti, poi, non tardano ad arrivare: Tbilvino ha vinto la medaglia di bronzo nell’edizione 2022 del Decanter World Wine Awards con l’Alazani Valley. La Cantina possiede circa 400 ettari e punta ad acquisire ancora più terre, con l’obiettivo di vinificare solo uve di proprietà. La media degli agricoltori georgiani possiede piccolissimi appezzamenti e a differenza di altre realtà come quella italiana non sono soci conferitori di una cantina cooperativa. Si tratta di viticoltori che poi vendono la propria uva a realtà del territorio più grandi.”

“Che prezzo ha l’uva in Georgia?”

Alessandro Bellotto: “È molto variegato: si va da 20 centesimi fino a 5 euro al kg. Questo dipende dalle zone da cui proviene l’uva. La più grande area vocata alla coltivazione della vite è quella orientale di Kakheti, dove si concentra l’80% della produzione enologica nazionale. I prezzi dell’uva più elevati si registrano nella parte occidentale, dove invece c’è una produzione di nicchia, in altitudine, fatta con vitigni tardivi e autoctoni tipici della zona. Le operazioni in vigna, dalla potatura alla raccolta, sono invece totalmente manuali.”

“Il territorio georgiano presenta delle criticità per la viticoltura?”

“I territori di Kakheti sono protetti dalle montagne, gli inverni sono freddi e le estati molto calde, come in una tipica situazione da clima continentale. Per esempio nell’estate 2022 non è mai piovuto, nemmeno una volta, da giugno a settembre. Grazie agli impianti di irrigazione a goccia è stato comunque possibile portare ad un corretto punto di maturazione le uve aziendali.”

La Georgia è considerata la culla del vino, la regione dove nacque migliaia di anni fa la produzione del dolce nettare. In questo Paese molte famiglie producevano -e producono- piccole quantità di vino fatto in casa per il consumo famigliare, ma la tecnica enologica è davvero curiosa, si tratta perlopiù di bianchi macerati in anfore di terracotta da circa 20 ettolitri, chiamate Qvevri, sepolte sotto il livello del terreno; all’esterno rimane solamente l’orlo dell’otre. I Qvevri, o Kvevri, hanno origini antichissime, i primi prototipi pare risalgano addirittura al 6000 a.C. Anche per questo motivo il metodo di vinificazione con le anfore qvevri è stato insignito del riconoscimento dell’UNESCO quale Patrimonio dell’Umanità. Sotto terra la temperatura è costante, e questo favorisce una conservazione ottimale del vino. In tal modo si producono i cosiddetti Orange Wine, vini bianchi macerati che assumono una colorazione ambrata.

“In Georgia si producevano poi dei vini rossi tradizionali molto zuccherini (40/50g/l), solitamente prodotti a partire da uve Saperavi. Questa tipologia era molto apprezzata dal palato dei consumatori russi e delle ex repubbliche sovietiche’’.

“Quali conseguenze ha avuto per lo sviluppo enologico georgiano questa dipendenza dalla Russia, approdo sicuro delle bottiglie locali esportate?”

“Sicuramente, prima della caduta dell’Unione Sovietica si è verificato un appiattimento della produzione vinicola. La proprietà privata annullata ha portato a micropossedimenti di pochissimi ettari. Questi piccoli viticoltori erano troppo poveri per fondare delle cantine. Si producevano solo vini dolciastri, di qualità non particolarmente elevata, perché comunque sul mercato erano praticamente già collocati: prendevano la via diretta verso la Russia quale unico partner (o quasi) a livello commerciale. Un vero peccato, per un Paese con ben 500 varietà di vitigni autoctoni! Con la caduta dell’Unione Sovietica la Georgia ha rivolto il proprio interesse verso nuovi mercati, oltre i confini sovietici, un’operazione di internazionalizzazione guidata ovviamente dalle cantine più grandi, che ha portato questo Paese a produrre vini secchi di fascia medio-alta. Quest’ultimi sono apprezzabili anche dai palati più raffinati come quelli europei ed americani, senza però perdere la loro impronta unica e senza necessità di emulare lo stile occidentale.”

“Potremmo parlare di una globalizzazione in senso buono in questo caso?”

“Le cantine del Paese hanno iniziato a partecipare a fiere ed eventi internazionali, a cercare importatori, a far conoscere le proprie bottiglie, che non sono naturalmente solo gli Orange Wine. Le aziende più grandi hanno iniziato a curare il packaging in modo da renderlo conforme all’estetica europea. Questo ha agevolato la Georgia durante la crisi ucraino-russa poiché le maggiori aziende locali si erano già sganciate dall’export russo, e qualora fossero stati ancora attivi dei canali di vendita si trattava comunque di volumi commerciali che producevano scarsi margini di fatturato. Per la Tbilvino, ad esempio, il volume d’affari dell’export verso la Russia era già ridotto, ciò ha consentito all’azienda di superare in modo positivo anche la situazione geopolitica attuale.”

Il dottor Bellotto, poi, riassume efficacemente in 3 punti i motivi del crescente successo del vino georgiano: “La stessa situazione di progressiva affermazione sul piano internazionale la stanno vivendo anche Paesi come la Romania o l’Armenia, ma a differenza di questi la Georgia ha tre punti di forza:

·  una tecnica antichissima di vinificazione in anfora, che sta catalizzando l’attenzione degli esperti di settore in quanto che, a livello globale, si sta riscontrando un crescente interesse verso questi particolari vasi vinari;

·  una varietà incredibile di uve autoctone (circa 500), anche se soltanto alcune decine vengono impiegate stabilmente per la produzione enologica; questi vitigni difficilmente sono paragonabili ad altre varietà internazionali.

·  una tradizione enologica antichissima.’’

“ Parlando di vitigni autoctoni e di vini di fascia medio-alta, potrebbe indicarci quali siano quelli che si stanno affermando maggiormente in Europa e in Italia?”

“Le varietà autoctone da citare a titolo di esempio sono Saperavi, Rkatsiteli, Kisi, Mtsvane.”

L’interesse per la viticoltura georgiana non si riscontra solo dal punto di vista del consumatore, ma anche da quella dei produttori.

”In Europa da alcuni decenni alcuni vignaioli hanno intrapreso la produzione di orange wine. In Italia, precisamente in Friuli Venezia Giulia, sono stati raggiunti ottimi risultati con l’utilizzo dell’anfora e delle lunghe macerazioni. Fra i pionieri italiani citerei Josko Gravner e Damijan Podversic”, conclude Alessandro Bellotto.

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Elena Pravato

Se fossi un vino fermo sarei un Moscato giallo Castel Beseno. perché adoro i dolci (prepararli e mangiarli ) e resto fedele alla regola non scritta dei sommelier “dolce con dolce” . Inoltre è trentino come la terra che mi ha adottato. Se fossi uno spumante sceglierei un Oltrepò Pavese perché ricorda la mia Lombardia, dove sono nata e cresciuta. Se fossi un bicchiere sarei un bicchierino da shot o cicchetto, data la mia statura tutt’altro che imponente.

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